«Per Marnino i voti di Cosa Nostra» di Francesco La Licata

£ Palermo, nuovi particolari sulle accuse all'ex ministro. Che disse: «Ammalano me o Lima» £ Palermo, nuovi particolari sulle accuse all'ex ministro. Che disse: «Ammalano me o Lima» «Per Marnino i voti di Cosa Nostra» E la mafia ordinò di uccidere il «rivale» Mattarella PALERMO DAL NOSTRO INVIATO «O ammazzano me o ammazzano Lima». Quasi una profezia, la confidenza fatta dall'ex ministro Calogero Mannino al maresciallo Giuliano Guazzelli, prima che l'eurodeputato democristiano, fedelissimo di Giulio Andreotti, cadesse sotto i colpi di Cosa nostra nella tragica mattinata del 12 marzo 1992. E' stato il figlio del sottufficiale dei carabinieri (anch'egli ucciso dalla mafia il 5 aprile successivo), Riccardo, ad avere offerto ai magistrati della procura di Palermo la chiave di volta per «spiegare» le accuse di mafiosità rivolte a Calogero Mannino, da lunedì pomeriggio rinchiuso in una cella d'isolamento dell'Ucciardone, sommerso da una valanga di verbali sottoscritti da Gioacchino Pennino, il pentito della politica che ha aperto un libro senza fine. Adesso è rimasto travolto Mannino, ma la gola profonda ha svelato tanti di quei misteri di «ordinaria corruzione» da autorizzare l'ipotesi di un imminente repulisti generale. Lillo Mannino, sostiene la procura, aveva intrattenuto rapporti stabili ed organici con Cosa nostra, avvantaggiandosene elettoralmente attraverso il complesso reticolo di amicizie e interessi ad Agrigento, a Sciacca, a Palermo e nel Trapanese. Dice il pentito Paolo Palazzolo che nel 1992 Cosa nostra aveva persino «deliberato la soppressione dell'on. Mat- tarella (Sergio, ndr) perché aveva avuto un notevole consenso elettorale in quella zona (Castellammare del Golfo, ndr) e quindi dava molto fastidio a Mannino...». Da lui, quindi, la mafia pretendeva la stessa solerzia richiesta a Salvo Lima, specialmente in direziono di un interessamento politico per l'aggiustamento dei processi che andavano male, anche in Cassazione. Ma perché la mafia avrebbe dovuto prendersela con l'ex ministro? Per i giudici non v'è dubbio: proprio mentre Cosa nostra premeva, Mannino si «defilava» e, dimentico delle trascorse frequentazioni pericolose (minuziosamente elencate dai pm Teresi e Principato), addirittura assumeva atteggiamenti da predicatore antimafia. Tanto da essere indicato nell'«ambiente» come «doppio» e «traditore». Per dirla con le parole del pentito Michelangelo La Barbera, «faceva il crasto», cioè combatteva Cosa nostra a parole e poi sotto sotto andava a chiedere i voti. Poi, dopo l'omicidio Lima, ha cercato di prendere ulteriormente le distanze, provo¬ cando le minacce e persino più di un «avvertimento». Così, in sistesi, Giancarlo Caselli e i suoi collaboratori hanno spiegato la lunga serie di accuse contenute nell'ordinanza di custodia cautelare contro Mannino, firmata dal gip Alfredo Montalto. I rapporti con rappresentanti delle istituzioni. I magistrati sospettano che l'ex ministro abbia fatto ricorso a tutte le sue «aderenze» per liberarsi delle accuse rivoltegli dal pentito Rosario Spatola, non ultima quella di aver fatto da testimone alle noz¬ ze del figlio del boss Caruana. Secondo l'accusa, in favore dcll'allora ministro si mobilitarono due procure, Agrigento e Sciacca. La vicenda, che ebbe protagonista anche il maresciallo Guazzelli autore di un rapporto favorevole a Mannino, si sa, finì con l'archiviazione. Ma oggi vengono fuori particolari inediti, come l'interessamento nell'«affaro Mannino» di Bruno Contrada, il funzionario del Sisde attualmente sotto processo per collusione con la mafia. I magistrati hanno trovato nelle agende dell'ex poliziotto numerosi riferimenti che testimoniano i contatti con Mannino. Appuntamenti, telefonate, incontri (uno anche in presenza del generale Antonino Subranni, allora comandante del Ros) sottolineati da commenti: «Mi ha parlato della sua vicenda», «Colloquio su sua vicenda», «Colloquio su cose di Sicilia», «Dal ministro per anonimo». Quest'ultimo riferimiinto riguarda la lettera anonima del giugno '92 che accusava Mannino di aver incontrato Riina. I rapporti con Cosa nostra. Secondo l'accusa ne ha avuti in mezza Sicilia. Con il boss Leonarodo Caruana si sarebbe incontrato a Pescina, dove il boss stava ai soggiorno obbligato. Giuseppe Settecasi, capo della «provincia mafiosa» di Agrigento, presenzia ad una cena elettorale alla «Taverna Mose», organizzata dal dott. Cascioferro, ufficiale medico, in favore di «Lillo». E non ò tutto: tra i suoi grandi elettori l'accusa ha individuato Tony Velia, uomo d'onore che «raccomanda» Mannino agli «amici» palermitani avendo cura di specificare che non si trattava di una invasione politica nella sfera dell'ori. Salvo Lima, ma solo di una congiuntura elettorale. Amicizie analoghe avrebbe intrattenuto ad Agrigento, nelle persone di Giuseppe Virane e Carmelo Salcmi, mafiosi entrambi. Con la «famiglia» Grassonelli di Porto Empedocle, infine, i contatti sarebbero stati strettissimi. I rapporti coi cugini Salvo. L'«attrazione» sarebbe avvenuta quando era assessore regionale alle Finanze. I giudici sostengono che Mannino «aveva prestato loro un notevole aiuto in relazione alle esattorie». Un teste spiega che il politico era stato ricompensato con una contropartita in denaro e in posti di lavoro per i suoi raccomandati. E a proposito di favori, Pennino svela l'assunzioni! di Antonino Mortillaro, ex comunista passalo alla de, presso una sede periferica del ministero dell'Agricoltura. Francesco La Licata E dopo le rivelazioni «Aiutò i Salvo dei pentiti Lo ricompensarono tremano altri big con denaro e favori» £