Pubblicati discorsi e interviste di 50 anni: un ritratto inatteso e sconcertante per il padre della psicologia analitica

Pubblicati discorsi e interviste di 50 anni: un ritratto inatteso e sconcertante per il padre della psicologia analitica Pubblicati discorsi e interviste di 50 anni: un ritratto inatteso e sconcertante per il padre della psicologia analitica A grigia fortezza dalle linee medioevali sulla riva settentrionale del lago di Zurigo, a Bollingen, si ergeva solitaria nella foschia di un piovoso giorno d'estate del 1931. Davanti alla massiccia torre di pietra, incurante della pioggerella, con la faccia arrossata e lucida per lo sforzo, il dottor Jung stava con le mani immerse in un grande mastello d'acqua e addosso un grembiulone di lino azzurro. Stava lavando, con molta concentrazione, i suoi pantaloni. «Il dottor Jung non fa mai nulla a metà - è il commento della stupita visitatrice, la scrittrice americana Elizabeth Shepley Sergeant che negli anni precedenti la Prima guerra mondiale era stata in analisi da Jung -. Quando, all'Associazione di Psicologia, passeggia avanti e indietro, spiegando agli studenti un sogno, sembra che ogni cellula, ogni fibra del suo essere partecipi alla lezione. Lo stesso zelo e la stessa partecipazione li stava mettendo allora nel suo bucato/. Irriconoscibile e allo stesso tempo riconoscibilissimo, dunque, l'austero psichiatra nei momenti di relax e in quelli di lavoro. Il severo professore con la pipa in mano, quando si aveva il privilegio di incontrarlo a un seminario internazionale, a una conferenza o nella villa gialla di Kùsnacht, non si mostrava molto disponibile né molto alla mano. Lui stesso amava definirsi un tipo «introverso, intuitivo, intellettuale». Eppure il riservato padre della psicologia analitica si mostrò per tutta la vita un loquacissimo oratore, un eccezionale intrattenitore: dal 1912 data del suo primo viaggio in America - a pochi giorni prima della morte nel giugno 1961, Jung ha lasciato fiumi di interviste per la carta stampata e per la televisione. I suoi interventi, con un lavoro durato quasi vent'anni, sono stati raccolti in Jung parla da William McGuire e R. F. C. Hull e adesso finalmente escono in Italia pubblicati da Adelphi. L'enigmatico professore, dal volto rubizzo di contadino e dalla figura imponente, viene così colto dai suoi interlocutori nelle molteplici facce della sua personalità, negli aspetti più contraddittori. E quando a rivolgere le domande furono personaggi d'eccezione - come la scrittrice argentina Victoria Ocampo, oppure Alberto Moravia, o lo storico delle religioni Mircea Eliade, o il mistico Miguel Serrano - allora si verificarono anche dei serrati faccia a faccia, degli incontri-scontri. Un singolare ritratto di Jung, distratto e impreparato come uno scolaretto, ce lo restituisce, per esempio, il vicecommissario distrettuale di Kapsabet in Kenya. Il funzionario ebbe occasione di incontrare la spedizione scientifica, diretta sul monte Elgon per studiare i sogni dei popoli primitivi, di cui faceva parte Jung. Al vicecommissario lo psicoanalista e gli altri studiosi ap¬ parvero completamente 11, all'oscuro dei rischi del- /// l'impervia zona che dovevano attraversare e mostrarono persino di non conoscere le abitudini degli indigeni e, ancor peggio, di ignorarne la lingua. «In che modo vi proponete di comunicare con quella gente?», domandò il funzionario. «Ho studiato lo swahili per sei settimane», rispose Jung. «Con una certa riluttanza feci notare che la maggior parte degli africani non parlava quella lingua e che, dunque, senza un interprete non avrebbero potuto combinare nulla». Il coltissimo studioso che dominava le platee, che a tarda età rimpiangeva solo di non aver imparato i geroglifici egizi e l'arabo, aveva dimenticato di informarsi nel dettaglio sulle consuetudini linguistiche dei popoli che andava a studiare. Molto diverso lo Jung ripreso dallo sguardo malizioso di Alberto Moravia, inviato speciale dell'Europeo a Zurigo. Allo scrittore, mentre si dirigeva verso Kùsnacht, vennero in mente le parole di Tenera è la notte con cui Fitzgerald ricordava «il grande Jung, distrattamente cortese, superenergico nei suoi giri di visite tra le foreste dell'antropologia e le nevrosi degli scolaretti». Poi Jung gli apparve come un corpulento signore dall'aria benevola, con