«Così i boss chiamavano Andreotti» di Francesco La Licata

Nuove rivelazioni del pentito Pennino: al matrimonio della figlia dell'esattore regalò un vassoio I VERBALI DI ACCUSA Nuove rivelazioni del pentito Pennino: al matrimonio della figlia dell'esattore regalò un vassoio «Così i boss chiamavano Andreotti» CPALERMO ALOGERO Marinino in galera, seguito a ruota da Enzo Inzerillo da ieri ospite dell'Ucciardone. Andreotti sempre più sotto pressione, man mano che si avvicina la fatidica data di domani venerdì 17, giorno in cui dovrebbe decidersi la sua sorte, sempre che l'udienza preliminare non venga ancora rinviata per via delle carte che continuano ad affluire a cascata nell'ufficio del gip. Un numero consistente di rappresentanti dell'ex partito di maggioranza che vive sotto l'incubo della visita notturna dei carabinieri. Il deputato regionale della Rete, Elio Bonfanti, si autosospende perché abbondantemente «citato» nei verbali giudiziari. L'ombra del modico Gioacchino Pennino, primo politico-mafioso pentito, che agita il sonno di tanti sopravvissuti della prima Repubblica. Andreotti davanti a tutti, visto che una prima scossa allo sue «verità» arriva proprio dalle ultime dichiarazioni del ncocollaboratore. Pennino conferma le rivelazioni che i pentiti di mafia avevano sottoscritto a proposito di «Andreotti referente di Cosa Nostra». E dice una parola definitiva sul famoso regalo che l'ex presidente del Consiglio avrebbe inviato in occasione delle nozze tra la figlia di Nino Salvo, Angela, e il medico analista Gaetano Sangiorgi, successivamente rivelatosi anch'egli «uomo d'onore» tanto pericoloso da aver partecipato all'uccisione di Ignazio Salvo, cugino e socio del suocero. «Nel n^/embre '93 - ricorda Pennino - Sangiorgi mi riferì che poco tempo prima aveva subito una perquisizione da parte di agenti della Dia i quali non avevano trovato quel che cercavano, e cioè un regalo che avrebbe ricevuto dall'on. Andreotti... Egli mi confermò che in realtà per il matrimonio il detto uomo politico gli aveva regalato un enorme vassoio d'argento che tuttavia egli era riucito a nascondere proprio per evitare che venisse individuato». Già, i Salvo e Andreotti. Pennino è implacabile: «... Nino e Ignazio Salvo mi parlarono molto spesso della loro amicizia con l'on. Andreotti... Ricordo che mentre il Nino lo chiamava "zio Giulio", manifestando rispetto nei suoi confronti, l'Ignazio invece lo definiva "Giulio", quasi che i loro rapporti fossero contrassegnati da maggiore intimità ed amicizia». «Nessuna stima - precisa il pentito - invece i due cugini nutrivano nei confronti di Ciancimino Vito, anche se con me non ebbero mai a motivare tale atteggiamento». E a proposito di Andreotti in Sicilia: «... nel '79 Lima ebbe a Palermo, in occasione delle consultazioni europee, un incontro con l'on. Andreotti, che venne in quella occasione invitato a cena all'hotel Zagarella dei cugini Salvo». Che quadro, quello dipinto da «Gino» Pennino, un tempo «bravo ragazzo» dedito allo studio, poi deviato dalle frequentazioni degli amici dello zio omonimo, mafiosi e perditempo incredibilmente concentrati al Circolo della Stam- pa dell'epoca (Anni 60) e al Circolo di Tiro a volo dell'Addaura. Trent'anni di «sovranità limitata» di una de completamente ostaggio di Cosa nostra. Un partito sudamericano, a sentire il politico pentito. Palermo come Santo Domingo. Le deleghe per i congressi. «Venni nominato nel 1978 segretario della sezione de di Ciaculli... Durante la mia gestione ci riunimmo una volta sola alla "Favarella", nella tenuta di Greco, credo in occasione del congresso provinciale del 1979...». «Il Greco stabilì