Affonda la corazzata Formentini di Cesare Martinetti

Affonda la corazzata Formentini Affonda la corazzata Formentini Milano sfugge dalle mani del Carroccio LA CRISI DELLA LEGA/3 MILANO OVEVA diventare il sindaco della nuova Milano, ma tutti ne parlano come di un sindaco qualunque. Formentini, glielo faranno a lei il monumento? Ci pensa un po', sorride con quell'aria perbenista e sorniona che un anno e mezzo fa sembrava potesse interpretare la maggioranza silenziosa. Poi con modestia, o timidezza o con quell'apatia che gli rimproverano da destra e da sinistra dice: «Questo a Bucalossi sarà l'ultimo busto». Siamo nella fonderia Battaglia, dietro l'Arena, in quella Milano indistinguibile tra centro e periferia, miniera di voti leghisti, dove il sindaco è venuto a controllare come sta crescendo il busto in bronzo di Pietro Bucalossi, primo cittadino tra il '64 e il '67. Lo scultore Zegna gli mostra l'opera e Formentini appare molto soddisfatto: «Faremo una bella cerimonia». Perché l'ultimo? Sorride: «Perché dopo Bucalossi è venuto Aniasi e se vanno al potere i fascisti, a lui che era partigiano, il busto non glielo fanno di sicuro. E dopo Aniasi... nessun altro». Non fa nomi, ma dopo sono venuti Tognoli e Pillitteri, i due sindaci del regime craxiano, i due di Tangentopoli. «E poi - dice guardando il busto di Bucalossi - di questi sindaci s'è perso lo stampo..:». E' vera modestia? Marco Formentini, anni 64, leghista antemarcia, fedelissimo di Bossi, visto da vicino, qui sulla- 164 che ci porta a spasso per Milano, non sembra l'Alberto da Giussano dell'invincibile armata leghista, la squadra rabbiosa che doveva riscattare l'onore dei milanesi qualunque. Formentini è tuttalpiù il simbolo di una disillusione, il volto mesto, solitario e accerchiato di un falò politico che sembra si stia spegnendo. Un anno e mezzo fa avevano votato per lui 452.868 milanesi, oltre il 57 per cento. Aveva trentasei consiglieri su 60, un giunta ambiziosa, con una punta di diamante come il professor Marco Vitale, consulente finanziario e grand commis di merchant-bank a cui era affidata la riscrittura delle regole e la strategia dei grandi interventi. Vitale se n'è andato dopo un po' per un'idea diversa delle privatizzazioni; sette leghisti hanno lasciato il Carroccio nelle ultime settimane. Oggi Marco Formentini, che come dice l'ex missino De Corato «ha avuto più potere del podestà», è un sindaco senza maggioranza e circondato dai nemici. A poche decine di metri dal suo ufficio di palazzo Marino, la presidente del consiglio comunale Elena Gazzola, moglie di Negri leader dei leghisti dissidenti, senza troppa eleganza promette guerra: «Lo teniamo sulla graticola, ah, ah». A settembre gli industriali dell'Assolombarda gli hanno dato i sei mesi: o fai qualcosa o passiamo all'attacco. L'ultimatum sta per scadere. All'associazione commercianti, gran serbatoio di voti leghisti, sono delusi. In curia non parliamone: le associazioni e il formicolante tessuto connettivo della cattolicità ambrosiana è stato tenuto fuori da palazzo Marino al punto da far dire al cardinal Martini: «Sento salire il grido di allarme da cittadini e gruppi di aggregazione...». Frana il blocco politico leghista scoperchiando la fragilità della squadra e la mobilità del consenso: i sondaggi danno oggi la Lega tra il 4 e il 7 per cento in Milano. Gli oppositori attaccano la giunta, ma anche Formentini. Due fustigatori ostinati e speculari come De Corato e il verde Basilio Rizzo danno di lui un giudizio quasi identico. Dice l'ex missino: «A Milano non c'è nulla di visibile che possa essere definito leghista o formentiniano...» Rizzo: «Formentini supera in pigrizia persino Pillitteri: a me non sembra nemmeno che sia sindaco». Paolo Hutter, pds, uno dei quattro sopravvissuti in consiglio comunale, ricorda: «Quando fu eletto, ci sembrava un marpione, ci aspettavamo il colpo di astuzia da un momento all'altro. E invece no, sembra che non si appassioni a nulla». La giunta ha fatto collezione di gaffes. La