Ebola vendetta della natura di Aldo Rizzo

tuttolibrì LA STAMPA Sabato IS Febbraio 19% E. onesto diro subito B le cose come stanS no: questo libro non può andare nelle mani dello famigliole il cui habitat sia lo spot, nonnina che candeggia la camicetta, mammina che cambia il pannolino, nonno che beve l'amaro coi vecchi amici, giovinetta che offre al cagnolino la barra di cioccolato. Nessuno di loro apprezzerebbe Area di con tagio (Rizzoli, pp. 300, L. 29.000), la zia cadrebbe svenuta sulle tagliatelle, papà si lascerebbe sfuggire di mano la pila di piatti appena detersi vati. Va bene ogni tanto qualche vampiro nel castellacelo, imo zombie sbrodolante, un E. T. magari un po' mostruoso, ma qui siamo all'orrore per l'orrore, tanto più raccapricciante in quanto non si tratta dell'invenzione di un romanziere d'indole commercialmente morbosa, non si tratta di fiction, bensì di un reportage scrupolosamente documentato e benissimo raccontato (Robert Preston è del New Yorker), circa un nuovo virus col quale ò possibile che l'umanità intera debba prima o poi fare i conti. «Nuovo» nel senso che la sua prima apparizione certa risale al Ì980. li racconto comincia da lì, da un cinquantenne francese che vive tutto solo in una piantagione nel Kenya occidentale, non lontano da Mount Elgon, maestoso vulcano spento alto pili di 1000 metri. E' Capodanno e Charles Monet (ma il nome è fittizio) si procura una prostituta locale per passare in tenda con lei la breve vacanza, si arrampica sul vulcano in Land Rover fino a Kitum Cave, immensa caverna frequentata da elefanti, bufali, leopardi, scimmie, serpenti, abitata da migliaia di pipistrelli e miliardi di insetti. In seguito, quando ci andò per seguire la vicenda nei minimi dettagli, l'Autore s'era munito di ogni concepibile protezione, ma il povero Monet, semplice e ignaro turista, percorre la caverna in lungo e in largo, stappa lo champagne, brinda all'anno nuovo, se ne torna al suo solitario bungalow. Quando allo zuccherificio non lo vedono per un paio di giorni lo vanno a cercare. Lo trovano, e ciò che avviene da quel momento in poi richiederebbe la rinfrescati!ra, la biancheggiatimi dell'aggettivo allucinante. Il virus che l'ha colpito è sconosciuto. Il virus dell'Aids, spiega una delle dottoresse implicate, è in confronto il morbillo. Ha tempi d'incubazione rapidissimi Areasu(la s IPARIGI A vedova di Giono, quasi centenaria, è ancora viva. Sta al Parais, passa le ore guardando dalle finestre dello studio di suo marito. La vista sui tetti di Manosque è la stessa che ispirò allo scrittore l'avventura di Angelo, L'ussaro sul tetto (pubblicato in Italia dall'editore Fogola). I colori della Provenza, giallo, blu, rosa. Centenario sarebbe quest'anno Giono, morto nel 1970 per le conseguenze di una trombosi. La vedova Elise contempla quanto avviene intorno a lei in occasione dell'anniversario: dalla pubblicazione dei diari inediti del marito, che desiderava da molto e la rende felice, a celebrazioni varie piti o meno autorizzate che non tiene a presiedere. Per lei quello che conta è la vera memoria, la pienezza della vita vissuta con lo scrittore che lei ritrova guardando dalle finestre del suo studio. Grandissimo viaggiatore da seduto, Giono lasciò il Parais di rado. Le sue escursioni più lunghe erano di otto chilometri, per arrivare al pendio collinare aperto sulla Durance. Era già nell'età matura quando si decise a partire davvero, per quel viaggio in Italia cui intitolò uno dei suoi libri da noi più noti. Un viaggio preparato per due anni, come fosse un alpinista in procinto di scalare una vetta impervia. Su una quattro cavalli, con la moglie e due amici. L'avventura della sua vita. Ci sarebbe tornato altre volte, nell'amata Italia dei suoi avi, e sarebbe andato anche in Scozia. Ma quel primo vero viaggio doveva restargli impresso come il gusto di un sogno. Prima viaggiare era stato per lui sinonimo di quel che si fa da dietro le sbarre di un carcere, con la fantasia. Nel centenario della nascita dello scrittore franco-piemontese, al Parais tutto ò rimasto come quando lui era vivo, la tenuta campagnola di un patriarca, artigiano della lingua. La figlia Sylvie, che alla gestione del patrimonio paterno ha dedicato