Un male italiano soffoca il sogno yuppie di Felipe di Mimmo Candito

Una Tangentopoli scuote dalle fondamenta il potere di Gonzàlez Una Tangentopoli scuote dalle fondamenta il potere di Gonzàlez Un male italiano soffoca il sogno yuppie di Felipe VENTANNI DOPO FRANCO AMADRID IDA Alvarez dal lunedì al venerdì timbrava il cartellino negli uffici del psoc, in edile Ferràz; una funzionaria senza storia. Morbidona, e però poco appariscente, le toccava interessarsi delle finanze del partito, le spese della gestione, i conti ila saldare, la propaganda; bassa ragioneria, insomma. Quando l'arrestarono, i poliziotti trova .■ino che nel suo lussuoso appartamento c'era anche una stanzafrigorifero: la signora ci teneva le pellicce. Aida Alvarez non ò una ladra, soltanto si e trovata nel gran giro d'affari che ruotava attorno a! partito di governo, e un miliardo (tanto dice lei) di briiole ha pagato i suoi servizi. Forse i miliardi sono due, o anhe tre: i giudici ci studiano ancora sopra, ma l'anonima funzionarla di calle Ferràz era appena ino dei terminali per i quattrini lei psoe. E con i finanziamenti al partito, passava anche la cultura iella corruzione, le ville facili, i egali per i funzionari pubblici aci umodanti, lo yacht a Benidorm, la Bmw metallizzata. Naiirvii il inondo dei nuovi ricchi della politica, che qui presero a chiamare «la gente guapa», come dire "i bclloni», un'intera classe sociali;. Aida Alvarez ora aspetta il processo, e non dà interviste. Ma l'elenco della «gente guapa» in prigione, o comunque in lista d'attesa, e un registro che poLrcbbc fare invidia a Tangentopoli' si va da uno o due ministri, i un paio di sottosegretari, al comandante della Guardia civil, il governatore della Banca centrali', il presidente del Bancsto, i più alti funzionari del ministero degli Interni, due finanzieri da miliardi di dollari, e poi deputati, imprenditori, dirigenti di partili), i loro parenti (vicini e lontani). Qualcuno vede ombre sinistri; allungarsi anche sui passi del capo del governo. «Ci sono I ruppi sospetti su di lui», dice Perirò J. Kamiez, direttore del Tvlundo, il giornale che sta smascherando le vergogne del poteri;. «Finiranno per travolgerlo». Corruzione politica e scandali danno all'aria di Madrid profili di cronaca che sanno di casa no- stra; e i giornali di qui dibattono la «deformazionegiudiziaria del' la politica», che suona anch'essa di guai nostri. L'ultima volta che gli spagnoli s'erano misurati con noi italiani era stato vent'anni fa, e però per tutt'altre faccende. Era il primo ottobri; del '75, un mattino che la tramontana scendeva gelata dalla Sierra e sul balcone di Plaza de Oriente il Caudillo si abbracciava un giovane Juan Carlos pallido ed emozionato. Franco, che sembrava un vecchietto inoffensivo, aveva appena fatto strangolare due baschi e tre del Frap, respingendo le richieste di grazia da ogni parte del mondo; e ora trasmetteva al «principito» la sua eredità. Nella piazza ci fu, quel mattino, ma nessuno anco¬ ra lo sapeva, l'ultima grande adunata del franchismo; e quando il vecchio e il principe si abbracciarono, un milione di persone sventolò in aria i fazzoletti bianchi, come s'usa fare per il torero che merita l'orecchia. Si sentiva in giro un'aria rognosa, di nazionalismo esasperato, per «le intrusioni indebite» dell'Europa; ce l'avevano soprattutto con Roma, traversata in quei giorni da grandi manifestazioni antifranchiste. Chiusa l'adunata oceanica, un corteo furioso e senza fine partì allora all'assalto dell'Istituto di cultura italiano, che sta in Calle Mayor, poco distante dalla piazza d'Oriente. Il portone del vecchio palazzo, costruito da falegnami coscienziosi, resse l'assalto; e i franchisti inferociti dovettero contentarsi di farci sapere che dubitavano della virtù delle madri italiane. Sono passati vent'anni, e quel «principito» che sembrava destinato a seguire Franco nella tomba e stato invece uno dei fattori essenziali - forse il decisivo - per accompagnare alla democrazia la difficile transizione di questo Paese. E oggi nessuno ce l'ha più con gli italiani, né con le loro madri o con i loro costumi sessuali. Però come in quei giorni del '75, nuovamente qui degli italiani ora si parla molto, e tutti assicurano