Poi il ocnte Auletta scivolò sulla destra di Alfredo Recanatesi

esi es^J F- OLTRE LA LIRA =1 Poi il conte Auletta scivolò sulla destra dispetto della forma giu.ridica che ne faceva la più grande banca privata italiana, la Banca Nazionale dell'Agricoltura è sempre stata legata al sistema politico quanto le banche pubbliche. Anzi, di più: perché le banche pubbliche, o almeno molte di esse, hanno una solidità patrimoniale ed una efficienza operativa che, volendo, possono far valere per difendersi dagli appetiti del potere politico. La Bna, invece, è sempre stata controllata da un privato, il conte Auletta Armenise, ma a causa della sua debolezza patrimoniale e operativa ha sempre dovuto vivere della protezione dei politici. Nata nel '21, la Bna si sviluppò sotto il fascismo in virtù della buona amicizia di Giovanni Armenise, zio per parte di madre dell'attuale Giovanni, con Mussolini. Dopo la guerra, negli anni dello sviluppo industriale, entrò in crisi non riuscendo a compiere la riconversione che avrebbe dovuto portarla a mantenere un ruolo di primo piano nella realtà che si andava profondamente modificando. Cominciarono quindi i guai. Per lungo tempo il conte Auletta ha potuto tuttavia resistere in virtù di solide amicizie politiche strette con la democrazia cristiana e con il più forte e longevo dei suoi esponenti: Andreotti. Muovendo abilmente queste amicizie, ha sempre parato i rischi di venire scalzato. E di rischi ne ha corsi parecchi, il conte Auletta. Il più serio e determinato, tra i tanti dovuti agli effimeri riders dei quali è piena la nostra storia finanziaria, lo corse a motivo della scalata che intraprese il Credito Italiano. Il Credito, ovviamente, era ancora controllato dall'Iri che, proprio su pressioni democristiane, si impose a Rondelli, che quella scalata aveva intrapreso, fermandolo a metà del guado. Fermando Rondelli, gli amici del conte Auletta ottennero due scopi: parare la scalata di Rondelli, e congelare nel Credit una partecipazione che, lasciata in giro, avrebbe potuto creare grossi problemi al conte Auletta. E, infatti, quella partecipazione sta ancora lì. Naturalmente, le amicizie politiche non possono bastare per far quadrare i conti. E si arriva così ai giorni nostri e alla resa del conte. Se si pensasse che questo epilogo è connesso alla disgregazione della de ed al tramonto di Andreotti, probabilmente non si sarebbe lontano dal vero. Ma con altrettanta probabilità si andrebbe fuori strada se si pensasse che questo epilogo dimostra l'uscita della politica dalla scena delle banche. La Banca di Roma, infatti, è anch'essa un prodotto della politica. E' nata da una Cassa di Risparmio, quella di Roma, che cominciò a crescere incorporando il Banco di S. Spirito, che era dell'Iri. Fu pagato poco, ma questo è il meno. Conta invece che, con il ricavato della vendita, l'II ri aumentò il capitale del Banco I di Roma. Ripatrimonializzato che fu il Banco di Roma, lo stesso Iri ne cedette il controllo non all'Imi, che per acquisirlo di soldi ne offriva molti e buoni, ma alla holding della Cassa di Risparmio in cambio non di soldi, ma di una partecipazione di netta minoranza nella holding stessa. Chi non si è perso nella geniale tortuosità di questi passaggi ha senz'altro compreso che la Cassa di Roma, una Cassa media piuttosto oscura controllata dalla de capitolina, è diventata una delle maggiori banche italiane annettendosi prima il S. Spirito, una banca medio-grande, poi il Banco di Roma, una banca delle maggiori, ad un costo complessivo irrisorio. Che non si sia trattato di una operazione voluta dà un qualche potere politico, forte al punto da indurre Tiri a dar via due banche quasi gratis, è davvero difficile crederlo. Ora quel potere politico non c'è più. Ma la Banca di Roma, evidentemente più abile e tempestiva del conte Auletta, ha provveduto a farsi nuovi e potenti amici, soprattutto a destra. Nulla di male, beninteso. Ma non si può non pensare che queste amicizie abbiano avuto un ruolo nel condurre la banca del conte Auletta proprio nelle mani di Geronzi e Capaldo. La Banca di Roma, infatti, deve ancora digerire la fusione fra tre banche tra loro molto diverse. Soprattutto deve ancora razionalizzare la distribuzione di sportelli, integrare le strutture organizzative, fondere le tre diverse culture aziendali; tutti problemi la cui soluzione non verrà certo agevolata dall'aggiunta di una banca, la Bna, grossa e piena di problemi. E poi, con buona pace della politica delle privatizzazioni, la Banca di Roma, banca pubblica (o, peggio, di nessuno, come sono tutte quelle possedute dalle fondazioni Casse di Risparmio), ha assunto il controllo della Bna, una grossa banca privata. Con buona pace dei diritti delle minoranze, lo ha fatto non acquistando la maggioranza delle azioni della Bna, ma quella della finanziaria che ne possiede poco meno della metà del capitale, annunciando conseguentemente un'Opa sulle residue azioni della finanziaria anziché su quelle della Bna. E, con buona pace della distinzione'tra controllati e controllori, per dar modo a tutto ciò di compiersi senza problemi, è stata rinviata l'applicazione della norma che vieta a Capaldo la doppia presidenza, quella della banca e della fondazione controllante. Ce n'è di che pensare che la politica non sia uscita dal sistema bancario, o no? Alfredo Recanatesi es^J

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