Lettere per TI

Lettere Lettere per TI Un sfida intorno a Dio Su «Tuttolibri», ultimo numero, Enzo Bianchi chiede perdono per le «bestemmie» e gli «insulti» che io verserei su certi strutturalisti francesi (Foucault, Althusser, Barthes) nel mio libro Dio: una sfida logica Ma chi chiederà perdono per gli insulti, le menzogne e la cattiveria con cui egli mi tratta? Definisce il mio libro come un «più che duecento pagine di trionfi slogan, di arroganti spot pubblicitari di presunta filosofia», di «cinismo», dove arriverei a fare di San Giuseppe lo stenografo dei Vangeli. Invece il mio libro è pieno fin troppo di calme e chiare argomentazioni; anche dove polemizzo. E polemizzo quando occorre perché lo trovo doveroso e ritengo disorientante l'ironismo che oggi domina tra cattolici. Ma forse che il Bianchi non è polemico? In due colonnine di giornale condensa più veleno di quanto ne sparga io in più che duecento pagine. Avevo già previsto nella mia prefazione che «qualche veterodissidente cattolico, tutto guanti gialli per ex anticattolici e denti avvelenati con i suoi compagni di fede (è il fenomeno ormai in estinzione del cosiddetto autolesionismo cattolico) dirà che questo mio libro è apologetico, controversistico, polemico...». Pero adesso anche cinico, crudele e blasfemo? Aggiungo che il libro era stato pienamente approvato dalla sacrosanta censura interna del mio ordine, la Compagnia di Gesù. E neppure la Rizzoli avrebbe mai pubblicato un libro se fosse quell'obbrobrio che il Bianchi vorrebbe far credere. Gli strutturalisti sopraccitati hanno fatto certo una misera fine, la quale ha contribuito a far finire lo strutturalismo, una delle ideologie più antireligiose che si conoscano. p. Guido Sommavilla S. I. Non mi ritengo veterodissidente cattolico, se mai dissenziente da molte tesi soste/iute nel libro e dal modo di presentarle. Avevo credulo di poter prendere sul serio l'autore quando dichiarava: «con la mia vis polemica mi procurerò dei nemici, mo non importa'', quando dettava lui stesso in anticipo tipo e percentuali dei vizi contenuti nel suo libro, quando liquidava con frasi ad effeli'.' (questo è slogan) problematiche complesse e sofferte; quando dava per universalmente assodate e inconfutabili solo le p.opne tesi (questo avviene negli spot); quando prevedeva di procurare dispiacere al suo Vescovo, il card. Martini. Si. anche a me la vis polemica dell'autore è dispiaciuta e per questo ho manifestato dissenso. Ho capito Avrei invece dovuto considerare questi aspetti come uno spassoso genere letterario, come una geniale trovala stilistica; avrei dovuto sapere che polemica può farla solo chi è stato preventivamente autorizzalo; come recensore, avrei dovuto attenermi a far mie le considerazioni dei censori ecclesiastici e o dei responsabili di una casa editrice, per poi magari essere accusato di «disorientante irenismo». Dissento. E questo mio dissentire non significa considerare l'autore come un «nemico», nemmeno «a livello di idee»: significa, semplicemente, dissenso. Enzo Bianchi Ma è giusto «redasse» Carissimo Tuttolibri, ho avuto un sussulto di perplessità davanti alla lettera di Laura Bocca (Tuttolibri, n. 943). Ho le mie piccole certezze, tra cui credere che il passato remoto (3'1 sing.) di redigere sia redasse, non redigette. Il Devoto-Oli dice: redasse, il Palazzi-Folena: redasse. Ma non fermiamoci qui. Orbene, il verbo italiano redigere è irregolare, e deriva da un verbo latino altrettanto irregolare: redigo, redegi, redactum, redigere. Quindi, in latino, c'era la forma redegit (3'1 sing. del perfetto), un po' lontanuccia dalla forma italiana redasse. Ma il verbo latino redigere, assieme a lego, legi, lectum, legere (it. leggere), appartiene a un medesimo gruppo di verbi latini. Nel passaggio dal latino all'italiano, che cosa abbiamo? Legit = lesse e redegit = redasse (non comunque leggette o redigette!). Semmai, c'è da chiedersi perché quella vocale «a» in redasse: a rigor di logica dovremmo avere la forma redesse (così come abbiamo lesse). Ma il verbo redigere, come arguiamo dalla Grammatica storica della lingua italiana e dei dialetti toscani di W. Meyer-Lùbke (tr. it. Loescher, par. 219), è di quei verbi con perfetto in -si che formano il passato remoto non dal perfetto ma dalla forma del supino latino; quindi: da redactum abbiamo redasse. E questo in redigere forse succede per influsso dei sostantivi italiani derivati: redazione, redattore. Livia Cosi