Archeologi greci e macedoni corrono in Egitto accusandosi di «usurpazione» Faida balcanica su Alessandro di Domenico Quirico
Archeologi greci e macedoni corrono in Egitto accusandosi di «usurpazione» Archeologi greci e macedoni corrono in Egitto accusandosi di «usurpazione» Faida balcanica su Alessandro Atene e Skopje si disputano la tomba di Siwa DELLA GRECITA' LA terza guerra macedone sarà combattuta nel cuore del deserto egiziano, tra gli esasperati chiaroscuri nell'oasi di Siwa dove i potenti, re persiani, imperatori di Roma, regoli ellenistici si trascinavano in penoso pellegrinaggio, disarmati, ansiosi a scrutare nelle oscure parole di Amon il futuro del mondo. Si affrontano due mini-eserciti di archeologi-nemici, decisi a piantare le bandiere dei rispettivi Paesi sulla pietra di quella che potrebbe essere la scoperta archeologica più clamorosa di questa fine secolo. Il bottino per cui si lotta non è da poco: la tomba del simbolo stesso della grecità, del giovane signore che incatenò le nazioni fino ai confini del mondo, Alessandro, che una ricercatrice, Liana Souvaletzi, ha annunciato con fragore di aver rubato alla sonnolenza letargica del tempo. E' già in Egitto una folta delegazione inviata dal governo greco per verificare l'ancora incerta attendibilità della sco- perta. E' impegnata in uno sprint con i colleghi partiti da Skopje, capitale della Macedonia ex Jugoslava che, a sua volta, rivendica l'antico pedigree di sudditi dei re di Pidna. I commandos di detective del passato erano ancora in volo e già tra le due capitali nemiche si intrecciavano vibranti accuse di «usurpazione» di simboli della grecità, da usare poi come grimaldelli per le rispettive rivendicazioni territoriali. Da quando nel '91 dall'esplosione della nebulosa jugo¬ slava emerse, ultima rachitica creatura, la Macedonia, la rissa storico-politica non ha avuto momenti di sosta. Atene, arcigna e sospettosa, teme che Skopje sogni la costruzione della «grande Macedonia», con le province greche del Nord. E tenacemente cerca di soffocare la provocazione, rivendicando la tradizione di unica erede legittima di quel crocevia di popoli. Missione riuscita solo in parte perché l'Onu, nel frattempo, ha riconosciuto la nuova nazione. Anche se sotto il nome di «Repubblica jugoslava di Macedonia», che in parte soddisfa le pretese di copyright ateniesi. Da quando sulla frontiera è tornata la tensione come ai tempi di Demostene, non c'è pace per gli archeologi arruolati per fornire le munizioni di una guerra, per fortuna, combattuta finora solo a colpi di citazioni storiche. Uno di loro, Andronikos, che ha scoperto nel '79 a Verghina la tomba (pure questa presunta) di Filippo, padre di Alessandro, il mo¬ narca che trasformò un oscuro regno di montanari in una potenza mondiale, è diventato una celebrità. I macedoni di Skopje hanno replicato inserendo nella bandiera, come stemma, proprio la gemma più preziosa di quella scoperta, la stella a sedici punte, uno splendido monile; è la prova dell'alto grado di civiltà raggiunto dai macedoni, da sempre perseguitati dalla fama di semibarbari affacciatisi alla Storia dalla periferia dell'Eliade. Per Atene è stata una provocazione, che ha rinfocolato la febbre nazionalistica e moltiplicato il rancore contro «i dardani» o «le genti del Vardar», come sono chiamati i vicini. Ma nei Balcani bruciati dal nazionalismo anche le vecchie pietre non possono restare innocenti, antichi eroi vengono tirati fuori a forza dai libri di storia, ancora brucianti di furori e passioni. Criticare Alessandro Magno è delitto di lesa maestà, costa caro come duemila anni fa. Lo sanno ben i re¬ dattori di «Omicron», rivi'sta ufficiale dei giovani di «Nuova democrazia», il partito di centro-destra greco. Li hanno licenziati in tronco per un blasfemo articolo revisionista, in cui Alessandro era definito «massacratore di popoli». Nel furore della disputa nessuno vuole ricordare che lui, il vincitore di Isso, si sentiva macedone con i suoi rudi montanari armati di sarissa, greco mentre discuteva con Aristotele, orientale quando, novello Dioniso, risaliva le strade misteriose dell'Asia. Alessandro scrisse alla madre una lettera in cui raccontava che, a Siwa, il gran sacerdote di Amon gli aveva rivelato un segreto, tanto terribile che lo avrebbe confidato solo al suo ritorno in patria. Il giovane conquistatore non tornò mai tra le aspre montagne che presidiavano Pidna, portando con sé le parole del dio. Se davvero è sepolto a Siwa, forse è meglio lasciare sotto la sabbia il suo segreto. Domenico Quirico La scoperta riattizza la contesa esplosa tra le due capitali sul «copyright» del nome Macedonia A sinistra Alessandro Sotto, il padre Filippo
Persone citate: Alessandro Atene, Alessandro Magno, Eliade, Liana Souvaletzi
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