Pelé sta vincendo la scommessa di Bruno Bernardi

28 TORINO Il campione ghanese è diventato presto il leader della squadra granata Pelé sta vincendo la scommessa «Volevo misurarmi col calcio più difficile» TORINO. E' il ritratto dell'uomo sereno, senza problemi, del professionista realizzato. Anche per questo piace ai tifosi del Toro, non solo per il suo talento degno del pesante soprannome che porta. Il sorriso di Abedì Pelò è contagioso, diffonde allegria e «fa spogliatoio». Nel suo strampalato francoitaliano, ogni tanto ama sfottere i compagni. Li provoca, simpaticamente, per tenerli su di giri. C'è, in quesLo ghanese tre volte Pallone d'oro d'Africa, che in patria era un re e anche in Francia ha avuto successo nell'Olympique Marsiglia, il carisma del leader. Lui si schermisce: «Più che leader cerco di essere un esempio per i più giovani». L'aver rinunciato a disputare due partite nella Nazionale, nella Coppa Africana, per poter dare il massimo per il Toro e la brillante prestazione nel trionfale derby con la Juve gli hanno consentito di conquistare l'ambiente torinista. E' un idolo della curva Maratona. E Sonetti ha un debole per lui, che considera un autentico centrocampista. Lo entusiasmano la fantasia, la creatività, la generosità, il pressing, quel suo modo di giocare che trascina il pubblico e, spesso, mette in crisi gli avversari. E Pelò si inorgoglisce, per la stima dell'allenatore: «E' il mister che, prima delle partite, dice alla squadra di cercarmi, di darmi il pallone». Sonetti sa che non lo spreca. Come lo sanno anche i compagni. Pelò rivela che, quando la gara si complica per il Toro, gli gridano di andare a caccia del pallone: «Questo mi galvanizza in modo incredibile, moltiplica le mie energie psicofisiche». La forza di Pclè nasce dal geniale istinto calcistico e dall'autodeterminazione. A trent'anni, dopo aver vinto scudetto e Coppa dei Campioni a Mar¬ siglia, ha saputo trovare nuove motivazioni e ricominciare praticamente da capo in un Toro rivoluzionato e senza grandi ambizioni: «Certo, ho avuto grosse soddisfazioni nella mia lunga carriera, ma ci tenevo a misurarmi con il grande calcio che si pratica solo nel campionato italiano, ricco di assi provenienti da tutto il mondo. Il mio obbiettivo è dimostrare che anche Abedì Pelò ne è degno. E penso di esserci già riuscito». Ama le sfide difficili. Intanto ha già ottenuto un primo risultato importante: non ha avuto nessuna crisi di ambientamento. Perché? Spalanca i grandi occhi: «Sono fatto così. Il mio stile di vita s'adatta dappertutto, in campo e fuori. So che fenomeni come Michel Platini e Marco Van Basten hanno faticato i primi mesi ad entrare in sintonia con una mentalità diversa dalla loro, ad abituarsi alla durezza dei difensori. Poi hanno sfondato, giganteggiando, vincendo a ripetizione classifiche dei cannonieri e ben tre Palloni d'Oro europei a testa. Viceversa Dennis Bergkamp, considerato un fuoriclasse in Olanda, non ce la fa neppure dopo quasi due anni. Un mistero. Per me è stato più semplice. E spero di fare ancora meglio. Ci sono calciatori bravi per una partita su cinque o addirittura una su dieci, io desidero rendere sempre allo stesso modo». Una domenica senza calcio, quella di ieri, anche per Pelè. Il delitto di Genova lo ha scosso: «A Bastia ero stato testimone, sul campo, di un luttuoso evento, il crollo della tribuna. Quelle non erano vittime della violenza gratuita. Il calcio è tifo, è passione, ma deve tornare ad essere un divertimento per tutti, in campo e sugli spalti». Trova giusto riflettere in questa domenica di silenzio, anche se è convinto che lo stop penalizza il Toro: «Ogni volta che entriamo in forma, per una ragione o per l'altra ci fermiamo. Era già successo per l'alluvione di rinviare il derby, poi per il Milan a Tokyo, ora per i fatti di Genova. Peccato. Dopo il magnifico derby, avevamo ridimensionato l'Inter a San Siro perdendo immeritatamente su un calcio di rigore assai discutibile. Cionostante, il morale non ne aveva risentito». Pelè stima i nostri arbitri e, come il presidente Calieri, parla di sfortuna: «Sono bravi i direttori di gara italiani ma, sinora, se c'è stato un rigore piccolo piccolo lo hanno fischiato per gli altri e non per noi. Il campionato è ancora lungo e, prima o poi, la buona sorte girerà in nostro favore. Dicono che gli errori si compensano». Pelè spera che non ci sia una caduta di tensione agonistica in una squadra che non può permettersi rilassamenti: «Il nostro traguardo era e rimane la salvezza, ma se raggiungeremo in tempi brevi una posizione tranquilla, potremo poi guardare più in alto. Arriva la Lazio. All'andata fummo travolti con un secco 3-0 all'Olimpico. Una brutta esperienza. Non abbiamo dimenticato». Parola di Abedì Pelè, il re Leone. Bruno Bernardi «L'ambientamento è stato facile e ora posso essere d'esempio ai giovani» Pelè commenta così lo stop: «Ogni volta che siamo in forma ci fermano» ti ' ■ i il HI

Luoghi citati: Africa, Francia, Genova, Lazio, Marsiglia, Olanda, Tokyo, Torino