«Nessun mistero su Di Maggio» di Giovanni Bianconi

«Nessun mistero su Di Maggio» UN PENTITO NELLA BUFERA «Nessun mistero su Di Maggio» Interrogato a lungo l'accusatore di Andreotti PTì ROMA, ER fare luce in tempi rapidi sul «caso Di Maggio», tre giudici della procura di Palermo volano a Roma e interrogano proprio lui, il pentito che telefonava ai suoi amici in Sicilia. Dopo la deposizione pubblica nell'aula-bunker di Rebibbia in uno degli innumerevoli processi di mafia in cui è chiamato a testimoniare, Balduccio Di Maggio è stato ascoltato a lungo - e in segreto - dai sostituti procuratori Pignatone, Natoli e Lo Voi su quelle telefonate tra lui e il suo amico Francesco Reda; conversazioni intercettate dai carabinieri e arrivate in forma anonima al deputato di An Enzo Fragalà, che le ha mandate alla commissione antimafia e a due ministri, ma non ai giudici palermitani. Ai tre magistrati Di Maggio ha spiegato quello che loro già sapevano, ma che ora finirà agli atti del processo Andreotti, insieme ai verbali delle telefonate che i difensori del senatore a vita hanno chiesto di acquisire. Chi era Reda? Perché Di Maggio lo conosceva? Da quanto tempo? Perché gli telefonava? A queste e altre domande ha dovuto rispondere il pentito, dichiarazioni che verranno utiliz- zate per una relazione della procura al gip Gristina nella quale il pool guidato da Gian Carlo Caselli darà la sua versione dei fatti e spiegherà che questa storia «è molto chiara, non ci sono zone d'ombra». I magistrati hanno già anticipato che le telefonate di Di Maggio al suo paese, San Giuseppe Jato, rientravano in un'attività di «utilizzazione dinamica dei collaboranti», finalizzata alla ricerca dei latitanti. Sarebbe quindi del tutto spiegabile nonché legittimo che un pentito come l'uomo che ha fatto arrestare Totò Riina chiamasse dei conoscenti per sapere i movimenti di Giovanni Brusca, uno dei più pericolosi latitanti di Cosa nostra, accusato fra l'altro di aver schiacciato il pulsante che fece esplodere la bomba di Capaci. Nel periodo in cui era ancora detenuto anche se fuori dal carcere (presumibilmente in una caserma dei carabinieri), Di Maggio telefonava davanti agli uomini che l'a¬ vevano in custodia. E Reda, il suo interlocutore, non era un «uomo d'onore», non reggeva le fila di alcun interesse mafioso. Francesco Beda, scomparso dall'agosto scorso, sarebbe rimasto vittima di una vendetta di Cosa nostra proprio per i rapporti tenuti con ['«infame» Di Maggio. E adesso gli inquirenti temono che la diffusione delle intercettazioni telefoniche possa mettere in pericolo la vita di altre persone, a cominciare dai familiari di Reda. Un «assaggio» del clima di paura che circonda quelle persone sta nel fatto che, interrogata dopo la scomparsa del marito, la moglie di Reda ha negato (mentendo palesemente, visto che ci sono le telefonate intercettate) che lei o Francesco avessero avuto contatti con Di Maggio dopo il suo arresto. Ma la diffusione del «dossier Di Maggio» potrebbe creare problemi anche allo svolgimento delle indagini, visto che, ad esempio, in un rapporto dei carabinieri or¬ mai pubblico c'è anche il nome di uno dei possibili autori del sequestro e dell'omicidio Reda, indagato proprio dal pentito suo amico. L'onorevole Fragalà, che in quanto avvocato risulta difensore di alcuni imputati di mafia accusati da Di Maggio, ieri ha annunciato che rinuncerà a quegli incarichi «pei' azzerare certi interessati equivoci», e attacca: «Si sollevano i soliti polveroni e dietrologie per glissare sui contenuti delle intercettazioni e porsi inutili interrogativi sul cui prodesi. Invece di definire inquietante, allarmante e preoccupante il contenuto delle intercettazioni, ci si pone il falso problema del perché e del come le stesse sono pervenute al sottoscritto». Il deputato di An ricorda di essere sempre stato avversario di Andreotti «sia in sede politica che in sede processuale», ma aggiunge che se i verbali delle intercettazioni risulteranno autentici, allora governo e Parlamento dovranno mettere mano alla legislazione sui pentiti per ristabilire «il corretto utilizzo dello strumento processuale della collaborazione». Giovanni Bianconi «Quelle telefonate all'amico servivano a cercare dei latitanti» Sopra Giulio Andreotti, a destra il senatore di An Enzo Fragalà

Luoghi citati: Capaci, Palermo, Roma, San Giuseppe Jato, Sicilia