«Superato» l'esame di democrazia non resta che discutere delle tv

Arriva il disegno di legge del neoministro delle Poste Gambino sulla «par condicio» LE CRITICHE AL CAVALIERE «Superato» l'esame di democrazia non resta che discutere delle tv SONO grata all'on. Silvio Berlusconi per la pazienza argomentativa con cui definisce, e conferma, la natura democratica della sua opera politica. Gli sono grata soprattutto per il tono con cui confuta le mie tesi: il tono è quello della conversazione, e di esso mi pare che in Italia ci sia grande bisogno. Per parte mia non credo di aver adottato modi diversi di critica: dopo aver ascoltato l'intervento del presidente della Camera al congresso della Lega mi sono limitata a constatare l'esistenza di un dubbio sulla democraticità dell'ex presidente del Consiglio. Ho definito molesto tale dubbio, per lui come per l'Italia. Ho aggiunto infine che, se l'accusa del presidente Pivetti fosse legittima, non avrebbe alcun senso conversare, ma bisognerebbe invece scegliere la Resistenza. Accolgo anche la critica che Berlusconi rivolge ai giornali, che avrebbero «fatto poco per spiegare alla gente come stanno davvero le INE cose», e continuo la conversazione iniziata. Come stanno dunque le cose? L'on. Berlusconi dice che il 27 marzo scorso, grazie alla sua scelta di fare politica, fu evitato un risultato «pessimo per la democrazia»: la vittoria di uno schieramento dominato dal pds, che sarebbe un partito ^sam ancora provvisto di cui- filili tura illiberale, divincolatosi dal comunismo solo dopo la caduta del Muro di Berlino. Un rigore che si può condividere, ma che per essere coerente dovrebbe estendersi anche al partito di Fini. In Italia c'è urgenza di uscire dalla cultura postcomunista come anche da quella postfascista, e obnubilare l'esistenza di quest'ultima non chiarisce alla gente come davvero stiano le cose. Il postfascismo nel marzo dell'anno scorso non era semplicemente una «forza di tradizione e di cultura protestataria», come lo definisce l'on. Berlusconi. Era erede del fascismo, di cui si è liberato solo da qualche settimana. E ancor oggi Fini' riconosce il valore dell'antifascismo ma poi a Londra afferma: «E' la storia ad aver condannato Mussolini, non c'è bisogno che lo condanni io». Perché non c'è bisogno? Se D'Alema dicesse cose simili - «E' la storia che ha giudicato Stalin, non c'è bisogno che lo condanni io» -, una maggioranza di italiani sarebbe quanto meno scombussolata. Ma usciamo da questi casi ni Se buss Lr specifici, e veniamo all'essenziale: cos'è' la democrazia? E' far prevalere una verità, oppure è semplice metodo di competizione e destituzione incruenta di governi che hanno commesso sbagli? Prova le sue virtù nel momento inaugurale, in cui il popolo esprime le sue volontà e le sue fedi, oppure nel momento successivo, in cui il popolo giudica a cose fatte le azioni governative, direttamente o tramite i suoi rappresentanti? A mio parere è il giudizio a cose fatte che fonda la democrazia, assai più che l'inaugurale adesione fideistica del popolo, cui si attribuisce non senza una certa malafede la totale sovranità, e su questo credo che ci sia dissenso fra me e l'on. Berlusconi. Per lui conta la fase inaugurale, e infatti la vittoria del marzo '94 è descritta come vittoria della democrazia sulla non-democrazia («L'ottanta per cento è fatto», disse il Polo delle libertà il 27 marzo). Per me conta la fase successiva, giudicante: è la possibilità di giudicare e destituire il sovrano che dà concretezza alla democrazia, non la possibilità di designarlo, e di dargli assegni in bianco. In un certo senso la mia visione della democrazia è più limitata, temperata. La stessa parola democrazia - governo del popolo - mi sembra (come sembra al filosofo Popper) un equivoco verbale. Piuttosto mi assocerei a quel che disse il drammaturgo austriaco Grillparzer, sulle rivoluzioni del 1848: «Nessuno deve esser libero! Solo perché non lo sia neppure il re, mi auguro che i popoli diventino liberi». Da questa sua visione fideistica della democrazia discende, a mio avviso, il tormento cruciale dell'on. Berlusconi, che è quello del tradimento di Bossi. Egli è in collera con la Lega, perché i suoi deputati sono stati eletti con i voti determinanti di Forza Italia, e si sono dimostrati purtuttavia sleali. Ma questo appunto è introdurre, nella democrazia. elementi che le sono storicamente estranei: elementi feudali, clanici, integralisti, comunque privati. Se Bossi ha fatto defezione, vuol dire che è un apostata, che su di lui va pronunciato l'anatema. Il concetto privato e familiare di tradimento non esiste tuttavia in democrazia: in essa il tradimento è lievito della politica, e condannato è solo l'alto tradimento in situazione bellica. Solo negli Stati totalitari il sovrano teme il traditore come la peste, e si circonda di spie, e crea attorno a sé un clan. Ma l'on. Berlusconi, essendo un democratico, sembra aver recepito parte delle critiche che gli vengono rivolte. Ad esempio, non parla più di «colpo di Stato» a proposito della maggioranza parlamentare che l'ha costretto alle dimissioni: «Votare contro il mio governo è stato un atto legittimo del Parlamento», dice nella sua lettera a «La Stampa». E' un aspetto importante della sua ultima campagna politica, e secondo me molto positivo. Ancor più positivo sarebbe se si potesse cominciare una vera conversazione sulla compatibilità tra le sue due attività: quella di politico e di statista, e quella di proprietario di tre reti televisive private (nella sua replica l'ex presidente del Consiglio si difende dall'accusa di llil aver messo le mani sulla Rai, ma io non ho parlato nel mio articolo della Rai). Anche questo è un punto che varrebbe forse la pena chiarire, davanti alla gente. C'è per esempio uno spot televisivo che dice, a proposito degli attacchi recenti contro le proprietà televisive della Fininvest: «Ogni scusa è buona per attentare alla nostra libertà (della Fininvest, n.d.r.), che è anche la tua», e la gente potrebbe credere che quel che ascolta sia vero. Che la libertà dei cittadini nella sua pluralità sia davvero garantita in toto dall'esistenza di un monopolio televisivo privato. L'ex presidente del Consiglio sa bene che questo non è veridico. Che frasi simili - su una Parte della società che pretende di rappresentare il Tutto, il Popolo nella sua omogeneità - son state dette in passato dai giacobini, dai rivoluzionari di destra e sinistra, con conseguenze nefaste per la libertà. Se non lo sapesse, l'on. Berlusconi non sarebbe l'uomo politico democratico che certamente è. Barbara Spinell elli «Il concetto privato di tradimento non esiste In democrazia questo è lievito della politica»

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