«Dobbiamo tutti imparare che perdere è un diritto, non un delitto» Sacchi: chiedo perdono al calcio di Roberto Beccantini

«Dobbiamo tutti imparare che perdere è un diritto, non un delitto» «Dobbiamo tutti imparare che perdere è un diritto, non un delitto» Sacchi: chiedo perdono al calcio «Anche io colpevole per queste brutalità» IL CT DELLA NAZIONALE SIAMO tutti disonesti. Siamo tutti colpevoli. Arrigo Sacchi parte da qui per spiegare la domenica del Grande Silenzio. Cancellata TorinoLazio dai suoi radar, è rimasto a Fusignano, un po' in casa, un po' all'ospedale, dal papà ricoverato. Giorni tristi, soprattutto «dentro». In bilico fra la paura di aver contribuito a creare i mostri che oggi infestano gli stadi e l'angoscia che sia ormai troppo tardi per espellerli. Sacchi, lo sport si è fermato: basterà? «Sì, se dopo averci meditato su ne faremo un punto di partenza. No, se lo useremo come straccio per lavare le coscienze». La gente si domanda: il commissario tecnico della nazionale era favorevole o contrario? «Favorevole. Lo reputo un passo avanti rispetto all'ipocrisia del tirare dritto sempre e comunque. Ho apprezzato gli sforzi di Pescante e di Matarrese...». Di Matarrese? Ma se era addirittura contrario a sospendere Genoa-Milan. «Temeva il solito bla-bla-bla, la classica italianata. Quando ha afferrato la portata della svolta, e il senso del messaggio, comuni, entrambi, ai suoi intendimenti, non ha più esitato». Sarà la volta buona? «Spero di sì, temo di no. E' vero che la vita è violenza, e la politica pure. Che tutti insultano tutti, e lo sport come isola non esiste, ma...». Ma? «In Inghilterra gli hooligans so- no stati rimossi. Francia, Spagna, Olanda, nessun Paese è precipitato ai nostri livelli di brutalità. Abbiamo staccato il resto del mondo». Si è mai chiesto il perché? «Tante volte. E mi sono dato questa risposta: perché siamo tutti disonesti, tutti colpevoli». Sia più chiaro. «Se non si accoltellassero alla partita, lo farebbero in discoteca, e dai cavalcavia gettano massi per uccidere, ma noi uomini di sport, e di calcio, siamo riusciti a fare in modo che gli stadi diventassero culle e palestre di teppisti. Oggi un balordo si sente allo stadio come a casa sua. Respira più odio che nelle piazze. Non me lo perdonerò mai». Rimedi? «Ognuno ha la sua ricetta: più potere alla polizia, trasferte vietate ai tifosi, "disorganizzare" i gruppi storici. Il dramma è che nessuna terapia, nessuna medicina potrà aiutarci, dal di fuori, a debellare un cancro che ha trovato terreno fertile all'interno del sistema. Ci riusciremo, se mai ci riusciremo, soltanto il giorno in cui avremo migliorato la nostra cultura sportiva». Non le sembra la solita mozione degli affetti traditi? «Al contrario. Il calcio, in Italia, non conosce la cultura della sconfitta. E chi non sa perdere, nega l'onestà, i diritti umani, l'essenza stessa dell'agonismo. Da trenta-quarant'anni la parola d'ordine è: vincere». Esiste una classifica dei colpevoli? «Tutti, io per primo. Io che a Marsiglia feci il Ponzio Pilato e non mi opposi al ritiro del Milan nella speranza di lucrare una vittoria a tavolino. Il giornalista che manipola la notizia e monta casi inesistenti per biechi interessi editoriali. Il dirigente che cavalca l'effetto tifo. L'allenatore che si aggrappa a tutto pur di vincere: e se non ci riesce, dà la colpa all'arbitro. Il giocatore che simula e bara. La perdizione nasce da questi atteggiamenti e si propaga su su, fino alle curve». Però è strano che i tifosi più estremisti appartengano al Milan, la squadra che negli ultimi anni ha vinto di più. «Trovo, viceversa, che sia normale. Perché primi nel calcio e non nelle sprangate? Oggi si ragiona così. La colpa ò sempre degli altri, mai nostra. Penso al povero ragazzo assassinato, ma anche al povero ragazzo che l'ha ucciso. Due vite spezzate, due famiglie rovinate. E mi domando: cos'ho fatto, cosa abbiamo fatto, per evitare che si arrivasse a tanto?». Secondo alcuni, la violenza non si combatte con una domenica di stop. ((A costoro rispondo con un tragico graffito: nel giugno '89, quando a San Siro morì di botte un tifoso romanista, non ci fermammo noi e non si fermò il campionato, eppure sei anni dopo siamo ancora qua, a parlare di un altro morto ammazzato. Come vede, il fermarsi o il non fermarsi ha poco valore. Conta quello che si riesce a costruirgli attorno. Oggi fa spettacolo tutto: anche la morte. Ho letto, visto e sentito cose raccapriccianti». Mancano gli esempi. «Proprio così. E, di conseguenza, l'odio dilaga. Il fatto sportivo, ormai, viene per ultimo. L'importante è specularci sopra, strillare, fare le vittime a costo di fare delle vittime». Venga al sodo. «Nel mio piccolo, ho cercato e cerco di correggermi. Ho perso un mondiale ai rigori, eppure ho applaudito i vincitori. In un'altra occasione, a Torino contro la Juve, avrei potuto trarre profitto da un petardo che aveva colpito Ancelotti, ma non lo feci: e al ritorno, addio Coppa Italia. Molto, però, ho peccato anch'io. A Marsiglia, a Verona, dove persi la testa e mi feci cacciare, a Bergamo, per una palla non "restituita". Adesso basta: o ci diamo una regolata, o sarà la fine, di tutto e di tutti». Sembra molto pessimista. «E' difficile non esserlo. Sarà anche vero che da adunate di 80 mila persone è quasi impossibile non ricavare almeno una rissa, ma con l'aria che tira, se proprio devo essere sincero mi aspettavo, e mi aspetto, un morto a domenica». Guai è il messaggio di Arrigo Sacchi? «Semplice: piantiamola con le terminologie belliche, copiamo gli americani e gli inglesi, il loro modo di vivere (e fare) lo sport. Insegniamo ai giovani che perdere è un diritto, e non un delitto. Torniamo idealmente a scuola. Umanizziamo la moviola: non facciamone uno strumento cii divisione. Quando ero ragazzino, tifavo Inter: andavo a Bologna con la bandiera, e nessuno mi tendeva imboscate. Sogno stadi pieni di famiglie e di bambini. Come in America. Come in Inghilterra, adesso. Come nei Paesi civili, sempre». Roberto Beccantini A fianco il presidente della Federcalcio Antonio Matarrese

Persone citate: Ancelotti, Antonio Matarrese, Arrigo Sacchi, Matarrese, Pescante, Ponzio Pilato, Sacchi