«Dini? Adesso lasciatelo lavorare» di Renato Rizzo

Il Presidente in India si augura che il premier «possa fare, tutte e bene, le cose che si è prefissato» Il Presidente in India si augura che il premier «possa fare, tutte e bene, le cose che si è prefissato» «Pini? Adesso lasciatelo lavorare» Scalfaro: non sono mai uscito dalla Costituzione NUOVA DELHI DAL NOSTRO INVIATO Non remate contro il governo, non ostacolatelo mentre tenta di portare a termine gli impegni che si ò proposto. Corsi e ricorsi della cronaca politica: ieri era Berlusconi ad invocare che non disturbassero il manovratore, oggi l'invito arriva dall'uomo che, più di ogni altro, mentre il Cavaliere sedeva a Palazzo Chigi, era accusato di scandire i ritmi della controregata. Oscar Luigi Scalfaro, seimila chilometri ad Ovest dei veleni romani che si distillano, in queste ore, anche in ardue richieste di impeachement, difende l'esecutivo appena nato. E, anzi, gli augura, implicitamente, una lunga vita osservando che c'è bisogno «che possa fare, tutte e bene, le cose che si ò prefissato». Ma proteggendo Dini, il Capo dello Stato difende anche se stesso dalle accuse di chi lo dipinge come una sorta di «Deus ex machina» nella defenestrazione di Berlusconi e nelle manovre per ritardare lo svolgimento delle elezioni. Scalfaro giura di non essersi mai concesso «passeggiate libere fuori della Costituzione». I giornali di qui, che descrivono come evento «storico» la prima visita di un Presidente italiano nel subcontinente indiano, amplificano questa immagine di «garante e custode della democrazia»: por loro Scalfaro «rappresenta la continuità politica senza la quale la crisi del Bel Paese sarebbe stata ben più grave». Evento «storico», dunque, questa visita. E la cornice in cui si svolge dà forza all'aggettivo: drappelli di lancieri e salve di cannone per accogliere il Capo dello Stato nella fastosa scenografia del palazzo che ospitò l'ultimo viceré inglese e che, ora, è sede della presidenza della Repubblica. Silenzio e raccoglimento davanti al mausoleo di Gandhi dove Scalfaro pianta un piccolo albero di mango e stempera con una battuta la commozione del momento: «Dicono che quest'albero, per diventare adulto, abbia bisogno di alcuni anni. Bene, vorrò nel 2010 per vedere come sta. E se sarò impegnato da qualche altra pane, manderò qualcuno a controllare». Forse ò solo un gioco, ma c'è, addirittura, chi legge la frase come la ricandidatura ad un nuovo settennato. E' un Capo dello Stato tran- quillo, rilassato quello che percorre questa sua prima giornata indiana. Ma la serenità si trasforma in caparbia autodifesa, quando, conversando con i giornalisti, si lascia alle spalle l'atmosfera rarefatta degli incontri ufficiali per rianalizzare, come un terapeuta, le convulsioni della politica italiana. Lo fa partendo da lontano: da quei «sommi» che hanno pensato e costruito la Costituzione «indicando taluni compiti del Capo dello Stato, ma presentandola non con una delimitazione marcata di competenze». Una libertà di interpretare la Carta cui il Presidente è stato quasi costretto da quel «capovolgimento politico» che ha scandito la sua stagione al Quirinale. Ec¬ colo, Scalfaro, dover fronteggiare, con il governo Amato, le emergenze di un Parlamento su cui già aleggiavano i primi fantasmi di Tangentopoli; eccolo, davanti alle Camere incapaci di esprimere un primo ministro sorretto da un'ampia maggioranza, inventarsi la candidatura di Ciampi. «Lo chiamarono governo del Presidente - sostiene ora - ma questa definizione è sbagliata: un esecutivo, se non ha il voto del Parlamento, non è di nessuno». Qui il passato si salda con il presente. E il ragionamento del Capo dello Stato sembra una risposta ai Ferrara e ai Previti che l'accusano di aver prevaricato le sue competenze: «Il Presidente prende un'iniziativa e se le Camere la bocciano, hanno bocciato il governo, non il Presidente. Questa è norma della Costituzione». E si arriva al momento topico di questi anni «rivoluziona- ri»: l'avvento di Berlusconi, l'uomo dal quale lo stesso Bossi, «venendo al Quirinale, disse di sentirsi interpretato. Allora qualcuno sostenne che c'erano ragioni d'intreccio tra interessi privati e lo Stato e che, quindi, non avrei dovuto dargli l'incarico. Ho risposto: qual è la legge che sancisce questa incompatibilità?». Costituzione sopra ogni cosa, ribadisce Scalfaro. Anche quando stabilisce «che se un governo va in minoranza deve ritirarsi» com'è accaduto per l'esecutivo Berlusconi. Il Presidente diventa cronista puntiglioso, a volte irridente di queste ultime settimane: «Guardando al risultato elettorale sentii il dovere di chiedere a Berlusconi che m'indicasse il nome di chi, per lui, avrebbe dovuto guidare un nuovo governo in questo momento di passaggio». La risposta fu: Dini. Una carta decisiva nelle mani del presidente Scalfaro che l'ha giocata mettendo in difficoltà il leader di Forza Italia: «Poteva in qualche modo votargli contro o impedirgli di nascere come governo? Fin dal primo giorno, dandogli l'incarico, ho detto al presidente incaricato: tu hai la certezza di farcela. E' impensabile che chi ti ha avuto come ministro di rango e ti ha proposto voti contro di te. Questo è ciò che è avvenuto. Poi, al mondo ci sono anche quelli che, invece di cuocere la frittata, la voltano». Renato Rizzo

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