Eltsin: quanti errori nella guerra cecena

Nel discorso alle Camere riunite il Presidente attacca tutti, ma «era giusto intervenire» Nel discorso alle Camere riunite il Presidente attacca tutti, ma «era giusto intervenire» Elisili; quanti errori nella guerra cecena «Ma quelDudaev è come Escobar» MOSCA DAL NOSTRO CORRÌSPONDENTE Boris Eltsin ha parlato davanti alle Camere riunite di un Parlamento senza poteri ma che non 10 appoggia. Un discorso lungamente preparato per accontentare tutti e che ha finito per non piacere a nessuno. Un'ora esatta per leggere con voce monotona (salvo gli ultimi dieci minuti, dedicati all'autodifesa per la guerra in Cecenia) una lunga elencazione di compiti, spesso contraddittori tra loro, come l'esigenza di una «maggiore accentuazione della politica sociale» e quella di un «assoluto rigore della spesa», il risanamento del rublo, il rilancio degl'investimenti, 11 pagamento dei salari arretrati, la prosecuzione della privatizzazione selvaggia. Di tutto un po'. Eltsin, di nuovo in forma apparente dopo le abbondanti libagioni consumate durante il vertice della Comunità, ad Alma Ata, è parso preoccupato innanzitutto di smorzare le inquietudini in Occidente, riaffermando a più riprese il corso riformatore verso il mercato e proclamando la sua fedeltà agli ideali della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani. E si capisce. Senza i 12 miliardi di dollari che dovrebbero arrivare dal Fondo Monetario Internazionale il bilancio 1995 della Russia non sta in piedi nemmeno tre mesi. E allora bisognerebbe dire addio ai due terzi dell'allocuzione di Eltsin. Uno dei pochi punti fermi è stata la promessa di tenere le elezioni - parlamentari e presidenziali - nei tempi previsti dalla Costituzione (rispettivamente dicembre 1995 e estate 1996). Ma Eltsin non ha chiarito con quali meccanismi legali. La legge ancora non c'è e molti temono che sarà il Presidente a dettare di nuovo le regole del gioco, per decreto, come già fece nel dicembre 1993. Forse è per questo che Bill Clinton non ha ancora deciso se venire a Mosca nel maggio prossimo, anche se Christopher ha subito salutato con calore la promessa del Presidente russo. Il quale, tuttavia, non è riuscito a dissipare le ombre sanguinose della Cecenia che gravano sulla sua Presidenza e che ieri aleggiavano pesanti sulla Sala di Marmo del Cremlino. Le critiche all'esercito non sono mancate, ma solo per «l'impreparazione» rivelata nell'attuazione del compito repressivo: Eltsin ha ribadito la legittimità e la giustezza dell'intervento militare in Cecenia, motivandola con il «carattere criminale» del regime di Dudaev, paragonato al cartello della droga di Medelh'n. E nessuna autocritica. Il presidente ha riconosciuto il dominio dell'abuso di potere ai vertici dello Stato, ha fustigato la corruzione imperante, l'impotenza della magistratura. Ma nessun accenno ha riservato alla propria responsabilità personale di Capo dello Stato e di comandante supremo delle forze armate. In Russia ci sarebbero dunque un «apparato burocratico incontrollato», funzionari che «esercitano attività commerciali», forze dell'ordine «minate dalla corruzione», una criminalità «che tutto pervade». Ziuganov, il leader dei comunisti, ha definito il discorso «inutile». Serghei Glaziev, l'ex ministro che ora guida la Commissione bilancio della Duma, si è detto sbalordito: «Sembra quasi che in Russia ci siano due poteri, uno che parla più o meno bene e l'altro che fa esattamente il contrario». Zhirinovskij - che stavolta ha preso le distanze - ha detto sprezzantemente che «questo discorso stasera tutti lo avranno dimenticato», aggiungendo che, entro l'anno, la Russia sarà guidata da «un governo dei militari». Neppure l'ex pupillo di Eltsin, Egor Gaidar, è apparso convinto. Ma sulla base di questo discorso appare poco probabile che, nei prossimi giorni, Eltsin preveda movimenti importanti nelle cariche cruciali del vertice del Paese. Il generale Graciov - dato per spacciato troppo in fretta - appariva ieri addirittura baldanzoso. Giuliette- Chiesa Eltsin in Parlamento: in buona forma dopo il vertice di Alma Ata