i capelli canuti e arruffati. Ma entrato nel suo studio, Moravia intuì da parte del professore un desiderio di metterlo a disagio, di stabilire una supremazia proprio come in una seduta psicoanalitica: «Egli mi fa sedere in una poltrona, di fronte ad una forte lampada la cui luce quasi mi acceca. Invece lui mi si siede davanti col viso del tutto in ombra, come se volesse scrutarmi senza correre il pericolo di essere a sua volta scrutato». Solo dopo che lo «scrutinio» della faccia dello scrittore sembrò aver dato esito favorevole, Jung si mostrò più rilassato e meno desideroso di imporsi. Ma il volto più autoritario di Jung si affacciò proprio nel conflittuale rapporto con James Joyce, come viene rievocato nell'intervista rilasciata dallo psicoanalista alla scrittrice inglese Patricia Hutchins. Negli Anni Venti Jung aveva avuto in cura la signora Edith Rockefeller McCormick che amava fare del mecenatismo e si era impegnata ad aiutare economicamente Joyce. Ma fu proprio a causa di un errato intervento di Jung che la miliardaria troncò il rapporto con lo squattrinato artista. Dopo che, poi, ebbe scritto un saggio sull'Ulisse dai toni non sempre benevoli, nel 1934 Jung ebbe una visita di Joyce che voleva dargli in cura la figlia. Senza mettere in discussione il suo severo giudizio («di Finnegan's Wake ho letto alcuni brani ma era come smarrirmi in una foresta. Dell'Ulisse non capisco come mai tanta gente lo legga»), anzi ribadendolo, e senza spendere una parola di autocritica, Jung così ricorda Joyce: «Stava molto sulle sue per tutta l'ora in cui parlammo di sua figlia. Era impossibile non avvertire le sue resistenze. Il colloquio fu di conseguenza insipido e inutile. La figlia invece fu molto vivace. Era molto carina, piena di charme, una bella testa. Purtroppo però era troppo tardi per aiutarla». La sua grande energia, ia sicurezza sul filo dell'autoritarismo fecero, però, da cemento a tanti altri rapporti. Come quello con il cattolico Charles Baudouin: «E' in piedi che lo rivedo, mentre parla e mentre insegna. Jung non è un uomo da tavolino, da studio. E' una forza». E la sua carica magnetica, che spesso si basava sull'intuizione, suggestionò la Ocampo ed Eliade che lo intervistò a lungo per la rivista Coni bat. Però fu proprio l'intuito di cui tanto si fidava che tradì lo psichiatra in più di un'occasione. 11 2 giugno 1933, ad esempio, quando accettò la presidenza dell'Associazione Internazionale per la Psicoterapia, nell'intervista che rilasciò a Radio Berlino Jung si lasciò andare a notazioni entusiaste sul destino della giovane Germania e del suo Fùhrer: «E' l'esplosione dei popoli. I tempi caratterizzati da movimenti di massa vedono sempre l'emergere di capi... Solo in tempi di indefinita passività riecheggia il chiacchiericcio senza scopo dei dibattiti parlamentari... Come ha detto Hitler di recente, un capo deve avere il coraggio di essere solo e di procedere per la sua strada». E sulle pagine di Cosmopolitan del gennaio 1939 non risparmiò certo le parole per descrivere la psicologia dei dittatori: «Mussolini è l'uomo della forza fisica... E' il capo in ragione del fatto che individualmente è più forte di tutti. Stalin non è un creatore, è un predatore. Non ha fatto altro che prendersi quello che Lenin aveva creato per affondarvi i denti». La caratteristica piii evidente della fisionomia di Hitler ò, poi, lo «sguardo sognante». «Il potere di Hitler non è politico, ò magico». Mussolini invece viene presentato come un «uomo dotato di originalità e di un certo buon gusto in talune cose. Come nel fatto di lasciare al suo posto il re». L'energia scattante di Mussolini ha «un che di umano, di caldo, di contagioso... Con Hitler ti viene paura: sai che non riuscirai mai a rivolgere la parola a quell'uomo perché non c'è nessun uomo là sotto. Hitler non è un uomo, è qualcosa di collettivo, è una nazione intera». Quando nel 1949 scoppiò sulla The Saturday Review of Litera ture la polemica sui suoi orientamenti nazisti e antisemiti, Jung contrastò le accuse fermamente, punto per punto, anche se non potè negare di essere stato direttore dello Zentralblatt fiirPsycotherapie, a fianco del cugino di Góring: il che pesava molto sulla bilancia del sospetto. Comunque, a schierarsi al suo fianco vi fu un nutrito gruppo di allievi ed ex allievi ebrei, pronti a difendere