SALSA DI PESCE PER LIUTPRANDO

SALSA DI PESCE PER LIUTPRANDO SALSA DI PESCE PER LIUTPRANDO Le tante Europe del Medioevo UNA Storia d'Europa che in un solo volume copre le vicende del nostro continente sull'arco di dieci secoli non può essere, evidentemente, una storia di tipo tradizionale. Il terzo tomo dell'impresa einaudìana, dedicato al Medioevo e curato da Gherardo Ortalli dell'Università di Venezia (pp. 1267.L. 140.000), vuole offrire piuttosto una lettura enciclopedica e multidisciplinare. Come in un'enciclopedia, vi si trova di tutto, ma le informazioni non sono radunate in ordine alfabetico, né elencate una dopo l'altra seguendo il filo della cronologia. I 24 autori, italiani e tedeschi, spagnoli e polacchi, francesi e danesi, cercano soprattutto di trasmettere al lettore il senso di una riflessione globale sull'esperienza del Medioevo europeo. Si può, naturalmente, usare il volume come opera di consultazione e di aggiornamento. C'è un capitolo sulla moneta, in cui si spiega la storia complicata del denaro grosso e del fiorino, e uno sulle misure, per scoprire come imbottavano l'olio e il vino i mercanti di Colonia o di Parigi, e non mancano interventi puntuali sull'articolazione linguistica del continente, sull'invenzione della scrittura, sugli usi e abusi dell'immagine. L'indice dei nomi, in 50 pagine fittissime, contiene rimandi a tutti i luoghi e i personaggi che il nostro immaginano può desiderare, da Aardenburg (citta fiamminga) a Zurigo, e forte è la tentazione di percorrere il volume proprio partendo dall'indice, per fare la conoscenza di Shirkuh, generale e gran visir, o di Krum, khan della Bulgaria danubiana. Ma il senso più profondo dell'operazione sta nello sforzo di fare del Medioevo un tramite per pensare l'Europa. Nessuno può sapere, oggi, se il processo di integrazione europea sia destinato a proseguire nel tempo, o se vecchi e nuovi nazionalismi non riusciranno a insabbiarlo; certo gli eventi più recenti danno motivo di temere che se ad un'Europa in qualche modo unita si arriverà un giorno, sarà però un'Europa mutilata, senza il SudEst, senza l'Est, forse senza il Nord. Ma lontano da Bruxelles e da Maastricht, nelle Università e nelle case editrici, un'Europa della cultura esiste già, autonoma e anzi spesso impaziente nei confronti degli opportunismi comunitari. Ciò che più la contraddistingue è proprio la certezza che non si può pensare l'eredità europea senza quelle regioni e quelle civiltà, dall'Islanda alla Macedonia, che in passato ne costituivano parte integrante. Solo l'appiattirsi della coscienza europea sull'Occidente, sui trionfi tecnologici, commerciali e coloniali di Francia, Inghilterra e Germania (un fenomeno che risale appena al Sette-Ottocento) fa sì che possa apparire originale e addirittura coraggioso, oggi, dedicare gran parte di una Storia d'Europa alle sabbie baltiche e alle steppe ucraine, alla lingua araba e al greco bizantino, alla corte di Uppsala e a quella di Buda, agli slavi dei Balcani e a quelli di Mosca. Né Carlo Magno né Federico II ne sarebbero rimasti sorpresi. Certo, proprio nel Medioevo si rompe per la prima volta l'unità del mondo mediterraneo, culla della civiltà ellenistico-cristiana, e si afferma un'Europa continentale e terragna, con le spalle voltate al mare; ma quell'Europa, i cui capi si credono incaricati da Dio di diffondere la fede cristiana fino all'estremo limite del mondo, non conosce confini verso Nord e verso Est, se non nelle terre favolose dove abitano, secondo i geografi, Cinocefali e Ci¬ clopi, Antropofagi e Amazzoni. L'Europa del Medioevo non ha dunque un destino occidentale già scritto nelle stelle. Per molto tempo sono rimasti nella sfera del possibile esiti ben diversi da quelli che poi si sono realizzati. Un'Europa bizantina, o un'Europa islamica, aleggiano in potenza nel nostro passato, e per comprendere l'esperienza medievale è necessario fare i conti con quelle Europe possibili, molto più onestamente di quanto non si faccia di solito celebrando la vittoria di Carlo Martello a Poitiers. Fare storia d'Europa significa allora ritrovare gli elementi che hanno contribuito nel corso di un millennio allo svanire di quelle alternative, e all'affermarsi dell'Europa cristiana e latina. Tutti conosciamo le tappe più importanti, come, la notte di Natale dell'800, quando papa Leone III incoronò imperatore Carlo Magno: allora fu deciso una volta per tutte che Roma avrebbe guardato alla Pianura Padana, e oltre, alle Alpi e al Reno, anziché al mare e alle cupole dorate di Costantinopoli. Ma in questo volume si ricorda anche il vescovo longobardo Liutprando di Cremona, mandato da Ottone I a trattare con l'imperatore bizantino Niceforo Foca. Invitato a pranzo, Liutprando trovò che la cucina romana classica, ancora in uso a quella corte, era immangiabile: il «garum», la salsa di pesce celebrata da Apicio, risultava al suo palato un liquame disgustoso. Per quanto poco possiamo avere in comune con un vescovo longobardo di mille anni fa, non c'è dubbio che la nostra reazione alle ricette romane sarebbe paragonabile alla sua: un pezzetto, per quanto minuscolo, dell'odierna identità europea era già stato forgiato. Ma è solo oltre i limiti convenzionali del Medioevo che quell'identità si rinchiude definitivamente entro un perimetro angusto ed è un paradosso, perché proprio allora i nostri avi partono alla conquista del mondo. L'Europa medievale nei secoli del suo maggior splendore avevano occupato Gerusalemme e Costantinopoli, insediando principati latini ad Antiochia, a Cipro, ad Atene, poi, la marea turca aveva costretto ad abbandonare quegli avamposti, nel momento stesso in cui si spalancavano per gli Europei le porte dell'Atlantico, le ricchezze dell'Africa e dell'America. Mentre le caravelle portoghesi si spingevano nell'Oceano Indiano e gli eserciti spagnoli conquistavano imperi nel Nuovo Mondo, i Turchi sommergevano gli antichi regni cristiani dell'Europa orientale, dalla Serbia all'Ungheria, senza che le altre potenze europee intervenissero in loro soccorso. Allora, forse, si consumò definitivamente nella coscienza europea quella scissione fra Occidente e Oriente che ancor oggi alimenta l'incapacità d'azione, e peggio l'indifferenza, dell'Europa nei confronti di terre e culture considerate ormai periferiche rispetto alla nostra civiltà. Questa accusa, che si leva esplicita da molti dei saggi contenuti nel volume, giustifica la scelta editoriale di mantenere una periodizzazione convenzionale, con un punto d'arrivo alla fine del Quattrocento e un'età moderna racchiusa fra Cinque e Settecento. Una scansione che sempre più spesso gli storici, in privato, giudicano inadeguata, se non addirittura fuorviante; ma che conserva una sua efficacia appunto nell'evidenziare il contrasto fra le molte Europe ancora possibili nel Medioevo e quella che, tardivamente, ci siamo ritrovati ad abitare. Alessandro Barbero

Persone citate: Alessandro Barbero, Antiochia, Buda, Carlo Magno, Federico Ii, Gherardo Ortalli, Niceforo Foca, Turchi