di volerci avere poco da spartire. Vai a intervistare il segretario della Confindustria, Jiménez Aguilar, e lui dice che «certo, bisogna stare attenti a non finire come gli italiani». Rodrigo Rato, il portavoce del partido popular, ti guarda e mette le mani avanti: «Il rischio di finire come l'Italia è una minaccia da evitare». E lo stesso dicono Gonzàlez, il comunista Anguita, il professor Sotelo, il giudice Garzón, l'infinita gente senza nome e senza storia. «Va male, ma che non sia come l'Italia», ripetono tutti. Tangentopoli ò una tentazione che minaccia il corso delle democrazie, anche quando solide; la Spagna non ne ò rimasta fuori. All'inizio della transizione però, a poi nei primi tempi dell'egemonia socialista, forse per reazione contro la vecchia dittatura e gli affari sporchi del regime, o forse per le illusioni che sempre ac- compagnano lo «stato nascente» di una democrazia, parve che il clima della nuova libertà realizzasse il miracolo di depurare la vita politica dalla corruzione. Erano tempi magri per i partiti, quelli, e se la destra di Fraga e l'Ucd di Suàrez pescavano ancora nelle antiche complicità di regime, per comunisti e socialisti c'erano soprattutto aiuti che arrivavano da fuori. Il psoe poi, che sui manifesti esaltava le sue mani pulite («Cien anos de honradez», diceva), riusciva a tirare avanti grazie ai soldi spediti da Brandt, che aveva preso sotto la sua ala protettrice «el niiio dorado» Felipe. Il postino di quei quattrini si chiamava Dietr Koniecki, un gentile signore tedesco che vive ancora a Madrid ma ormai se ne sta appartato, sostituito da altre partite di giro; ufficialmente, però, quei soldi li mandava la F'ondazione Ebert, un istituto del quale era finanziatore preminente l'industria Flick. Un giorno che alle Cortes si discuteva di finanziamenti ai partiti, e i socialisti erano già il governo di Spagna, Gonzàlez, arrabbiato per le insinuazioni sui fondi del psoc, saltò su con una frase poi celebre: «Aqui, senores, no hay ni Flick ni Flock». Qui non ci sono né Flick ne Flock, e gli rispose una risata generale. Ma c'era molto pudore, a quel tempo, e anche un forte imbarazzo, a parlare seriamente di soldi nella politica. «Poi il psoe fu travolto dal delirio di onnipotenza», dice Jesus Ceberio, direttore del Pais, cioè il giornale che ha preso per mano, e accompagnato, la nuova Spagna dalla transizione alla democrazia. «Erano convinti che avrebbero governato per cent'anni. Il potere assoluto dà alla testa». Uno scivolamento progressivo nei compromessi e nei traffici illegali ha coinvolto governo, partito, funzionari, i profittatori spuntati a centinaia di migliaia con la nuova tessera del psoe. In un Paese ancora fragile nella sua cultura politica, il governo si è fatto regime; dice ora Ignacio Sotelo, professore a Berlino e socialista eretico: «Hanno fatto come fascismo e comunismo, hanno disprezzato le regole della democrazia giustificandosi con le ragioni della presunta modernizzazione». Agli spagnoli brucia sentir parlare d'Italia per le loro faccende, ma queste sono cose che conosciamo bene: noi le abbiamo chiamato rampantismo e craxismo, qui lo dicono «el pclotazo»; solo il nome cambia. E Boyer, potente ministro dell'Economia, che aveva appena mandato a spasso i 100 mila lavoratori della Rumasa, accettò con gusto che la rivista Hola dedicasse un servizio patinato alla sua nuova villa addobbata di 14 bagni. Oggi la chiamano Villa Meona, la villa pisciona, e due spagnoli su 3 dicono che vogliono cambiare governo, che è tempo che i socialisti - i ladrones li chiamano se ne vadano. «Ma c'è una differenza tra noi e voi», dice Ceberio. «La nostra Tangentopolis travolge un partito, non l'intera classe politica. Ci sarà un ricambio dentro il sistema, noi non abbiamo bisogno di un Berlusconi». La rabbia della gente - che è tanta che quasi è concreta - il disprezzo, gli indulti, travolgono governo e psoe, ma la democrazia non entra in gioco. A pensare che vent'anni fa qui ancora regnava Franco, è questo, forse, il vero miracolo spagnolo. Mimmo Candito Indagati ministri, industriali e poliziotti Ma la corruzione coinvolge solo i socialisti II primo ministro Gonzàlez e la storica immagine dell'abbraccio tra Franco e Juan Carlos