Voci da un'Università occupata

Dopo cinque anni, ore e ore di registrazione al magnetofono per un grande affresco sulla vita degli studenti Dopo cinque anni, ore e ore di registrazione al magnetofono per un grande affresco sulla vita degli studenti Voci da un'Università occupata Linguaggi, gags e tenerezze della cultura giovanile ]0 devo dire che la prima volta che sono entrato qui ho avuto uno schianto in quanto, venendo da una tragica scuola repressiva cattolica, solo maschi, il primo flash che ho di qui dentro, la prima lezione del corso di tedesco, in aula sesta, appena rinnovata, anzi ancora coi lavori, completamente piena, sia nei posti a sedere sia negli angoli, con gente in piedi, c'erano dieci maschi e centonovanta femmine. Dico vabbe', il paradiso era così vicino e non lo sapevo, questo è stato il mio primo pensiero. Dieci maschi, circondati da questa orda di femminazze terrificante, dice vabbe', almeno noi facciamo amicizia, se no qua ce se portano via, direttamente». Roma 1990, febbraio-marzo, università occupata. A Villa Mirafiori, sede dei dipartimenti di Lingue e Filosofia, il professor Alessandro Portelli, che insegna Letteratura americana, e cinque studenti - Micaela Arcidiacono, Francesca Battisti, Sonia Di Loreto, Carlo Martinez, Elena Spandri - registrano al magnetofono un'ottantina di interviste con studenti della Pantera ed anche ex studenti. Esattamente cinque anni dopo, quei nastri sono diventati L'aeroplano e le stelle, «storia orale della realtà studentesca», un volume di Manifestolibri, fresco di stampa, sicuramente istruttivo e significativo, ma soprattutto irresistibilmente divertente. Tutti i pezzi della cultura giovanile - linguaggi, abiti, lavoro, viaggi -, sono illuminati dai lampi di questi lunghi colloqui (rigorosamente documentati con nomi, cognomi, date, intervistatori). In essi si mescolano tanti generi della comunicazione orale: intervista, dialogo, racconto, ricordo, storia e analisi, confessione, predicazione, la battuta fulminante e il bla bla bla. Sembra di essere dentro un film di Nanni Moretti. Queste 250 pagine sono una performance. Una deflagrante rap- presentazione del mondo studentesco. Non nel senso di darne una sintesi e di esprimere una media, ma nello stesso senso «in cui un'opera letteraria è "rappresentativa" del suo tempo, perché si assume la responsabilità di incarnare il senso dell'esperienza generale». Iniziazione: «Io e una mia amica, non riuscivamo assolutamente a capire questo piano di studi, se dovevamo farlo, se non dovevamo farlo... Andavamo da una parte e ci dicevano "sì lo dovete fare", da un'altra "non dovete farlo", "non lo dovete fare se fate gli esami obbligatori", "questo rientra nei fondamentali" o no, e così abbiamo passato un paio di mesi». Angosce: «Io mi ricordo l'anno scorso al seminario sul reggae, quello autogestito, dovevo esporre; e a me solo l'idea di parlare davanti al microfono mi terrorizzava. Ho passato una notte telefonando a una mia amica che studiava teatro, dicendo come faccio, come faccio, proprio non ci riesco». Orientamento: «Io mi ricordo che quando nella mia famosa scuola repressiva solo maschile, e a una delle lezioni ci venne chiesto, "ma voi cosa farete all'università?" allora lì se so scatenati: "informatica!", "ingegneria!", "economia e commercio!", "aerospaziale!", "sulla luna...". Dice, e tu? E io, tranquillo: "lingue". M'hanno fatto, "eh, vai a fa' l'hostess" l'hostess, manco lo steward. Questa era la cultura che s'aveva in mezzo a noi: dice, va be', tu sei frocio, vai in mezzo alle donne». Perché ti sei iscritta a Lingue? «Perché ero innamorata dei Beatles! Cioè in realtà mi è nata prima una passione per l'inglese come sintesi di tutto ciò che non ero io, non era l'Italia, non era la mia adolescenza...». Viva l'America. «Voglio dire, io conosco molto meglio la letteratura americana che non quella italiana. Se tu pensi che quando avevo tre anni i cartoni animati che ci facevano vedere erano quelli di Hanna e Barbera; tutti i telefilm erano Happy Days, erano Francis il mulo parlante...». Stranieri: «Delle volte quando siamo sull'autobus, io parlo con mia sorella in inglese, ti vengono certe occhiate dalla gente che dicono, guarda questi, chi si credono di essere, stanno