Dal set alle auto: l'attore a settant'anni terzo a Daytona Newman l'Oscar in pista di Marco Ansaldo
Dal set alle auto: l'attore a settant'anni terzo a Daytona Dal set alle auto: l'attore a settant'anni terzo a Daytona Newman, l'Oscar in pista QUANDO compì sessantanni, nell'85, Paul Newman confidò che per sentirsi realizzato non gli mancava l'Oscar quanto un'affermazione nelle corse in automobile: «Non sarò mai un Laurence Olivier - disse a chi gli chiedeva se non desiderasse finalmente un riconoscimento al suo talento di attore - e forse non vorrei nemmeno diventarlo: preferirei essere un grande pilota». Ora che ha superato da un paio di settimane la soglia dei settanta e a qualche suo coetaneo non rinnovano più la patente, quella sua intima predilezione si conferma più presente che mai. Domenica l'attore americano si è piazzato terzo nella «24 Ore» di Daytona, che con Indianapolis e Le Mans costituisce il mito delle corse di lunga durata, in cui si sposano altissima velocità e resistenza, puzzo di benzina e di hot dog con peperoni e cipolle. Un mito che Hollywood ha fatto suo e consumato. Newman ne rimase contagia¬ to sul set di «Winning», che i distributori italiani tradussero con «Indianapolis pista infernale». Era il '68. La trama era debole, la salvavano le sequenze in pista e l'interpretazione di Newman che a quarantatre anni scopriva il fascino della velocità: nella finzione riusciva a vincere e a riconquistare la moglie (era, come nella vita, Joanne Woodward), nella realtà non si è mai portato oltre il secondo posto di Le Mans nel '79. L'attore che si era calato nel mondo della boxe con «Lassù qualcuno mi ama» e che negli Anni Settanta avrebbe poi impersonato il giocatore-allenatore di hockey in «Colpo secco», lasciò il set con la voglia di cominciare a correre nonostante si trovasse nell'età in cui molti piloti pensano alla pensione. Prese lezioni da Bob Bondurant, in California, e nel '72 ottenne la licenza di professionista. Incidenti, auto distrutte contro case e guard-rail in cemento, qualche brutta esperienza come quando nel'76, nel¬ l'Ohio, un'auto atterrò sul tetto della sua vettura e lui miracolosamente restò illeso: nella sua biografia di pilota c'è tutto, compreso un contratto che i giapponesi della Datsun gli fecero firmare a cinque milioni al mese, mentre lui guadagnava milioni di dollari a film. Il Newman corsaiolo non è stato semplicemente un fenomeno di folklore, l'incontro spurio tra un artista in caccia di emozioni e uno sport in cerca di pubblicità. Certo, lui ha trovato aperte molte porte e quelle che erano chiuse le ha spalancate con la forza della celebrità e dei soldi guadagnati in cinquant'anni di carriera: non tutti i piloti, ad esempio, possono aprire una propria scuderia. «Paul però va forte. Ha tenuto una media veloce sia di giorno che di notte», ha commentato Tommy Kendall, uno dei tre piloti che gli si sono alternati al volante di una Ford Mustang a Daytona. «Io, privilegiato? In questo mondo non sanno che farsene della mia faccia, anche perché è quasi sempre nascosta dal casco», ha risposto Newman con la stessa ironia che ha usato commentando l'impresa di Daytona: «Settanta è solo un numero: non ha niente che vedere con cosa puoi fare. La mia prossima impresa? Forse buttarmi nel football». Gli ripareranno il copione. Marco Ansaldo Paul Newman alla 24 Ore di Daytona
Persone citate: Joanne Woodward, Laurence Olivier, Newman, Paul Newman, Tommy Kendall, Winning
Luoghi citati: California, Daytona, Daytona Newman, Hollywood, Indianapolis, Ohio
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