Parliamone

Parliamone Parliamone L'ARTE SALVA I GENI PECCATORI I I OVE' Moravia adesso?» si chiedeva una rivista cattolica dopo la morto dello scrittore, e rispondeva: ((All'inferno». Se Moravia aveva scritto libri che lo portavano dritto all'inferno, quei libri non potevano essere giudicati bene neanche in sede letteraria: il bene è uno solo. Lo stesso valeva per Pasolini, con l'aggravante che Pasolini era entrato da ateo-marxista nel territorio della religione e lo aveva saccheggiato, facendo un film addirittura da un vangelo. E dove portavano Federico Pollini i suoi film «La dolce vita», «Le tentazioni del dr. Antonio», «Otto e mezzo», «Casanova»? A far compagnia a Moravia. La cultura cattolica si affrettava a farlo sapere al regista subito dopo la prima dei film più espliciti. Quando uscì «La dolce vita», Pelimi venne definito «un pubblico peccatore»: «pubblico» voleva dire che non andava all'inferno per conto suo, ma ci trascinava gli altri, con l'esempio. E' dunque una sorpresa il libro appassionato scritto adesso dal critico di «Civiltà cattolica» Virgilio Fantuzzi, docente all'Università Gregoriana di Roma, in cui Felli ni appare benefico ed esemplare andie dal punto di vista morale, anche dal punto di vista religioso, anche o soprattutto per i film che venivano a suo tempo fermamente condannati. Quello ora un falso Fellini, vuol dire l'autore, che intitola il suo saggio «11 vero Fellini» (edizioni Ave-Civiltà cattolica). E poi quelli erano tempi duri: «Erano gli anni infuocati del preconcilio. La disputa assumeva toni roventi». Il critico cattolico arriva a questa «riabilitazione» di Fellini senza mai uscire dall'esame dell'arte di Fellini, dei film di Fellini, della riuscita delle: sue opere, sicché il concetto che sta a monte del libro, e che l'autore applica in ogni riga anche se l'orso non se ne rende conto, un concetto nuovissimo e rivoluzionario per la cultura cattolica, in definitiva ò che ò «l'arte» a salvare Pollini, i film di Fellini non sono immorali perché sono capolavori, Pollini non può andare perduto perché è grande. Se è grande, tutto quello che fa va al di là del materiale, del sessuale, del carnale, del temporaneo, entra nel territorio che la cultura cattolica chiama Grazia. Il bagno di Anita Ekberg nella fontana: «L'immersione nell'acqua è simbolo di purificazione e rigenerazione interiore. Sylvia è come una sacerdotessa che invita Marcello a un battesimo di nuovo genere». Il sesso come scopo della vita in Casanova: «Vi è l'idea del viaggio, di un "viaggio attraverso il corpo delle donne"». «La Strada», «Il bidone», «Le notti di Cabiria»: «trilogia della Grazia», tutti e tre vanno verso un orizzonte «nel quale non è difficile percepire... i tratti doìla redenzione cristiana». «Per tirar fuori tutto quello che ha dentro», dice Fantuzzi, Fellini ha il cinema. Realizzare il film è per lui anche «una forma di pratica religiosa». Dunque, aggiungo io: se riesce il film, riesce la pratica. Il grande artista è intimamente buono. Salvato Fellini, si salva anche Pasolini: è stato riabilitato questa settimana come grande regista religioso dalla rivista dei padre Dohoniani di Bologna. Trent'anni fa, quando faceva il «Vangelo secondo Matteo», veniva condannato come «blasfemo». Nessuno avrebbe modificato il giudizio, se il «Vangelo» non fosse sopravvissuto. Dunque è l'arte che salva l'anima, e il paradiso diventa il regno dei geni. stagioni, tempi, impressioni. Più difficile dire chi sia Sam Dunn. Un profeta, un visionario, un sensitivo capace di vivere «in un substrato incosciente, dinamitico, inesplorato, sul quale si è stratificata la realtà materiale»? O forse anche un martire, o magari uno scettico blu che vive in una surrealtà parigina per morire grottescamente in un porto finto della riviera ligure? Nella sua prefazione Corra proclama: «Chi segue le evoluzioni modernissime delle arti sa quale importanza abbia oggi in qualunque campo una affermazione concreta sulla via che condurrà a modi di espressione sempre più sintetici, cioè sempre meno curanti di tutto quanto non è essenziale». Zig zag non dissipa tuttavia il sospetto che il maggior Futurismo sia altrove. Alberto Sartoris risponde: «La creazione assoluta e universale del Futurismo consiste soprattutto nell'aver aperto un mondo e un modo nuovo di essere. Tolte scorie, specialmente le scorie della politica e della collusione con il fascismo, dobbiamo al Futurismo tutto ciò che ha liberato l'arte». Nega che Marinetti volesse incendiare davvero i musei: «Il suo era un eccesso polemico, perché quando si vuole imporre un'idea si esagera. Ma bisogna saper leggere tra le righe. In fondo era un inguaribile sentimentale questo Marinetti che parlava sempre delle macchine». Sorride per un flash che illumina una mossa, un tic: «Mi riceveva spesso a Roma all'Accademia. Mi ricordo che aveva perso tutti i capelli e ancora faceva il gesto di ravviarseli». L'ultimo ricordo di Alberto Sartoris vive però di una sua grazia drammatica e commossa: «Marinetti era appena tornato dalla campagna russa. L'ho aspettato a Brescia e non l'ho riconosciuto tant'era sciupato. Doveva parlare in un teatro bresciano ed era disfatto. Lo fece davanti a una platea di donne, madri, mogli, sorelle degli alpini della Julia dispersi in quell'inferno di disorganizzazione e di ghiaccio e lui ne parlava come se fossero ancora vivi. Era così stanco che dovette tenere la conferenza in due tempi. Fu l'ultima volta che lo vidi». Ferdinando Cantori

Luoghi citati: Bologna, Brescia, Roma