il Maestro. Anche se l'istinto profetico lo aveva ingannato, Jung non rinunciò mai a rilasciare interviste non solo sulla sua dottrina, ma anche sugli argomenti più disparati, dal destino dello nazioni alle riflessioni sulla moderna civiltà occidentale, dal conflitto che oppone il sosso maschile a quello femminile, al carattere innato delle religioni, alla simbologia dei dischi volanti o dell'albero di Natale. Lo psicologo di cui Huxley aveva detto che aveva mostrato una comprensione profonda dell'essere umano, pari a quella di Dostoevskij, non mancava spesso anche di una sottile autoironia. Così Jung ottantenne e prossimo alla morte si congedava sorridendo dall'intervistatore di turno: «Tra dieci anni verrà a intervistarmi nell'Ade». Mirella Serri A Moravia puntò la lampada in faccia Non seppe curare la figlia di Joyce parvero completamente 11, all'oscuro dei rischi del- /// l'impervia zona che dovevano attraversare e mostrarono persino di non conoscere le abitudini degli indigeni e, ancor peggio, di ignorarne la lingua. «In che modo vi proponete di comunicare con quella gente?», domandò il funzionario. «Ho studiato lo swahili per sei settimane», rispose Jung. «Con una certa riluttanza feci notare che la maggior parte degli africani non parlava quella lingua e che, dunque, senza un interprete non avrebbero potuto combinare nulla». Il coltissimo studioso che dominava le platee, che a tarda età rimpiangeva solo di non aver imparato i geroglifici egizi e l'arabo, aveva dimenticato di informarsi nel dettaglio sulle consuetudini linguistiche dei popoli che andava a studiare. Molto diverso lo Jung ripreso dallo sguardo malizioso di Alberto Moravia, inviato speciale dell'Europeo a Zurigo. Allo scrittore, mentre si dirigeva verso Kùsnacht, vennero in mente le parole di Tenera è la notte con cui Fitzgerald ricordava «il grande Jung, distrattamente cortese, superenergico nei suoi giri di visite tra le foreste dell'antropologia e le nevrosi degli scolaretti». Poi Jung gli apparve come un corpulento signore dall'aria benevola, con i capelli canuti e arruffati. Ma entrato nel suo studio, Moravia intuì da parte del professore un desiderio di metterlo a disagio, di stabilire una supremazia proprio come in una seduta psicoanalitica: «Egli mi fa sedere in una poltrona, di fronte ad una forte lampada la cui luce quasi mi acceca. Invece lui mi si siede davanti col viso del tutto in ombra, come se vopericolo di essere a sua volta scrutato». Solo dopo che lo «scrutinio» della faccia dello scrittore sembrò aver dato esito favorevole, Jung si mostrò più imporsi. Ma il volto più autoritario di Jung si affacciò proprio nel conflittuale rapporto con James Joyce, come viene rievocato nell'intervista rilasciata dallo psiPatricia Hutchins. Negli Anni Venti Jung aveva avuto in cura la signora Edith Rockefeller McCormick che amava fare del mecenatismo e sera impegnata ad aiutare economicamente Joyce. Ma fu proprio a causa di un errato intervento di Jung che la miliardaria troncò il rapporto con lo squattrinatartista. Dopo che, poi, ebbe scritto un saggio sull'Ulisse dai toni non sempre benevoli, nel 1934 Jung ebbe una visita di Joyce che voleva dargli in cura la figlia. Senza mettere in discussione il suo severo giudizio («di Finnegan'Wake ho letto alcuni brani ma era come smarrirmi in una foresta. Dell'Ulisse non capisco commai tanta gente lo legga»), anzribadendolo, e senza spenderuna parola di autocritica, Jung così ricorda Joyce: «Stava molto sulle sue per tutta l'ora in cuparlammo di sua figlia. Era impossibile non avvertire le sue resistenze. Il colloquio fu di conseguenza insipido e inutile. La figlia invece fu molto vivace. Era molto carina, piena di charmeuna bella testa. Purtroppo però era troppo tardi per aiutarla». La sua grande energia, ia sicurezza sul filo dell'autoritarismfecero, però, da cemento a tantaltri rapporti. Come quello con icattolico Charles Baudouin: «Ein piedi che lo rivedo, mentrparla e mentre insegna. Junnon è un uomo da tavolino, dstudio. E' una forza». E la sua carica magnetica, che spesso si basava sull'intuizione, suggestionla Ocampo ed Eliade che lo intervistò a lungo per la rivista Coni bat. Però fu proprio l'intuito dcui tanto si fidava che tradì lpsichiatra in più di un'occasio

Luoghi citati: Adelphi, America, Germania, Italia, Kenya, Zurigo