« Pace da noi come in Sud Africa »

Att Ahmed: se ci sono riusciti loro, è possibile « Pace da noi come in Sud Africa » Att Ahmed: se ci sono riusciti loro, è possibile IL LEADER DEL FRONTE SOCIALISTA ALGERI OPO l'interruzione del processo elettorale nel gennaio 1992, il Fronte delle forze socialiste ha lanciato un , appello al dialogo per risparmiare all'Algeria un bagno di sangue. Il Fronte si è mobilitato per convincere i due protagonisti della violenza (governo e integralisti islamici) e gli algerini tutti che l'alternativa pacifica e democratica è non solamente possibile ma vitale e urgente. Non abbiamo mai smesso di ribadire le nostre tesi in vista di una uscita dalla crisi politica grazie a una Conferenza nazionale tra il potere e le opposizioni sulla base di un contratto democratico. Una fase di transizione che dovrebbe portare il Paese alle prime elezioni libere della sua storia. Nel processo di pace in Sud Africa, neri e bianchi, opposti da secoli di segregazione e di lotte razziali, hanno dimostrato che soluzione negoziale e riconciliazione nazionale con garanzie democratiche non sono chimere, quando c'è la volontà politica, da una parte e dall'altra, di dimenticare odi e rancori al fine di realizzare istituzioni democratiche. Invece, da tre anni il potere insiste a voler risolvere con le armi una crisi di ampiezza e gravità tali da superare il quadro del confronto fra militari e fondamentalisti. In tutti i nostri defatiganti incontri, il governo ha invariabilmente praticato verso i partiti di opposizione una politica di diktat, di fatti compiuti e di minacce per ottenere il loro sostegno alla strategia dell'eliminazione armata degli integralisti. Si è ingegnato, moltiplicando le simulazioni di dialogo, a manipolare, soffocare, dividere e screditare le forze dell'opposizione. Per proclamare ogni volta, alla fine, che «il dialogo è fallito». E in effetti questo è stato il tema principale del discorso pronunciato dal generale Zeroual il 1° novembre in occasione del quarantesimo anniversario dell'inizio della rivoluzione algerina. Come poteva non fallire un dialogo cha non è mai stato avviato in una forma credibile? In realtà, il potere voleva creare l'impasse al fine di scaricarne la responsabilità sull'opposizione, davanti all'opinione pubblica interna e internazionale. L'impasse doveva servire da pretesto a un rilancio in grande stile della politica di eliminazione armata. Per cui, paradosso della storia, la commemorazione di un grande anniversario è stata sfruttata per annunciare al popolo algerino non misure di riconciliazione, ma al contrario l'avvio di una nuova fase di operazioni militari di ampiezza e intensità senza precedenti. Con l'assistenza tecnica per l'addestramento dei quadri militari e politici e il sostegno logistico e diplomatico, senza parlare della copertura mediatica, da parte di una potenza straniera. L'Algeria si trova in un'impasse. Un'impasse totale. Con l'unica prospettiva dell'affondamento dello Stato e dell'esplosione del Paese. Al punto che il mondo intero, ma soprattutto il popolo algerino, disperati di fronte all'escalation dell'orrore cieco, hanno finito col credere che niente possa fermare la discesa agli inferi. E' a questo punto che l'avvenire dell'Algeria 6 stato illuminato da una speranza accesasi a Roma. Per iniziativa della Comunità di Sant'Egidio, i partiti rappresentanti l'opposizione algerina si sono riuniti per cercare di trovare insieme una soluzione politica idonea a far uscire il Paese dall'incubo. Due incontri nell'arco di due mesi sono stati sufficienti ai negoziatori a mettersi d'accordo su un compromesso che ormai si può definire storico. Una «piattaforma per una soluzione politica pacifica e democratica» è stata adottata e firmata il 13 gennaio 1995. Risultato miracoloso? Sì!, se si considerano le divergenze che separavano i firmatari dell'accordo di Roma. Il documento elaborato delle opposizioni algerine prospetta una soluzione della crisi complessiva, coerente e ben articolata. Definisce un quadro: un contratto democratico che impegna le parti a rispettare in particolare: - i diritti dell'uomo come definiti dalla Dichiarazione universale e dagli altri trattati internazionali; - il diritto all'alternanza al governo; - il pluralismo politico, culturale, linguistico e confessionale; - le libertà individuali e collettive senza distinzioni di religione, razza, sesso e lingue. Fissa un obiettivo: la legittimità democratica, si tratta di organizzare un ritorno alle urne che permetta al popolo algerino di recuperare la sua sovranità per non perderla più. Avvia un processo che prevede: - le modalità pratiche della cessazione della violenza e dei combattimenti; - la riapertura del campo politico e mediatico; - la creazione di strutture pluralistiche che dovranno gestire la transizione democratica. Questo barlume di speranza è diventato oggi un'alternativa politica vera e credibile: tanto per la popolazione algerina, che ha ripreso fiducia in se stessa e nel suo avvenire, quanto per la comunità internazionale che ora sa che una soluzione politica è possibile. La piattaforma di Roma ò al centro del dibattito in Algeria e sull'Algeria in seno al Paese ed entro l'Unione europea. Continua a suscitare consensi ed entusiasmo soprattutto nei quartieri popolari delle grandi città e presso la gioventù senza prospettive che co- stituisce i tre quarti della popolazione algerina. Un'analoga dinamica politica si è messa in moto nell'Unione europea dove si opera per favorire una soluzione negoziata. Ma questa dinamica politica si scontra in continuazione con il rifiuto opposto dal governo alle offerte di negoziato, di pace e di riconciliazione avanzate dell'opposizione. Le autorità continuano a condurre campagne di stampa isteriche contro gli accordi di Roma. Non cessano un attimo di mobilitare la pubblica amministrazione e i mass media per organizzare manifestazioni in tutto il territorio nazionale. E continuano a fare assegnamento sui metodi totalitari di agitazione e manipolazione che hanno loro permesso di fare dell'Algeria una versione anacronistica dei regimi dell'Est europeo. Nulla potrebbe esprimere in modo più chiaro il rifiuto di cambiare. L'esercito algerino offre oggi un'ipotetica elezione presidenziale, presentandola come una ripresa del processo elettorale. Si tratterebbe, in realtà, di tutt'altra cosa: non si potrebbe che plebiscitare un uomo o un altro, scelto entro il serraglio del sistema. Finché avviene in un inquadramento totalitario, 1 processo elettorale non può essere democratico: sarebbe solo la prefabbricazione politica e tecnica di una votazione il cui risultato ò stabilito in anticipo. Arrestino prima il massacro. Poi, tutto è negoziabile in Algeria. Tutto, ma nel quadro della concertazione e della pace civile. L'ho detto e ripetuto: la soluzione della crisi va trovata all'interno dell'Algeria. Ma la comunità internazionale deve usare tutto il suo peso in favore dei negoziati. Noi chiediamo che l'Unione europea parli con una sola voce. Fino a questo momento, la Francia ha scelto la strada dell'aiuto economico massiccio all'attuale governo algerino, mentre altri Paesi chiedono l'avvio del dialogo politico. La nostra iniziativa permette ora all'Unione europea di associare l'aiuto economico massiccio alla soluzione negoziata della crisi. Hocine Alt Ahmed Presidente del Fronte algerino delle forze socialiste AVt Ahmed presidente del Fronte delle forze socialiste algerine Sopra una manifestazione nelle vie di Algeri

Persone citate: Att Ahmed, Hocine, Zeroual