« Una notte d'orrore in cerca di Marcello »

« L'inviata del Tg2: la salma di Palmisano era stata trafugata « Una notte d'orrore in cerca di Marcello » Carmen Lasorella in salvo sulla portaerei Garibaldi MOGADISCIO. «E' stato terrificante, non so ancora come ho fatto a cavarmela, il Padreterno mi ha tirato fuori per i capelli». La voce di Carmen Lasorella arriva appena lievemente distorta dalla portaerei «Garibaldi» che incrocia davanti a Mogadiscio. Per la giornalista del Tg2, scampata miracolosamente all'agguato di giovedì sulla strada dell'aeroporto, dove è stato ucciso l'operatore Marcello Palmisano, la tragica avventura in terra somala si è conclusa alle 13 di ieri quando l'elicottero che l'aveva prelevata all'aeroporto di Mogadiscio si è posato sul ponte di volo della nave. Qualche bruciatura su una gamba, gli occhi arrossati, il viso segnato dalla stanchezza. «Abbiamo passato tutta la notte svegli per cercare di trovare il corpo di Marcello». Sono stati i volontari italiani del Cefa, Attilio Bordi e Gianfranco Stefani, a scoprire dove era stata portata la vettura con i resti dell'operatore. Racconta Lasorella: «Soltanto all'alba Attilio ha avuto l'indicazione esatta: la nostra Landcruiser era stata rimorchiata vicino al pastificio, in un garage di Osman Ato (uno degli uomini forti di Mogadiscio, un tempo amico dichiarato di Aidid) perché data l'influenza del personaggio non ci sarebbero state reazioni». Bordi è andato a recuperare la salma e, scortato da un esiguo manipolo di somali armati, l'ha portata nel campo fortificato della zona aeroportuale. «Alle 6 mi sono messa in viaggio per raggiungere l'aeroporto - racconta Lasorella - ma il trasferimento è stato a rischio fino all'ultimo momento. Tutte le strade erano bloccate, c'erano.almeno venti tecniche che scorrazzavano su e giù, fra queste mi è stato detto che ce n'erano anche alcune di quelle che avevano partecipato all'imboscata di ieri». L'auto del Cefa con la giornalista si è diretta allora verso il porto per cercare un'altra stra- da d'accesso. «Abbiamo incontrato due posti di blocco di "morian", banditi, ma per fortuna siamo riusciti a passare senza troppe difficoltà. Ogni tanto si sentivano crepitare delle raffiche di fucileria, c'era una tensione spamodica nell'aria. Al¬ l'ingresso del porto, i caschi blu pachistani ci hanno bloccato: non volevano aprire i cancelli. Sono stati minuti drammatici, in un battibaleno si è radunata una folla minacciosa, i pachistani non si decidevano a farci passare, la folla ci stringeva sempre più da vicino». Attimi di paura poi, finalmente, i caschi blu hanno aperto il varco e l'auto del Cefa si è sottratta alla pericolosa morsa della gente. All'interno dell'aeroporto Lasorella ha proceduto al riconoscimento della salma. «Non ho visto il corpo di Marcello perché i medici mi hanno detto che era irriconoscibile: la macchina su cui eravamo è completamente bruciata e lui era rimasto dentro». La giornalista ha riconosciuto gli occhiali, una catenina, l'orologio. Ancora una lunga attesa poi, verso le 13, è arrivato un elicottero della marina che l'ha portata sulla «Garibaldi». «Domani (oggi, ndr) rientro in Italia perché voglio riaccompagnare Marcello. Eravamo partiti insieme...». Carmen, hai avuto l'impressione di essere stata vittima di un agguato o siete finiti per caso in mezzo a una sparatoria? «Sono sicura che ci stavano aspettando. Quando siamo usciti dal compound dell'Unosom, ho fatto fermare la macchina per far filmare da Marcello le tecniche che passavano lungo le strada. Ricordo di averne viste due o tre, ferme poco lontano: da una di queste un somalo stava facendo grandi gesti nella nostra direzione. Come se ci stesse indicando a qualcuno. Appena ci siamo mossi, ci sono venuti addosso mentre altre sei o sette tecniche si sono messe fra noi e la nostra scorta». Carmen Lasorella non ha dubbi: «Ci hanno scambiato per dirigenti della Somalfruit: quando mi hanno afferrata e portata via, io ho detto che ero una giornalista, il mio autista ha confermato che non facevo parte della Somalfruit, allora hanno detto che potevo andar via. Ma non tutti erano d'accordo, alcuni volevano tenermi in ostaggio, mi hanno rinchiusa in una camera dove c'era un letto e mi hanno dato delle lenzuola. A quel punto ho pensato di essere prigioniera, poi è arrivato un somalo con una bottiglia d'acqua: "No problem, no problem", mi ha detto ridendo. E dopo poco mi hanno portata al Cefa». Anche il portavoce dell'Onu a Mogadiscio, Gccorge Bennet, ha confermato che Palmisano era stato scambiato per un dirigente della Somalfruit ed «è rimasto vittima di una rappresaglia da parte di alcuni somali che lavorano per conto della Dole, che volevano vendicare tre dei loro uccisi la settimana scorsa in uno scontro con i mercenari che proteggono i coinvogli della Somalfruit». Stamane a mezzogiorno la giornalista del Tg2 partirà da Mogadiscio su un C-130 dell'aeronautica militare arrivato dall'Italia per riportare in patria la salma dell'operatore. A Luxor cambio d'aereo: l'ultimo volo con un DC-9 che arriverà a Roma a mezzanotte circa. Francesco Fornari L'Onu: «Il massacro è stato intenzionale ma i bersagli designati non erano loro» .JÌl»."\,.. Il luogo dell'attentato, il giorno dopo, e una «tecnica» di quelle usate nell'agguato Carmen Lasorella piange il collega Palmisano. In alto a destra, Aidid

Luoghi citati: Italia, Mogadiscio, Roma