Una «Sposa» rara L'epopea dei cornuti e contenti di Osvaldo Guerrieri

Una «Sposa» rara Una «Sposa» rara L'epopea dei cornuti e contenti TORINO. In genere non si fa peccato a diffidare di quelle opere che arrivano al pubblico dopo secoli di silenzio. Ma per «La sposa di campagna» di William Wycherley, che arriva per la prima volta sui palcoscenici italiani (fino a domani è al Carignano), la diffidenza non regge. «La sposa di campagna» è una gran bella commedia e dobbiamo essere grati al Centro Teatrale Bresciano e al regista Sancir'- Sequi di averla allestita usando la traduzione di Masolino d'Amico pubblicata da Garzanti. Non che l'opera fosse sconosciuta. Era già apparsa in una lontana antologia del teatro inglese, tradotta da C. Foligno. Ma i teatranti l'hanno sempre ignorata. Scritta nel 1675, «La sposa di campagna» è una delle quattro commedie di Wycherley, «bell'ingegno di corte» protetto dal duca di Buckingham, ma rovinato dai debiti. E' un'opera dalla superficie scintillante e dal nucleo spietato. Con «The Plain Dealer» (L'onest'uomo) forma un dittico di assoluto valore: quanto di meglio fosse stalo prodotto dal cosiddetto Teatro della Restaurazione. Questa «Sposa» sembrerebbe il resoconto crudele di una beffa. In realtà è peivasa da una violenza che pare scaturire da un disgusto morale di intensità quasi swiftiana. L'intreccio principale descrive lo stratagemma di Horner (alla lettera: «cornificatore») per assaporare, consenzienti i mariti, i favori delle signore apparentemente virtuose e rispettabili. Egli si proclama eunuco, ma di volta in volta rivela alle signore l'integrità della sua forma fisica. Il contrasto tra rispettabilità esteriore e segreta impudicizia non è semplicemente un pretesto per schermaglie di spirito, ma denuncia l'egoismo e la lussuria celati dietro l'ostentazione di Virtù e onorabilità. Fra le vittime di Horner c'è anche la sposa del titolo, una ragazza ingenua maritata a Pinchwifc che, condotta la sposa a Londra, cerca di sottrarla alle attenzioni dei cicisbei cittadini. Ma Horner riesce ugualmente a conquistarla, lasciando scornato il marito geloso e ottuso: le corna sono la sua giusta condanna, il che non giustifica affatto il comportamento della moglie che, alla fine, appare come un animale ripugnante. La commedia ci lascia, oltre a un vigoroso dinamismo, due momenti di straordinaria efficacia comica: le signore che si disputano le porcellane di Horner (attenti ai doppi sensi) e la lettera che gli scrive la sposina. Per mettere in scena questo quadro d'ambiente, Sandro Sequi e lo scenografo Giuseppe Crisolini Malatesta hanno scelto la strada della stilizzazione, che fa scivolare il realismo di Wycherley verso una forma di lieve astrazione. L'eleganza è grande, ma l'impressione è che Sequi abbia voluto fissare la materia nel suo tempo e l'abbia poi chiamata alla vita senza però sprofondarla nel verminaio dell'immoralità. Con inevitabili effetti sulla recitazione che, in alcuni casi, si ferma sulla soglia di un macchiettismo un po' generico. Ma nel complesso l'interpretazione è incisiva. Aldo Reggiani fa un Horner adeguatamente volgare e perverso; Mario Valgoi è un Pinchwife di nerezza molieriana; Stefania Felicioli sopperisce con la veive indiavolata all'esiguità fisica della sposa di campagna; Anita Laurenzi utilizza lo humour per superare il limite anagrafico della sua Alithea. E citiamo ancora Roberto Trifirò, Pino Censi, Ermes Scaramelli, Elisabetta Piccolomini, Monica Conti, Silvia Priori, Sergio Mascherpa e Beatrice Faedi. Tutti applauditi da un pubblico attento, ma non foltissimo. I Osvaldo Guerrieri

Luoghi citati: Foligno, Londra, Torino