La guerra non è soltanto dei grandi, così si impallinano gli alunni

La guerra non è soltanto dei grandi, così si impallinano gli alunni LETTERE AL GIORNALE La guerra non è soltanto dei grandi, così si impallinano gli alunni Scotland Yard e gli stadi Finalmente, qualcuno è andato a sentire Scotland Yard a Londra. Tuttavia, S. Y. (in breve), non ha detto tutto. Per esempio: la Carta d'Identità nel Regno Unito non esiste. Proprio non c'è. Chi viene fermato declina dati anagrafici e residenza. Sulla parola. Per i tifosi di calcio è diverso: è compito delle società schedare i propri abbonati o tifosi. Per questo le società più a rischio di violenza, Liverpool, Manchester Un., West Ham, Chelsea, Milwall, usano tessere magnetiche e macchine lettrici. Per questo Scotland Yard ha schedato in proprio i più facinorosi e pericolosi. Non essendoci carte d'identità S.Y. ne ha fatte di proprie. Un'altra cosa che S. Y. non ha detto. Cioè che una decina di agenti a cavallo pattugliano stadio e vie adiacenti. Il cavallo e il manganello: mezzo molto mobile, veloce, il cavallo, che irrompe in mezzo ad una rissa; oggetto molto persuasivo, il manganello, che cala inesorabile su tutti. E la sicurezza dell'agente, che dall'alto del suo cavallo fa il buono e il brutto tempo ed ò inattaccabile e sicuro. Proprio a fine maggio cade il decimo anniversario della tragedia di Bruxelles e dei suoi 39 morti. Come non ricordarli? Mi ricordo come fosse ieri. Il giorno della partita fra Juventus e Liverpool, Giorgio Tosarti mi aveva mandato a Liverpool per fare dei servizi pre e post partita con i tifosi inglesi. Fui io che per primo detti al collega Franco Ferrara l'annuncio della tragedia. Al Corriere dello Sport e in Italia non si sapeva ancor nulla di tutti quei morti. Si sapeva di tafferugli e basta. I giornalisti a Bruxelles non sapevano nulla. Toccò a me fare la conta delle vittime. Prima 11, poi 22, poi 27, fino ai 39. Rimasi al telefono per tutta la notte a dettare interviste e commenti. Mi fecero rimanere a raccogliere impressioni a Liverpool, per una settimana. E poi a Londra, dove ventisei hooligan del Liverpool furono processati. Li ho visti in faccia tutti. Per due sedute. Eravamo io, Giancarlo Galavotti della Gazzetta e Sandro Paternostro della Rai. Sono l'unica persona e unico giornalista in Italia che abbia visto in faccia tutti quei teppisti. Non mi divertivo più. Quello non era sport. Avevo la nausea. Nel 1990 sono tornato in Italia. Nel decimo anniversario di quella tragedia, prego di pubblicare questo desiderio. Fare sì che si possa giocare JuventusLiverpool in amichevole il 31 maggio 1995: per non dimenticare l'Heysel, e gli altri 7 morti, Vincenzo Paparelli a Roma, Mario Fonghessi a Milano, Paolo Saroli a Roma, Giuseppe Tomasetti ad Ascoli, Antonio De Falchi a Milano, Salvatore Moschella ad Acireale e Vincenzo Spagnolo a Genova. Sergio Trabalza, Trento Tifo e invettive del diciottesimo secolo Oggi che la stampa politica dedica ampio spazio alle cronache calcistiche non sembri fuori luogo questa «lettera» riguardante uno storico avvenimento: il primo incontro a Bologna, nel 1762, tra la squadra di calcio felsinea e quella fiorentina, che vantavano i giocatori allora più quotati in Italia. La vittoria arrise ai bolognesi che, presi dall'euforia, arrotarono la lingua: «Fiorentini sguaiati/ tornate svergognati/ dell'Arno su le sponde/ tuffatevi nell'onde;/ per schivar le fischiate/ le beffe e le risate/ de' vostri cittadini/ cui sciupate i quattrini». Ma, con la rivincita in casa, i fiorentini resero pan per focaccia: «Mezze lingue da salame/ che vi fece insuperbire?