Il museo mondiale del dolore di Aldo Cazzullo

Le foto di Sarajevo con quelle di Auschwitz Il museo mondiale del dolore Le foto di Sarajevo con quelle di Auschwitz POLEMICA A WASHINGTON E SPORRE le lacrime e il dolore di tutto il mondo. Gli stupri in Bosnia accanto alle lettere dal campo femminile di Auschwitz. Le foto delle mutilazioni in Ruanda a fianco di quelle dei cadaveri smembrati dai chirurghi nazisti. E' la scelta del museo dell'Olocausto di Washington: per superare le polemiche sull'unicità della Shoah, per dissipare le accuse rivolte agli ebrei di volere l'esclusiva del dolore e della sua documentazione. Invece la decisione di aprire, all'interno del Memorial, mostre fotografiche permanenti dedicate alle grandi persecuzioni di popoli al mondo, non ha sopito le polemiche: le ha riaccese. La coscienza dell'America, scrive il New York Times, è turbata da tanto orrore. L'interesse è grande. La coda si allunga fuori della biglietteria del museo già due ore prima dell'apertura. I giornali nazionali dedicano pagine all'avvenimento. E le reazioni sono contrastanti. «Un'iniziativa intelligente. Ma dovrebbero aprire una sezione dedicata all'orrore più grande, alla strage degli innocenti. L'aborto. Le foto dei corpi degli hutu mutilati, delle camere a gas, dei lager bosniaci, le abbiamo già viste sui giornali. Nessuno, però, ci ha mai fatto vedere cosa succede in certe cliniche». Così Virginia Slemker e sua sorella Sue, al reporter del New York Times. «Queste foto sono disgustose» (Robin Shea, studente, Massachusetts). «Non è un museo il posto per ospitare le atrocità dei nostri giorni. Quelle sono vere, sono fuori. Usciamo di qui» (Nona Reiss, casalinga, New York). Un po' più in là c'è la mostra sulla Bosnia. Titolo: «I volti del dolore. L'agonia dell'ex Jugoslavia». Prima foto: il plotone d'esecuzione spara, cadono due donne musulmane. Seconda foto: un soldato si avvicina ai cadaveri e li prende a calci. Terza foto: i figli di quelle donne dietro il filo spinato, in un lager serbo. Gli stessi visi spauriti, le stesse mani precocemente adunche dei bambini ebrei a Birkenau, nella sala vicina. Eppure il dolore non unisce, divide. La comunità serba negli Stati Uniti ha attaccato duramente la direzione del museo dell'Olocausto: «Quelle 69 foto danno un'immagine distorta. Ci fanno passare per massacratori. In Bosnia non c'è una persecuzione, c'è una guerra: non esistono buoni e cattivi, esistono due parti che lottano. Con le stesse armi, la stessa ferocia». La presenza di quelle foto accanto alle testimonianze dell'Olocausto avvicina due tragedie che, sostengono i serbi d'America, non possono essere confuse. Un'osservazione condivisa da molte associazioni ebraiche. I visitatori sono combattuti. «Dovrebbero portare qui tutte le scuole d'America», dice Lisa Jones, 69 anni, di Arlington, al giornalista di Usa Today. Michael Sien, 69 anni anche lui, New Jersey, scrolla il capo. «No, non è la stessa tragedia». Mister Sien è in una sala del museo appena inaugurata. Guarda il video delle vittime degli esperimenti chirurgici nazisti. Corpi smembrati, sfatti. Mister Sien era nel ghetto di Varsavia, poi a Treblinka, dove ha visto uccidere il padre, la madre e la sorella. «Ci sono passato, attraverso il lager e la tortura. Non finisce mai: ci sono dentro ancora adesso. Lasciate perdere i paragoni, per cortesia». Aldo Cazzullo

Persone citate: Lisa Jones, Michael Sien, Nona Reiss, Robin Shea