«La mafia era più forte del nostro potere in Sicilia» di Cesare Martinetti

«La mafia era più forte del nostro potere in Sicilia» «La mafia era più forte del nostro potere in Sicilia» LA VECCHIA DC SOTT'ACCUSA PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Elda Pucci non è stupita: «Ero e sono convinta: la mafia interveniva sulle scelte politiche». La signora è stata sindaco, fu minacciata, le venne fatta esplodere la casa, lasciò la de per dimostrare che contro la mafia non si governa. «Nessuno ha fatto della vera antimafia in questi anni: abbiamo assistito solo ad aggressioni personali degli uni contro gli altri. La vita di partito era soltanto la compravendita di pacchetti di tessere. Durante discussioni politiche mi ò capitato di sentirmi dire: non abbiamo i soldi per contrattare. Erano i soldi che facevano la politica, era notorio e indiscutibile». Ma era la mafia o la de a comandare? La Pucci dice che il potere forte era quello mafioso. Lello Rubino, schiena dritta e aria triste da vecchio galantuomo, invece dice: «Due terzi dei voti veniva dalle parrocchie, un terzo dai moderati che ci votavano per anticomunismo: la politica era più forte della mafia. Prendiamo Lima: aveva il tesseramento nelle mani, era un uomo potente. Era quel potere là ad andare da lui, non il contrario». Ma come si formava il potere dellavpolitica? Dottor Rubino, legga uno dei verbali dell'uomo d'onore Pennino, ex democristiano e neo-pentito: «Nel '78 fui nominato segretario della sezione de di Ciaculli... durante la mia gestione ci riunimmo una sola volta, alla Favarella, nella tenuta dei Greco, per un congresso». Rubino allarga le braccia. Ancora Pennino, sui congressi di partito: «... non si apriva neppure la sezione o il seggio, si firmavano i verbali in bianco...» Rubino è stato due volte deputato: «Nel '56 avevo 28 anni e facevo politica contro quei mafiosetti agricoli, gentuzza, e pensavo che li avremmo battuti, nel giro di dieci anni. Sciascia mi diceva: "Ti illudi, ci vorrà molto di più, la mancanza dello spirito della legalità è troppo diffusa". Adesso mi vien da pensare che aveva ragione lui». Rubino si guarda indietro: «La classe imprenditoriale siciliana che avevamo cercato di far crescere nel '50 e '60 è stata distrutta: chi è morto, chi è sotto giudizio, chi se n'è andato. La lista degli amici e dei compagni di partito è una lista di morti, quelli noti (Mattarella, Nicoletti, Insalaco) e altri: Pasquale Almerico, l'avvocato Campo, l'avvocato Monta- porto, meno noti, ma sempre morti. Possibile che in tanti anni di politica non abbiamo portato a casa nessun risultato? E' come se fossimo riusciti a fare zero a totocalcio, che è difficile quasi come fare tredici. Se fosse cosi, non ci resterebbe che l'esilio». Dai verbali di Pennino: «Lima, quand'era sindaco, arrivò nella sezione de di Monreale accompagnato dai fratelli La Barbera e da Tommaso Buscetta». Si doveva governare con la mafia? Nicola Ravidà, ex assessore regionale, che fu uno dei giovani de cresciuti alla corte del ministro dell'Interno Restivo, riconosce che mafia e politica hanno marciato appaiate per lunghi anni: «lo ho cominciato a far politica più tardi, ma negli Aanni 50 era normale chiedere voti ai boss e negli Anni 60, quando ci fu l'espansione edilizia, i consigli comunali decidevano lo delibere urbanistiche con i mafiosi». In quegli anni il sindaco eia Lima che programmava il sacco edilizio: «Palermo è bella, facciamola ancora più bella». Era furbo il proconsole di Andreotti. Aveva fatto elaborare il piano regolatore da un architetto di sinistra, Samonà, e quando gli dicovano che le strado erano troppo stretto, lui rispondeva: «Non lo ho disegnato io...» Che la vita di partito fosso tutta una finzione si sapeva, dice Pavida, si sprecavano i «verbali bianchi» di cui parla Pennino o non c'era bisogno di scomodare Riina per scoprirlo: «Ma attenzione a questo Pennino, lo sue parole non sono oro colato. Dico che ero amico dei Salvo, ma io da assesso¬ re tolsi loro l'appalto por l'elaborazione dei dati di bilancio della Regione o pubblicizzai lo esattorie. Li conoscevo, certo, ma li consideravo arroganti, cercavano di subornare la politica». L'insidia del neo-pentito, che qui a Palermo viene percepito come il Mario Chiesa di una frana di arrosti prossima ventura sul «terzo livello», ognuno la allontana a modo suo. Rubino: «L'avrò visto qualche volta». Ravidà: «Era uno stimato medico dell'Inani». E un dinosauro della politica palermitana come Ernesto Di Fresco, oltre trentanni di Consiglio comunale, vicesindaco di Lima, un fanfaniano che ha traghettato la sua Unione popolare al sostegno di Forza Italia e Alleanza nazionale? «Lo conoscevano tutti». Ma lui si sentiva condizionato dalla mafia? «Io no, oro un bastian contrario o non mi hanno mai candidato deputato. In comune oravamo come dei quasi pupi... o, meglio, obbedivamo alla direttivo di partito che arrivavano dalla segreteria nazionale a quella locale». Già, vecchia storia: la mafia era a Roma, non qui a Palermo. Cesare Martinetti L'ex sindaco Pucci: «I boss intervenivano nelle nostre scelte politiche» Ma Rubino: «Condizionati da Roma» Da sinistra Giancarlo Caselli Elda Pucci e il pentito Gioacchino Pennino