/ Bisognava prima compire il trionfo e poi ciarlare;/ passa presto una parola/ ma più presto torna in gola». E' il caso di ricordare quell'amabile torinese d'adozione che fu Edmondo De Amicis (ebbe cara Palermo, a suo dire «questa stupenda e strana città dei Vespri e di Santa Rosalia», da lui visitata nel 1906), il quale riversò la passione per lo sport della palla nel libro «Gli Azzurri e i Rossi», auspicando di vedere «le grandi volate registrate dalla stampa». Angelo Giumento, Palermo Uomini in guerra e Dio sta a guardare? Fra le tante vittime dell'Olocausto ci fu anche Anna Frank, una saggia ragazzina ebrea che, prima della sua deportazione, scrisse un celebre diario. Alla data del 3 maggio 1944 «scolpì» queste parole: «Non credo affat- *o che la guerra sia soltanto colpa dei grandi uomini, dei governanti e dei capitalisti. No, la piccola gente la fa altrettanto volentieri, altrimenti i popoli si sarebbero rivoltati da tempo. C'è negli uomini un impulso alla distruzione, alla strage, all'assassinio, alla furia, e fino a quando tutta l'umanità, senza eccezio¬ ni, non avrà subito una grande metamorfosi, la guerra imperverserà». Senza andare tanto lontano da casa nostra, sono sotto gli occhi di tutti piccole guerre e tregue «armate» in ogni strato sociale e dappertutto. Nei condomini c'è quello che litiga con la portinaia, quell'altra che fa i dispetti al vicino, ecc. Nei palazzi di potere - alla faccia di Tangentopoli e delle promesse fatte ai propri elettori - c'è ancora chi pensa di fare il furbo dietro un clientelismo mascherato da finto liberismo. Sui posti di lavoro vi sono sfruttatori e sfruttati (sia da parte dei dipendenti che da parte dei datori di lavoro). Anche in tante famiglie vi sono guerre per questioni ereditarie, per disaccordi, tradimenti e ingiustizie. Alla luce di questa realLa trovo ridicolo prendersela con Dio e chiedergli: «Dov'eri tu, allora?» o «Dove sei oggi?». E' una tipica mentalità veterotestamentaria. Dio ha voluto lasciare una certa libertà all'uomo. Qui sta la meraviglia e il dramma del rapporto fra Dio e l'Uomo e qui sta il nostro dovere di non deluderlo. La metamorfosi ipotizzata da Anna Frank potrebbe avverarsi in futuro ma solamente quando ogni uomo vivrà in maniera evangelica, sulla base di quei valori che ci sono stati tramandati e sulla considerazione che non si debba litigare sul diritto di «proprietà» sulla Bibbia. Michele Salcito, Torino La strage degli studenti Il decreto legge che ha abolito gli esami di seconda sessione nelle scuole superiori non è stato integrato da alcuna disposizione sui criteri di promozione o di esclusione da questa in tali scuole. Su Tuttoscuola ho letto, non senza rabbrividire, che nella maggior parte degli istituti si pensa di adottare il seguente criterio: «L'alunno sarà respinto se avrà insufficienze non gravi in più di due materie o gravi in più d'una». E' facile prevedere una strage. Infatti negli anni passati gli alunni rinviati a settembre con situazioni ben peggiori di quelle che oggi si vorrebbero considerare le minime indispensabili alla promozione erano assai numerosi. E siccome da un pezzo le bocciature a settembre costituivano piuttosto l'eccezione che la regola, la maggior parte di loro si salvava. Né ci si aspetti miracoli dai previsti corsi di recupero: saranno quantitativamente ridotti (dalle 10 alle 16 ore) e saranno effettuati durante l'anno scolastico, in aggiunta ad orari curriculari già in molte scuole pesantissimi (40 ore settimanali e più). Come li concilieranno gli studenti con i compiti ordinari, che dovranno continuare ad eseguire, e con l'elevato pendolarismo che affligge molti di loro? Urgono norme chiare, che tengano presente, tra l'altro, la situazione assai diversa dei vari tipi di istituto superiore. Al liceo classico vi sono, a seconda degli anni, tra le 9 e le 11 materie. In altri istituti si arriva, in certe classi, a una quindicina. E' ovvio che su un più largo ventaglio di cose da studiare è più probabile imbattersi in qualcuna che non si riesce ad apprendere. Quindi, come minimo, occorrerebbe che il numero di insufficienze, anche gravi, ammissibile per ottenere ugualmente la promozione fosse determinato non in cifra fissa, ma in proporzione al numero degli insegnamenti, e comunque con un parametro più largo di quello, avarissimo, che sembra si voglia oggi adottare. Infatti non sarebbe giusto mortificare un così gran numero di giovani che, se conseguono buoni risultati in molti settori dei loro studi, si devono presumere volenterosi. Prof. Giulio Cesare Santucci Tavarnuzze (Firenze)