qui, danno fastidio, "sti stranieri" - dicono tante volte, i vecchietti, hanno paura che te parli male di loro». Multicultura: «Tutte 'ste persone che so' venute dalla Tunisia, dall'Africa, dall'India, chissà da dove, da quali mondi. E' ovvio che se uno non gli crea le struture pe' 'ste persone, e non li pulisce, non gli fa una bella doccia, non li disinfetta - magari no' perché loro sono sporchi ma perché vengono da Paesi che non danno questa possibilità, perché se no non verrebbero in Italia - certo che allora uno si crea 'sti problemi e vengono 'ste infezioni e viene l'Aids, e viene tutto quello che ti pare». Esami: «Ho tenuto la giacca per tutto l'esame, proprio come coperta di Linus, faceva pure caldo però mi sentivo protetta contro quell'arpia terribile che ci avevo davanti che me chiedeva le cose in gotico!». «Terrore, panico, una settimana di strizza prima dell'esame, notte insonne la notte prima, dolori di pancia prima di entrare, eccetera, eccetera, poi altro panico...». «Vai all'esame cercando di ripeterti, vabbe' tanto al limite non è che me possono mena'». Professori: «Mi chiama, "Ah, San Francisco, lei è americana". "Sì". "Ma lo sa che gli americani non hanno cultura?"». Lavoro: «Adesso lavoro in una birreria, sto benissimo, io so' proprio innamorata della cultura che viaggia dentro le birrerie, forse è un po' nordica, irlandese come idea però la ragazza che te porta la birra diventa 'na figura de riferimento». «Ho fatto anche animatrice in un villaggio a Giovinazzo, vicino Bari. E' stata la prima esperienza e anche l'ultima perché è stato troppo stressante. Si dormiva la media di tre ore e mezza a notte: sei occupata tutto il giorno e quando finisci non ti va di andare a dormire perché dici, non ho fatto niente per me». Scelte alternative: «Con le amiche abbiamo pensato di fare una scuola di lìngue, da anni pensiamo a questo progetto, facciamo questa scuola per gli immigrati e l'estate caviamo i soldi ai tedeschi». Conformismo: «Stamattina ci saranno state cento ragazze che sembravano le ragazze di Domenica in, coi capelli ricci, la maglietta bianca, i jeans e lo zainetto Invicta. Tutte uguali praticamente. Cioè, ne so' passate una fila, sembrava che avessero aperte le gabbie». Naturalmente il libro comprende anche le osservazioni e le interpretazioni del gruppo degli autori, che mettono a fuoco le analogie e le antinomie fra passato e presente, offrendo sempre però ipotesi di lettura aperte. Così come ci sono nel libro brani orali molto più lunghi e complessi, in cui gli intervistati ragionano e discutono sulla propria identità, sul movimento della Pantera, sui significati della politica, sui valori della cultura. Ma queste pagine non si trasformano in un saggio: mantengono la struttura di un percorso, di una narrazione, specchio di una generazione, a metà strada fra le tentazioni dei consumi e le resistenze del ribellismo. Resta da spiegare il bel titolo: L'aeroplano e le stelle. Chiedono a uno studente se ricorda la prima notte di occupazione. No, la prima notte non c'era. Ma si mette a raccontare di un'altra notte, che era di ronda: «Stavo qua con Luca, ci fermammo a guardare delle stelle che prendemmo per aeroplani, perché abbiamo visto queste due stelle che stavano sempre alla stessa distanza... Le prendemmo per due aeroplani che viaggiavano in formazione. Poi ne abbiamo viste altre due; dice: ali, pure quelli viaggiano in formazione. Dopodiché, dice: ma quelli non sono due aeroplani, sono due stelle. Allora pure quelle altre non sono degli aeroplani. Insomma la situazione non era molto delle più lucide, e comunque sì, abbiamo fatto l'ultima ronda...». Ecco sciorinata (inconsapevolmente?) una simbologia della generazione della Pantera: l'immaginazione e la tecnologia, l'utopia e l'esperienza, l'assemblea e il fax. Le stelle e l'aeroplano. Alberto Papuzzi // linguaggio gioca: come in un film di Nanni Moretti ««s «Iscritta a Lingue perché amavo i Beatles» «Venivo dalla repressiva scuola cattolica, solo maschi: che colpo stare con 190 donne» A sinistra, un corteo della Pantera davanti all'Università di Roma Qui accanto un'altra immagine di manifestazione studentesca

Luoghi citati: Africa, America, Bari, Giovinazzo, India, Italia, Roma, San Francisco, Tunisia