che, delle cinque deleghe che spettavano alla sezione in proporzione al numero degli iscritti per partecipare alle votazioni al congresso provinciale, due andavano a me per la corrente di Ciancimino, tre se le riservava lui, facente capo a Fanfani». le tessere. «Gestione delinquenziale», dice Pennino. «Le iscrizioni venivano fatte direttamente alla sede del partito o alla sezione su richiesta degli interessati - se costoro esistevano realmente - ovvero, se le iscrizioni erano fittizie, venivano fatte a cura del segretario di sezione al proprio domicilio...». «Come ho detto, proprio la commissione di garanzia, che aveva il compito di trarre i consuntivi, provvedeva a falsificare i dati secondo le direttive dei tea-, der ed i pregressi accordi». «... in alcuni casi, specie in provincia, non si apriva neppure la sezione o il seggio, ma ci si limitava a firmare i verbali in bianco...». «Il sistema si proponeva per i comitati re¬ gionali, in cui votavano i delegati provinciali, e così via fino al congresso nazionale e ai delegati nazionali». «Per quanto riguarda le tessere, le relative quote venivano pagate solo da pochissimi iscritti, per il resto erano i leader del partito a finanziare il tesseramento. A Palermo per Ciancimino pagava Lima, secondo un accordo intercorrente tra i due politici...». Il «senatore». «Greco Salvatore, detto il "senatore", si occupava attivamente di politica. Ricordo che girava casa per casa per procurare voti ai suoi protetti e in particolare all'on. Gioia e a Insalaci»,..». «Il Grefip intratteneva con Ciancimino un buon rapporto...». I poni d'acqua. Pennino racconta una riunione con la partecipazione di Vincenzo Zanghì, presidente dell'Acquedotto municipale e uomo di Ciancimino. La mafia chiese l'intervento del dirigente dell'Amap perché si «ventilava la possibilità di una requisizione dei pozzi d'acqua. Lo Zanghì promise il suo intervento favorevole». In favore di Attilio Ruffini. «Nella seconda metà degli Anni 70 e comunque nel periodo in cui l'on. Ruffini Attilio era già ministro e si candidava di nuovo per la Camera, nella tenuta dell'Abbate all'altezza dello Sperone si tenne una riunione elettorale grandiosa per caldeggiare la sua candidatura». I «consigli». «... alla riunione parteciparono, oltre a me e mio zio Gioacchino, Tommaso Buscetta, Salvo Lima e Pippo Cerami. Scopo della riunione era quello di convincere Cerami ed Ernesto Di Fresco a non entrare nella giunta comunale». La campagna elettorale di Lima. L'episodio è dei primi Anni 60, quando «Salvino» era già sindaco e si ricandidava: «Lima arrivò accompagnato dai fratelli La Barbera (capimafia, ndr), da mio zio Gioacchino (capomafia, ndr), da Tommaso Buscetta, dai fratelli Mancino (mafiosi, ndr) e da Ferdinando Brandaleone (politico, ndr)». «So che altre riunioni con gli stessi partecipanti vennero indette in altre borgate di Palermo, ma io non vi partecipai». La malia fa «avvicinare» Ciancimino ad Andreotti. «Venni chiamato da Giuseppe Di Maggio (mafioso, ndr) e mi venne detto che alla riunione che si sarebbe tenuta a casa di Ciancimino sarebbe stata avanzata la proposta di aderire alla corrente di Andreotti». Cosa Nostra vota psi. «... si doveva quindi votare per i candidati socialisti che, se non ricordo male, erano Martelli, Fiorino, Alagna e Reina...». Voltafaccia ai Salvo. Pennino dice che l'on. Salvatore Grillo «non rinnegò mai l'amicizia coi Salvo, neppure dopo le loro disavventure giudiziarie, ciò che invece sentii fare all'on. Ravidà e al senatore Cerami». Francesco La Licata «Fu la mafia a farlo incontrare con Ciancimino»

Luoghi citati: Cerami, Lima, Palermo, Santo Domingo, Sicilia