l'esistenza, veglia a che la madre Elise - 98 anni compiuti il 2 di febbraio, qui celebrato come il giorno delle crépes - possa ogni giorno mangiare i piatti che Giono amava, nutrimento forte, robusto, pane rustico, aglio, olio d'oliva. La Provence goimnande de Jean Giono è, a firma della figlia (ed. Albin Michel), la raccolta delle ricette di cui le pagine di Giono profumano. In qualche modo, anche metafora della sua scrittura. Tant'è vero che alla fine del volume, Sylvie ha riservato una sezione alle «ricette letterarie», la maniera tutta artigianale di scrivere di suo pache: fatta di approfondimento e diversificazione delle tecniche del mestiere; scelta scrupolosa di parole, ritmi, colore e grana dello stile, come fossero ogni volta gli ingredienti da dosare di un piatto nuovo. Questa concezione del suo lavoro come mestiere affinabile con l'esercizio quotidiano, la fatica accumulata, gli veniva dalle radici. Vicenda familiare: suo padre, italo-francese anarchico, dreyfusardo «di generosità emorragica», appassionato di Victor Hugo, era calzolaio. Sua madre, di origine provenzal-piccarda, stiratrice. La moglie Elise Maurin, come lui nata a Monosque, era figlia di un meccanico e di una sarta. Quanto a Pietro Antonio Giono, il nonno franco-piemontese, quasi di sicuro carbonaro, militare e disertore, passato in Francia nel 1831 e ingaggiato nella Legione straniera, poi capomastro a Marsiglia, da lui lo scrittore ha tratto ispirazione e materia per la sua intera opera. Una vita un po' brumosa, ricca di mistero, il senso stesso della poesia per Giono, poesia, in cui devono convivere menzogne (la gaiezza della menzogna, che fa più bella la vita di ogni giorno, rallegra gli amici, favorisce la fantasia e crea la perfezione là dove difetta) e sensualità (la vibrazione che percorre Ìaì scrittore provenzale Arrivano i diari / morì, nel 1970, col tempo si sono dal «domale dell'Occupa diradate, fino a svanire, al delirante progetto di ina le accuse di collaborazionismo I filler per dissuaderlo dalla l'universo). Cura della figlia Sylvie, a cento anni dalla nascita di suo padre è anche - oltre al culto culinario e di Manosque, e alla dedizione perché le opere tradotte in tutto il mondo restino fedeli, controllo minuzioso e quasi maniacale - è far luce sul suo presunto collaborazionismo. Scontò lunghi mesi di prigionia, con l'accusa di aver aderito al governo di Vichy. Per la figlia, e Pierre Citron - professore universitario, grande conoscitore dell'opera e dell'uomo, autore di un Giono (Seuil) che è la biografia commemorativa di un maitre a penser, ma anche di un maestro di vita e sentimento - si trattò di un macroscopico equivoco. Non una sola prova esiste, se- UANT'E' vecchia e M (k quant'è nuova la diJ|| n scussione su come B B l'Europa (se IH partendo dall'ecorH nomia o dalla politila 0 ca, se fondandola fflfl B sugli Stati-nazione V W già esistenti o su un ideale federalista Il che li trascende). La discussione ò vecchia perché è nata agli albori stessi dell'europeismo, diciamo mezzo secolo fa, per tacere di precedenti storici più antichi; ed è nuova, è sempre nuova, perché una soluzione non è stata ancora trovata, e siamo ancora tutti qui a cercarla. Antonio Badini, uno dei diplomatici italiani più esperti nelle relazioni inter-europee e inter-occidentali, pubblica ora un saggio che è fra i migliori che io abbia letto sulla «questione Europa» [Sovranità ed interessi nazionali nel cam¬ ziché stimolante. Detto questo, mi fermo. Per ribadire i meriti del libro. E anche la sua complessità, nello stesso tempo espositiva e dialettica. Chiudo anzi su una nota di assoluta concordia. Che riguarda l'Italia. L'ambasciatore Badini non solleva esplicitamente il caso italiano, ma parla in generale della necessità, per ogni singolo Paese europeo, di essere stabile al suo interno, pur nella varietà democratica delle opinioni e degli interessi, per poter proiettare una credibile immagine esterna, nell'ambito del comune disegno europeo. In altre parole, un'Italia frammentata e rissosa, pur con la sua potenzialità economica, non solo non giova a se stessa, ma rende fragile, evanescente, anche il suo «interscambio» politico con l'Europa. Aldo Rizzo tuttolibrì