Parliamone DISCORSI SENZA SENSO PREPARANO I DELITTI di Claudio Gorlier

Parliamone Parliamone 1 DISCORSI SENZA SENSO PREPARANO I DELITTI EU pochi anni dopo la fine della guerra che Jean-Paul Sartre pubblicò sulla sua rivista un articolo nel quale si poneva il problema di come e perché le parole - molte parole - stessero perdendo il loro senso. Leggendo con una singolare cadenza di ripetitività una frase, una definizione, a proposito della tragica vicenda di Marassi, mi sono tornati alla mente gli interrogativi di Sartre su Les Temps Modernes: «Un delitto senza senso». La definizione mi sembra altrettanto agghiacciante del delitto, e mi induce a due riflessioni concorrenti. La prima, che è dunque la parola «senso» a porsi al centro del discorso, della struttura retorica e insieme, come ben sappiamo, concettuale; la seconda, che se vogliamo attribuire a «senso» la valenza più comunemente accettata, dobbiamo giungere a individuare due tipologie di delitti, quelli che hanno un senso, ovvero in qualche modo, magari perversamente, si giustificano, e altri che appaiono del tutto ingiustificabili. Vogliamo individuare sinonimi, non a caso termini fondanti nel pensiero e nella sensibilità moderna? Delitti assurdi, delitti gratuiti. Come sappiamo, per quelli - come dire? - ben argomentati si può ottenere persino la medaglia. Penso che ancora una volta Wittgenstein si prenda una seria rivincita, nel caso nostro magari su Lombroso, anche se riesce più comoda la seconda ipotesi. La parola, il discorso, inventa il fatto e il suo senso lo rappresenta, per aberrante che possa sembrare; la parola viene prima del delitto di Genova, e non dopo a tentare goffamente di spiegarlo, a piangerci sopra, a rimettere in scena con nuove varianti la più antica rappresentazione del mondo giudaico-cristiano, con due soli personaggi, entrambi necessariamente uomini, Caino e Abele, il carnefice e la vittima. Sennonché, da Lord Byron alla simbolica trasposizione di Edward Albee in Lastoria dello zoo, alla fine riesce assai arduo tirare una linea definitiva tra le due parti. Fuor di metafora, una chiamata di correità per la parola non sembra fuori luogo, senza peraltro scaricare la responsabilità su una sola corporazione. Inutile tornare sul luogo comune delle simbologie guerresche del giornalismo sportivo, anche se viene da sobbalzare leggendo che gli esponenti di un grande club sono partiti per Lisbona per «conquistare» un disputato giocatore; o sottolineare la litania di soprusi denunciati anche la scorsa domenica da allenatori, presidenti e loro aedi. 11 discorso esige ormai il fatto, è il fatto. Hooligan pare ormai scaduto, ma il killer che si aggira feroce nelle ombre di Genova fa ormai parte integrante del paesaggio urbano; evoca per gemmazione tutta una serie di cupe Sarajevo ben nostre. Non credere di essere il personaggio che reciti, ammoniva un famoso regista rivolto all'attore. Non diventare la vicenda magari orribile che descrivi, dovremmo ammonire la parola; non trasformare l'immaginario in realtà. Meglio, il tuo immaginario non surroghi la realtà. Una lezione potrebbe giungere dall'ultima scena di Basic Instinct, con quel punteruolo che scivola dalla mano di Sharon Stone, splendida lezione di metaletteratura (e magari fosse stato così a Genova, domenica), silenziosa epifania a confermare lo scopo supremo della parola, «purificare il linguaggio della tribù». Claudio Gorlier

Persone citate: Edward Albee, Lombroso, Lord Byron, Paul Sartre, Sartre, Sharon Stone, Wittgenstein

Luoghi citati: Genova, Lisbona, Sarajevo