Brecht pericoloso marxista di Osvaldo Guerrieri

il caso. Mentre il Berliner arriva a Venezia, la storia di una clamorosa censura il caso. Mentre il Berliner arriva a Venezia, la storia di una clamorosa censura Brecht, pericoloso marxista E Sceiba non lo volle alla Biennale VENEZIA EMORIA, censura e Venezia. In questi giorni il centenario della Bienna- le e quello del Cinema sono, in aggiunta al Carnevale, il sale commemorativo, festaiolo e culturale della città lagunare. Il primo avvenimento ò celebrato da ieri sera su Raiuno dal programma La Biennale compie cent'anni, ideato da Lamberto Trezzini e da lui firmato insieme con la regista Laura Bolgeri per il Videosapere di Alberto Spinosa. Fino a venerdì, intorno alla mezzanotte, documenti filmati e interviste racconteranno la più importante avventura culturale del Novecento, senza dimenticare gli snodi politici che ne hanno deteriorato l'esistenza. L'altro centenario, che Maurizio Scaparro ha intitolato II cinema è teatro, si prepara ad accogliere gli eventi più attesi. Fra questi, il 24 e il 25, la trasposizione teatrale di Miracolo a Milano offerta dal Berliner Ensemble. C'è un legame insospettato tra le due manifestazioni. Il Berliner, che tanto trionfalmente sta per sbarcare al Goldoni, è stato rifiutato per ben due volte dalla Biennale. Il primo sbarramento, il più grave e clamoroso, porta la data del 1951. La compagnia di Bertolt Brecht avrebbe dovuto rappresentare alla Fenice Madre Coraggio, uno degli spettacoli più acclamati di quell'anno. Il consiglio della Biennale discusse e approvò il progetto il 27 aprile a Roma, presso la Direzione generale dello Spettacolo. Ma, il 18 settembre, ecco arrivare il rifiuto drastico di Mario Sceiba, all'epoca ministro dell'Interno: il Berliner non poteva essere ospitato in Italia, era, come si dicova all'epoca, «indesiderabile». Plausi e botte. Le fazioni dei favorevoli e dei contrari si attaccarono in surriscaldate polemiche giornalistiche. Luchino Visconti insorse e ritirò la firma dai due spettacoli che la sua compagnia, la Morelli-Stoppa, avrebbe rappresentato proprio in quei giorni: Il seduttore di Diego Fabbri e Morte d'un commesso viaggiatore di Arthur Miller. Come apprendiamo dalla lettera che pubblichiamo qui accanto, anche Giovanni Ponti, il presidente della Biennale, elevò un accorato grido in difesa del Berliner e di Bertolt Brecht. Oltre che a Sceiba, spedì la lettera a Attilio Piccioni, vicepresidente del Consiglio, e a Emilio Taviani, sottosegretario agli Esteri. Ma il suo appello si perse nel vuoto. Inutilmente l'onesto Ponti si ostinava a scrivere che «la Biennale non poteva pensare di far venire in Italia un'ospite politicamente indesiderato», al contrario invitava «un artista», certo «un rivoluzionario», ma dell'arte. Inchiostro sprecato. In quegli anni di guerra fredda, Bertolt Brecht incarnava il Nemico, l'ombra minacciosa e sovversiva che rischiava di invadere l'Occidente. Attraverso il suo lavoro teatrale era considerato il propagandista attivo e in- sidioso dell'ideologia marxista. In più - si diceva - non era degno di rispetto, poiché i suoi occhi erano rivolti a Est, ma le sue tasche si orientavano a Ovest. Gli attacchi, la diffamazione, il pettegolezzo non avevano quartiere. E neppure la Repubblica Democratica Tedesca era tenera nei suoi confronti. Le accuse che gli muoveva erano tremende. Per cominciare, gli rimproverava di essere un formalista e non un rivoluzionario; e continuava insinuando che i privilegi di cui godeva fossero frutto di corruzione. Brecht rispose con la celebre frase: «Io non ho le opinioni che ho perché sto qui, ma sto qui perché ho le opinioni che ho». Nessuno gli credette. Anzi la dose fu rincarata. E quando, nell'autunno di quel medesimo 1951, rappresentò in Occidente il Rapporto da Herrnburg, su musiche di Paul Dessau, fu schernito anche dagli intellettuali di sinistra, che considerarono l'opera «un penoso sbandamento». Non deve stupire, quindi, che Sceiba chiudesse a Brecht ogni strada d'accesso all'Italia. Negli anni del cosiddetto culturame, che cos'era il Berliner Ensemble se non la cellula ideologica di un'area pericolosa? Il no al Berliner fu ripetuto nel '61. Soltanto nel '66 la compagnia di Brecht riuscì a portare a Venezia il Galileo. Ma allora cominciava un'altra storia. Osvaldo Guerrieri Gli intellettuali si divisero in due fazioni La protesta di Visconti Sopra, il regista Luchino Visconti Nell'immagine centrale, il drammaturgo Bertolt Brecht wm II ministro dell'Interno Mario Sceiba che censurò la tournée italiana del «Berliner Ensemble»

Luoghi citati: Italia, Milano, Repubblica Democratica Tedesca, Roma, Venezia