«Ma alla gogna dico no»

«Ma alla gogna die© no» «Ma alla gogna die© no» «E' la fine della tolleranza» PRO & CONTRO IN REDAZIONE CARO collega non fumatore, di fronte alla sentenza del pretore, all'articolo 28 della Costituzione, ai richiami della scienza e al tuo diritto alla vita non mi resta che «chinar la fronte al massimo fattor». Ma questo decisione del pretore proprio non riesco ad accettarla. Non solo perche sono un fumatore accanito (due pacchetti di sigarette al giorno, la prima boccata al mattino appena sveglio) ma perché ormai faccio parte di una minoranza che, in mezzo mondo, rischia di essere ghettizzata. Psicologicamente e culturalmente, s'intende. Di certo, non intravvedo nel futuro stadi «blindati», in cui vengono confinati gli ultras delle Malboro o delle Muratti (saremmo gli unici in quest'era di violenze, di corrotti e corruttori) ma una grande intolleranza questa sì, capace di scatenare anche passioni feroci (come ho potuto vedere in tante riunioni finite in fumo) e che rischia di essere limitata a se stessa, a quella gran voglia di «privato» che sembra attraversare come un vento impetuoso la nostra società. Insomma, la sentenza va al di là della semplice decisione di un magistrato. Rischia di segnare la fine di un'era, come per le «lucciole» di Pasolini, che in questo caso non è il paese contadino, ma quello della tolleranza. E anche quello della solidarietà: non solo perché, fumando, vengo considerato un violento (che non sono) ma anche perché, tra tanti dibattiti finiti in fumo avrei anche voluto sentire parlare di altre cose (di «bavagli» ai giornali o di attacchi senza precedenti al diritto di informazione) sostenute con la stessa passione. Ma di questo purtroppo, forse perché stordito dal fumo, ho sentito raramente parlare. Fumare, si sa, vuol dire tante cose. E a spiegarlo, meglio di me, esistono una letteratura e tanta retorica. Il cinema ci rimanda a Humphrey Bogart, molti colleghi non riescono ad immaginare di scrivere un articolo che non parta da una intensa boccata di fumo. Qualcuno, con questa sigaretta che scandisce un «pezzo», un titolo o una telefonata riesce anche a fare un buon lavoro. Conosco colleghi non fumatori che potrebbero invece rimanere ore incollati a un telefono senza cavare Un ragno da un buco. Non è il fumo, insomma, che fa un bravo giornalista o un buon meccanico. Qualche volta però aiuta. Certo dà fastidio agli altri, a chi siede vicino alla tua scrivania. C'è sempre una ragione per la quale si fuma. Chi scrive, purtroppo, ha «iniziato» tardi. Era la fine degli Anni Sessanta e, come tanti giovani della mia generazione, partecipavo a quelle manifestazioni che cercavano di scuotere un pezzo di mondo sui problemi della guerra e della violenza. Semplicemente si può dire, parafrasando John Fitzgerald Kennedy, che sognavamo un mondo migliore. La polizia però non lo sapeva. E fu durante uno di quegli incontri non proprio conviviali che un amico mi offrì una sigaretta. Devo maledirlo? Non credo. Come certo non maledico gli amici che, rivendicando il loro diritto alla vita oggi cercano anche di farmi smettere di fumare. Per questo li ringrazio. Anni di battaglie civili hanno segnato questo loro cammino. Ma non vorrei che il tutto finisse poi come in certe storielle dei boy-scout che aiutano a tutti i costi le vecchiette ad attraversare la strada. In pratica di finire segregato in un «gabbiotto». Come le scimmie. Non dello zoo di Berlino. Ma del pianeta dell'intolleranza. Cesare Roccati «Per colpa vostra riempio di rantoli i cavi del telefono E non voglio il vostro cancro al polmone» «A chi difende la sua vita non posso che chiedere scusa Ma non potete segregarmi in un gabbiotto»

Persone citate: Cesare Roccati, Humphrey Bogart, John Fitzgerald, Muratti, Pasolini

Luoghi citati: Berlino