Brescia-Milano scontro tra pm

L'accusa al processo Cerciello: fascicoli incompleti, verbali pieni di omissis L'accusa al processo Cerciello: fascicoli incompleti, verbali pieni di omissis Brescia-Milano, scontro fra piti «Manager vittime della gdf» BRESCIA. «Questo non è un processo alla Guardia di Finanza, ma la lettura degli atti lascia sgomenti. Emerge un fenomeno radicato, una consuetudine, un fatto di costume». Dice così il pm Roberto Di Martino, preannunciando la richiesta della pubblica accusa: sentire come testi tutti i comandanti e i vice-comandanti della Finanza dal 1986 ad oggi. E' questa la prima, clamorosa sorpresa, del processo di Brescia contro il generale Giuseppe Cerciello ed altri 48 imputati tra finanzieri, imprenditori e professionisti. Ma non è l'unica. Di Martino e il suo collega, Fabio Salamone, hanno nei fatti preannunciato il cambio di imputazione, per i militari, da corruzione a concussione. Un'ipotesi ventilata all'inizio del processo e ieri resa più concreta. «Non abbiamo la pretesa di risolvere il problema della qualificazione del reato prima dell'istruttoria dibattimentale», premette Di Martino. Ma subito dopo aggiunge: «Per il tipo di pressione psicologica fatta dai finanzieri sugli imprenditori, se non ad una concussione tipica, ci si può trovare davanti ad una concussione indotta». Per spiegare ciò il pm ricorda una sorta di «superiorità storica» della Finanza rispetto a chi è sottoposto a controlli e che si avvantaggia di una «confusa legislazione» in materia fiscale. Diventano quindi credibili i racconti di quegli imprenditori che parlano di «atteggiamenti brutali e vere e prprie minacce» da parte dei militari che adombravano la prospettiva di «estendere nel tempo e ad altre societàle verifiche. Qualcuno ha cercato di risolvere il problema elargendo denaro; in altri casi sono stati invece i militari a chiedere soldi». Tutta diversa, ovviamente, la versione dei finanzieri: gli imprenditori «elargivano regalie» solo alle fine delle verifiche, che erano comunque «regolari», e quel denaro era appunto il «riconoscimento di un lavoro corretto». Per i finanzieri interrogati tutto questo era «pacifico, dovuto, consuetudinario». E il pm ricorda quanto disse il maggiore Massimano che, recatosi dal maggiore Tanca per informarlo con preoccupazione di quei soldi che arrivavano dalle pattuglie, si sentì rispondere: «Meglio prendere i soldi, così si evitano episodi di concussione». Ma sul banco degli accusati ieri non c'era solo la Finanza. C'è stata anche la procura di Milano. Neanche tanto occulte sono state infatti le critiche rivolte dai pm bresciani ai colleghi milanesi: conti che non tornano («Qualcuno dei finanzieri faceva la cresta sulle tangenti»?, si chiede l'accusa), fascicoli incompleti, verbali pieni di omissis. «Non abbiamo un atto che spieghi come è nata l'inchiesta - si lamentano i bresciani - solo ufficiosamente ci hanno informato che il punto di avvio è stata la denuncia di un giovane vicebrigadiere». In questa critica alla procura milanese marcia «alla grande» l'avvocato Carlo Taormina, difensore del generale Cerciello. Anche ieri ha presentato una serie di richieste, tutte tendenti a dimostrare che l'inchiesta, è stata condotta in modo approssimativo, anche ricorrendo a «pressioni indebite». Tra le tante richieste del legale non c'è però quella rivolta al presidente del tribunale, Roberto Pallini, per la scarcerazione del suo cliente. Eppure era stato lo stesso Taormina ad annunciare che la Cassazione aveva annullato gli ordini di custodia «bacchettando» la procura milanese. Una lettura della sentenza già smentita dal presidente della sezione che l'ha emessa, Mario Daniele: «Noi non abbiamo bacchettato nessuno - dice - tantomeno i magistrati di Mani Pulite. Abbiamo solo cassato il provvedimento del tribunale della libertà, perché non era motivato», [s. mr.] Il generale della Finanza Giuseppe Cerciello

Luoghi citati: Brescia, Milano, Taormina