Gavino Sauna: un'immagine che sa troppo di chiesa di Guido Tiberga
Gavino Sauna: un'immagine r che sa troppo di chiesa Gavino Sauna: un'immagine he sa troppo di chiesa PUBBLICITARI PERPLESSI SCONTATO», «improvvisato», «pretesco». L'ulivo di Romano Prodi lascia perplessi creativi e comunicatori. Se un simbolo servo a lanciare un messaggio - dice il coro dei pubblicitari - l'albero di Prodi rischia di non colpire il bersaglio. O di colpirne solo una parte, errore non da poco in un «mercato» che non consente aggiustamenti e recuperi come quello del voto. Non è un caso, allora, se i pionieri della pubblicità elettorale prendono tempo. Marco Testa e Massimo Mignani, gli uomini che nel 1987 curarono la prima campagna globale di quei fossili della politica che si chiamavano de e psi, scelgono il silenzio. Per ora, almeno: «Dare giudizi su un'idea non ha senso, prima voglio vedere il bozzetto», spiega Mignani, l'inventore di slogan famosi come «Milano da bere» (per il Ramazzotti) o «Forza Italia, fai vincere le cose che contano» (per la de). «Un ulivo può essere molte cose continua -. Prodi potrebbe farne una riedizione della quercia, o ridurre il tutto al povero disegno delle vecchie cinque lire...». L'ulivo, però, non ò un albero come tutti gli altri. Prodi precisa che la sua idea è più vicina al solido albero che dà frutti che all'esile ramoscello della domenica delle palme, ma un certo imprinting religioso resta. «E' proprio questo il suo limite - dice Gavino Sanna -. Il simbolo di per sé è positivo: richiama la pace, la tolleranza, il rispetto per gli altri: valori da ri¬ trovare nel clima così aspro che si è impadronito della vita politica. Ma l'ulivo ha una chiarissima valenza religiosa, è inutile far finta di niente. E non è detto che sia per forza un vantaggio: in Italia l'etica religiosa esiste da sempre, la si insegna nelle scuole, è un elemento che fa parte integrante della cultura del nostro Paese. Quella che manca ò l'etica laica. Un tempo bastava dire: "Sono credente, quindi onesto". Oggi il messaggio vincente è un altro: "Sono onesto perché ho maturato dentro di me i valori della mia onestà"...». E se gli avversari di Prodi hanno già cominciato a battere il martello sui presunti punti deboli del professore (ha la faccia da prete, sembra un capo scout, è furbo come un parroco di campagna), era proprio il caso, lasciano capire gli addetti ai lavori, di porgere l'altra guancia scegliendo un religiosissimo olivo? «Anche perché - continua Sanna - tra i potenziali elettori del professore ci sono molti credenti, ma c'è anche una larghissima fetta che credente non è. Gli esperti di comunicazione che curano il marketing di Prodi avrebbero dovuto tenerne conto...». L'equazione ulivo/religione non convince Annamaria Testa. «A me, ad esempio, le olive fanno venire in mente la dieta mediterranea... - scherza -. In realtà i simboli non hanno pei tutta questa importanza, almeno in politica. Potrebbero far danni soltanto se fossero cla¬ morosamente sbagliati, troppo difficili, troppo nuovi... I vegetali sono quasi una tradizione: l'edera, la rosa nel pugno, la quercia, e adesso l'ulivo. Quelli che contano sono gli uomini e i valori. Quanto ai simboli, mi creda, uno vale l'altro. Da soli non significano nulla». Anche nella nuova Repubblica dell'immagine? «Soprattutto lì - risponde Lillo Porri, direttore del settimanale Pubblicità Italia -. I nostri creativi non hanno nessuna esperienza nel campo della comunicazione politica. Sono chiamati dai partiti per confermare lo idee di leader e segretari, non per partecipare a un vero progetto di comunicazione. L'ulivo di Prodi? Un'idea scontata, senza originalità. Ma, vista la situazione, non mi aspettavo niente di meglio». Guido Tiberga r v Gavino Sanna e Annamaria Testa
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