più grave è stata quella di non aver inviato il gonfalone ai funerali di Spadolini, ex direttore del Corriere ed ex consigliere comunale. All'inizio i rapporti con dipendenti e funzionari del Comune furono burrascosi. Tuttora la presidente Gazzola sintetizza così il suo pensiero: «Molti remano contro, rispondono ai vecchi padroni, non sanno lavorare. Bisognava tagliare molte teste». Ci ha raccontato un funzionario: «Sono arrivati qui con la sindrome dell'accerchiamento, avevano la ripulsa verso il Comune, ci consideravano tutti complici del vecchio regime, avevano paura delle spie. Ancora adesso si fa una riunione tra assessori prima della giunta a cui non partecipa nessuno di noi. La città era estranea e appariva loro nemica e minacciosa. Questo sentimento gli ha però consentito di tener fuori gli interessi forti, Ligresti, Berlusconi». Sarà per questo che Telelombardia (Ligresti) e tutti i media del Cavaliere hanno bombardato Formentini e la sua giunta senza pietà. Nessuno è stato risparmiato, nemmeno la moglie Augusta, una signora piena di buon senso che s'è conquistata un ruolo pubblico con presenze e dichiarazioni (buone) che facevano da contrappeso alla faccia cattiva della Lega. L'hanno battezzata la «first-sciura». E lei, con garbo, ha dichiarato di non dolersene: «Di first-lady ce ne sono tante, first-sciura sono solo io». Dice il sindaco: «I nostri tre figli hanno più di 30 anni, siamo rimasti soli e quando viene con me, sono felice. Ap¬ prezzo sempre le sue dichiarazioni, dice cose di buon senso, \ non è saccente». L'altro giorno, per esempio, ha battezzato con un gesto simbolico il nuovo corso solidaristico annunciato in un convegno presente il cardinale. L'Augusta è andata al funerale di quattro zingarelli morti nel rogo della roulotte. Per la prima volta da quando è sindaco, Formentini aveva invitato tutte le associazioni e trovarsi intorno a un tavolo per discutere di solidarietà; la giunta ha pagato agli zingari una roulotte nuova. Ma in Comune, ad esprimere lo stato d'animo di molti suoi elettori, è subito arrivata una lettera al sindaco: «Non ci sto: mia moglie era stata scippata da quegli zingari lì, e noi abbiamo già dato...». Che sia opportunismo politico (i popolari potrebbero appoggiare così la giunta) o ripensamento civile, la svolta solidaristica sta innescando reazioni. La Gazzola, per esempio, dice: «Piano, vogliamo vederci chiaro». E intanto quella sfrangiata opposizione che già si sente maggioranza (Forza Italia, An, i dissidenti della Lega, parte dei popolari formigoniani e dei pattisti anti-sinistra) sta stringendo le file in attesa di veder passare il cadavere del sindaco. Allora, Formentini, tutti aspettano che lei cada. «Ma io sono eletto dal popolo, non sarà facile buttarmi giù dalla sella. So quello che dicono della mia giunta, ma la realtà è un'altra: Milano è una città pulita, è stato bloccato il trend di degrado, i servizi al cittadino sono migliorati, i trasporti funzionano, abbiamo fatto un festival dei teatri d'Europa di successo, alla Scala c'è stato l'esaurito per tutte le nove repliche delle Valkirie e non capita nemmeno a Berlino». Chi sono i suoi nemici? «Gli affaristi e i fascisti. Da tempo hanno capito che a Milano non c'è trippa per i gatti. Ma vogliono prendere la città: oggi tutte le forze che rientrano dentro l'ambito berlusconiano sono in lotta con me. Non conosco Ligresti. I dissidenti della Lega vogliono presentarsi a Berlusconi portandogli Milano e la mia giunta. Ma non ci riusciranno». Serafico, imperturbabile, persino impolitico, Marco Formentini - nonostante tutto non ha l'aria preoccupata e conferma: «Non mi ripresenterò candidato. E' molto impegnativo fare il sindaco, è una partita giocata tutta all'attacco e bastano i tempi regolamentari. Nei supplementari non gioco». Cesare Martinetti Il sindaco si ribella «Mi ha eletto il popolo, non mollo» A sinistra il sindaco Formentini a destra il card. Carlo Maria Martini arcivescovo di Milano e il dissidente leghista Luigi Negri