Sul peone l'ultima croce di Filippo Ceccarelli
Sul peone l'ultima croce LA MANOVRA IMPOPOLARE Sul peone l'ultima croce Un weekend per spiegare le nuove tasse ROMA. Vadano, vadano pure a spiegarlo ai propri elettori, adesso, se si tratta di manovra 0 di manovrina. Tornino, già in questo weekend, nei loro collegi e provino a convincere la gente che è «equa», come si dice in questi casi, o che, pur non essendolo, ò indispensabile e perciò bisognerà votarla... E ancora un volta il peone, figura che di solito trascende le già desuete, e di questi tempi sempre più desuete categorie di maggioranza e opposizione, ha il cuore spezzato e l'animo in preda a dubbi tanto prevedibili quanto, al momento, dolorosi. Già sente l'impopolarità, della manovra; e la rabbia per qucll'ormai più che ripetitiva qualificazione - «aggiuntiva» - dei cui effetti sacrificali rischia di essere il capro espiatorio. Nell'Italia dell'uninominale, oltretutto, per il politico l'elettorato non ò più un'opaca massa di sconosciuti. Per cui sa già benissimo, il peone - ma non solo lui - che le motivazioni che valgono a Roma, le astute convenienze del gioco politico così come i nobili pronunciamenti sull'interesse pubblico, le abituali recriminazioni sul prima così come le rituali assicurazioni sul poi, ecco, tutto questo armamentario dialettico a poco o a nulla vale sull'elettorato profondo della periferia. Se la forza di persuasione ò molto debole, le elezioni paiono vicine: può restarci secco. E perciò, di destra o di sinistra che sia, di prima o di seconda fila, il deputato soffre, scalpita, indugia, si nevrotizza, non sa, non trova pace e intorno a sé percepisce null'altro che sospetti e malumori. Strisciante e interpartitico, questo disagio generalizzato, questa specie di autocombustione da manovra in arrivo, aiuta a comprendere più di quanto si pensi l'incertezza del momento. Le parole sono infatti sempre più logore nella più abusata reiterazione. Ieri, per dire, il popolare Teresio Delfino se n'ò uscito con la «medicina amara, ma inevitabile». E con altrettanta fantasia c'è chi ha sbandierato la promessasperanza di un rilancio dell'economia, naturalmente con tri¬ plice, ordinaria appendice di «lotta agli sprechi, all'clusione e all'evasione fiscale». In realtà, per istinto e per esperienza, il ceto politico si rende perfettamente conto che nuove tasse hanno ormai sull'opinione pubblica e su un elettorato illuso (e viziato) da slogan irrealistici un impatto assai più duro e serio che non le solite polemiche sull'assentei¬ smo in Parlamento, sugli stipendi e le indennità, sui portaborse e i privilegi di Montecitorio e Palazzo Madama. Benché impellente e del tutto obbligatoria, la manovra fa però quasi più paura agli eletti che agli elettori. Il punto è che, non potendosi scaricare in maniera spontanea e liberatoria, questo comune stato d'animo di inquietudine si è in qualche modo alterato, camuffato e forse perfino ritrovato e provvisoriamente risolto nelle logiche tradizionali. Ha cercato, cioè, un respiro «politico», s'è aggrappato alle abituali divisioni mettendo in ombra i timori e le spinte psicologiche. Così, in nome del senso di responsabilità - e forse anche memore della difficile situazione verificatasi ai tempi della solidarietà nazionale - la sinistra ha chiesto di non essere lasciata sola di fronte alla sicura disapprovazione popolare. «Buonsenso», perciò, ha invocato Turci; «interesse generale» Del Turco; mentre Napolitano si è addirittura detto convinto della collaborazione del polo. Posizioni (e invocazioni) rispettabili, in buona fede, eppure pure sospette di rispondere alla logica proverbiale del «mal comune mezzo gaudio». In modo più o meno speculare, la destra è partita anch'essa dal senso di responsabilità, ma spostando i termini della questione. Nel senso: sono affari vostri, avete voluto questo governo, bene, adesso la manovra ve la votate voi (e l'ostilità pure). Così, anche qui tra sentenze e modi di dire, Mastella ha osservato che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, mentre Publio Fiori s'è detto per nulla disposto a togliere le altrui castagne dal fuoco. Insomma, che se la sbrighino loro, hanno convenuto altri non conosciutissimi deputati come Stornello, Righetti, Cappelli. Prima, però, che dall'alto arrivassero posizioni di maggiore disponibilità. Gasparri, di An, ha chiesto in cambio le elezioni. Anche sulla paura, in fondo, si può trattare. Filippo Ceccarelli Nelle foto qui sotto: Publio Fiori e Ottaviano Del Turco L'aula di Montecitorio sede della Camera dei deputati
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