«Per me non è più nessuno»

lira «Per me non è più nessuno» E la moglie del medico «si dissocia» lira dei parenti PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «E' l'ultima pugnalata che poteva darmi alle spalle. Di lui non voglio sapere più nulla». Si sfoga così a Palermo Rita D'Angelo, la moglie del medico analista Gioacchino Pennino, ex cianciminiano, il pentito accusato di associazione mafiosa che ha contribuito a fare arrestare l'ex ministro Calogero Mannino. La donna si dissocia dal marito anche per conto dei tre figli e tagliente aggiunge: «Per me ormai è un perfetto sconosciuto. Non ho affatto condiviso la sua decisione. E' una carognata che da lui non mi sarei aspettata». E sostiene di non aver mai lontanamente immaginato che il marito fosse «uomo d'onore». «Sì, dico la verità - afferma - proprio non ne sapevo nulla». C'è subito da domandarsi: è la paura di ritorsioni che la spinge a questa clamorosa presa di distanze dall'uomo con il quale ha diviso lunghi anni di vita? Oppure è l'amareggiata, e umanamente comprensibile, reazione di una donna delusa dal crollo d'una posizione sociale conquistata e sempre difesa? Non ò comunque un comportamento inedito. Precedenti la cronaca ne ha registrati numerosi di parenti o amici che, nel timore di vendette trasversali dei boss ovvero per pura e semplice convinzione, hanno sconfessato pentiti e se ne sono allontanati. In ordine di tempo l'ultimo caso si ò avuto appena una settimana fa, protagonisti a Taranto i fratelli di Vincenzo Cesario, che con le sue rivelazioni sta mettendo nei guai un bel po' di esponenti della «Sacra Corona Unita», la mafia pugliese. Con perfetta scelta di tempo, una certa dose di fantasia e molta faccia tosta i Cesario hanno fatto stampare e affiggere sui muri un manifesto listato a lutto con l'annuncio del decesso del pentito e la sprezzante scritta: «Per noi Vincenzo è morto perché sta accusando tanta gente innocente. Il funerale non ci sarà poiché il cadavere è stato buttato nella spazzatura». Maria Iannone ci ha messo di mezzo anche un cambio di partner. Ha piantato il marito Claudio Severino Samperi, mafioso pentito di San Cataldo vicino a Caltanissetta, e si è unita al boss Salvatore Pappalardo che nella cosca locale aveva preso il suo posto. E quando questi è stato arrestato, Maria Iannone ha spiegato agli inquirenti di aver allacciato la relazione «per salvare i miei bambini». Si sono appellati invece alla loro «autonomia» padre e madre di Balduccio Di Maggio, l'autista factotum di Totò Riina, che con la sua soffiata ai carabinieri del Ros due anni fa permise la cattura, dopo 23 anni di latitanza, del sanguinario padrino di Cosa nostra in Sicilia. I genitori di Di Maggio sono rimasti a Corleone e ripetono: «Non abbiamo mai fatto del male a nessuno, vogliamo stare in pace con tutti». E il figlio? «Non sappiamo niente». Violenta, senza cuore proprio come in una tragedia greca in cui tutto il peggio è possibile, la madre di Rita Atria non esitò a distruggere con un martello l'effigie sulla tomba della figlia diciottenne suicida. Un messaggio distensivo per i boss che anni prima le avevano ucciso il marito e il figlio maggiore. Rita aveva raccontato a Paolo Borsellino tutto quel che sapeva sulla mafia «storica» di Partanna, nel versante trapanese della Valle del Belice. Dopo la strage di via D'Amelio in cui il giudice fu assassinato con cinque poliziotti, Rita si sentì smarrita e a Roma, dove con il fratello Giuseppe era sorvegliata da agenti dei servizi speciali antimafia, si uccise lanciandosi da un balcone. Struggente il suo biglietto di addio. Antonio Ravidà

Luoghi citati: Caltanissetta, Corleone, Palermo, Partanna, Roma, San Cataldo, Sicilia, Taranto