«Non prenderei più i 200 milioni»

«Non prenderei più i 200 milioni» «Non prenderei più i 200 milioni» Patelli: ci stiamo sfaldando, troppi arrivisti TRA RABBIA E DELUSIONE MILANO DAL NOSTRO INVIATO Baffp grigio c faccia triste, Sandro Patelli dice che quei soldi non li prenderebbe più: «Mi sono preso le mie responsabilità, ho rischiato, ho pagato, ma devo dire che per questa Lega, oggi come oggi, non lo farei più». E' la resa? «No, la delusione», ci spiega Alessandro Patelli, l'unico leghista finito nel gorgo di Tangentopoli per quei duecento milioni presi dalla Montedison che gli sono costati tre giorni di galera, ma soprattutto la verginità perduta: «Sono stato un pirla», disse allora al congresso di Assago dov'era arrivato direttamente da San Vittore. Era l'amministratore del partito, un duro e puro, uno dei fedelissimi di Bossi. Si vedevano tutti i venerdì sera, quando Umberto era il «senatur», il solo del Carroccio, e a fine settimana tornava dalla capitale, radunava il circolo di fedelissimi (Patelli, Ronchi, Castellazzi e Leoni, l'unico deputato), raccontava Roma-ladrona vista da vicino, dal cuore del fortino nemico, e tirava notte a studiare le parole d'ordine per compilare manifesti da attaccare sulle strade della Lombardia. «Si mangiava un panino e via». «E' durata fino al '92 - ricorda Patelli -, poi abbiamo vinto le elezioni, abbiamo mandato a Roma 80 deputati e, in un certo senso, è cominciato il declino». Il «circolo» intorno a Bossi è diventato largo, è finito il rito del venerdì sera e dei panini militanti, hanno bocciato la proposta di Patelli che voleva chiudere tutti i parlamentari dentro un «convitto» romano, una specie di monastero dove conservare il tabernacolo della purezza leghista al riparo delle mollezze capitoline. «Io ero pronto - racconta Patelli - ad andare, cercare, organizzare...» Ma no, la Lega era un fiume in piena, si correva, si correva, non c'era tempo di fermarsi a progettare. «Ecco - dice Patelli - siamo arrivati al potere senza la proposta». E adesso? «Il movimento è burocratico e farraginoso, sento che si sta sfaldando e tra di noi ho visto crescere gli arrivisti». Se si votasse domani? «In Lombardia credo che prenderemmo il 15 per cento, nel '92 avevamo il 25; in Piemonte siamo finiti, forse all'8 per cento; in Veneto teniamo, credo il 14-15. A Milano città un disastro e non ci sono scusanti: la colpa è del sindaco, ma anche nostra, non lo conoscevamo». Non conoscevate Formentini? Ma se era il capogruppo alla Camera... «La verità è che non eravamo pronti, non eravamo esperti, lo saremmo stati forse nel '95, non nel '93. Siamo stati catapultati all'improvviso dal nostro lavoro alla Camera: ci voleva un po' di tirocinio». Sotto la pelle del congresso leghista, che dalla tribuna ufficiale celebra il mito del capo e la riverniciatura dell'identità appannata, corre la delusione che il soldato Patelli manifesta anche con la nostalgia per il lontano '87, quando conobbe Bossi in un ristorante di Spirano, Bergamo, si iscrisse al movimento e divenne il primo consigliere comunale leghista extra Varese, si divideva tra la bottega di Cologno al Serio (idraulico, due garzoni) e la Lega. «Io Bossi lo conosco bene: lui è sempre più avanti degli altri, anticipa, capisce prima di tutti, sa sempre come va a finire. Il suo difetto è che non spiega i passaggi agli altri. Ma blindarlo sarebbe un errore: si deve mettergli attorno un gruppo di persone che sappia capirlo e interpretarlo, ma non imbrigliarlo». Come finirà? «Io non metto in discussione Bossi perché senza di lui non si può. Ma serve un'invenzione, una carica nuova, qualcosa... altrimenti stiamo qui a perdere tempo e, per quel che mi riguarda, posso anche smetterla con la politica. Mi dedicherò ad opere sociali». Non si sa se oggi Bossi darà quella «carica» che Patelli si aspetta, ma da queste parti tira aria di ritorno a casa, si firma- no mozioni separatiste, in quel che resta della Lega che ieri nel desolante Palatrussardi ha riempito molto meno della metà dei posti disponibili, si medita di risalire le valli del Nord, tirar su le frontiere e farla finita: «Roma era ladrona nel '90 e lo è ancora nel '95». Diceva uno striscione: «Durissimi, purissimi, leghissimi». E' cominciato come un congresso qualunque, con gli ospiti stranieri (un russo, un cinese, un libico) e quelli italiani, tra cui il senatore Cossutta (Rifondazio¬ ne comunista) che azzardava: «La Lega è un movimento radicato nei ceti popolari... ha svolto un ruolo positivo nelle lotte d'autunno... ha fatto cadere il governo Berlusconi». E' finito con i fischi, gli insulti, il vaso di fiori lanciato contro il povero onorevole Caselli, l'unico dissidente. «La verità - diceva Vittorio Donina, masticando le parole è che noi abbiamo i globuli diversi dagli altri...» Il Donina, in Lega dall'80, è l'esemplare più puro e simbolico del leghista vecchio-nuovo, quello che starà con Bossi fino alla morte, a quel paese Berlusconi, F*ini e naturalmente Roma: il mondo può finire anche al fondo della sua Valcamonica. «Io mi vanto di non aver mai votato per psi, de e msi». Fino al '75 era comunista, quando ancora faceva il camionista e sua moglie, la Rachele, aveva un negozio di alimentari: «L'inflazione era al 20 per cento e non si riusciva ad andare avanti». Nell'80 ha votato per Pannella, poi ha scoperto Bossi e già nell'83 ha votato per «Lombardia libera» (il simbolo erano delle spighe di grano) ed ha partecipato alla prima Pontida. Intanto aveva messo su un laboratorio di maglieria. Adesso ha otto-nove dipendenti, sforna 3-400 mila paia di mutandine da donna all'anno che vende alla «Roberta» e finiscono anche all'Est. «Come va? Si tira avanti, nel nostro settore guadagna chi ruba. Io sono sempre stato onesto». Lui, del Bossi e della Lega, non s'è mai perso una battuta: «Non avremo mai il marchio di Caino, siamo stati traditi da tutti, ma non importa, andiamo avanti da soli perché noi siamo belli dentro». E così sia. Cesare Martinetti I fedelissimi: «Siamo stati traditi da tutti. Andiamo avanti da soli, siamo belli dentro ì» L'ira dei fedelissimi di Bossi durante l'intervento del dissidente Caselli In alto: Maroni con Speroni A destra: Formentini A sinistra: slogan al congresso della Lega Sotto: cappucci e riferimenti alla P2 contro l'ex alleato Berlusconi