La Leggenda di Jalta

Cinquant'anni fa si incontravano i vincitori del nazismo: la verità su uno dei più grandi equivoci storici del XX secolo Cinquant'anni fa si incontravano i vincitori del nazismo: la verità su uno dei più grandi equivoci storici del XX secolo erìda w~| 0 spettro che si aggira da I cinquant'anni nel grande a labirinto della politica II internazionale si chiama I—=J Jalta, Tutto, apparentemente, comincia nella villa imperiale di Livadja, su una splendida collina in riva al Mar Nero tra svettanti cipressi, macchie di arbusti e purpurei fiori di rosmarino. Tutto risale all'incontro tripartito che si tenne nel febbraio del 1945 fra Churchill, Roosevelt e Stalin: la divisione della Germania, la spartizione dell'Europa in sfere d'influenza, le grandi migrazioni alla fine della seconda guerra mondiale e la sorte di interi popoli che i «grandi» mossero sulla carta geografica come pedine sulla scacchiera del mondo. Quando visitai la villa e chiesi di vedere la sala della conferenza scoprii un grande salotto e, nel mezzo, un tavolo rotondo, non molto più grande di un tavolo da bridge. Contrariamente a quanto accade di solito nelle maggiori conferenze internazionali i tre «supremi» vollero sedersi l'uno accanto all'altro, quasi a contatto di gomito, mentre i collaboratori e gli interpreti si assiepavano in seconda fila. Non so se i mobili del salotto fossero gli stessi degli anni in cui Nicola e Alessandra trascorrevano le loro tranquille giornate estive con lo zarevic ammalato e le sue bionde sorelle. Ma l'atmosfera era quella di una grande casa sul mare, comoda, elegante, vecchiotta, arredata con il gusto borghese della famiglia imperia le. Era questo, dunque, il punto da cui era cominciata la lunga storia del secondo dopoguerra? Jalta non è soltanto l'ultima grande conferenza internazionale prima della fine della seconda guerra mondiale. E' anche uno dei maggiori equivoci storiografici del Ventesimo secolo. Tutti gli studiosi sanno da molto tempo che a Jalta non fu deciso quasi nulla e che è impossibile attribuire alla confe renza la spartizione dell'Europa in blocchi contrapposti. Ma una tenace leggenda vuole che il mondo della guerra fredda, in cui abbiamo vissuto sino al crollo del Muro di Berlino, sia per l'appunto il «mondo di Jalta». Fra i molti autori di quella leggenda il maggiore, probabilmente, fu il generale de Gaulle che Roosevelt, fermamente deciso a eliminare la Francia nel novero delle grandi potenze, non volle invitare alla conferenza. Piccato nel suo orgoglio gallico, de Gaulle rifiutò d'incontrare il Presidente americano durante la sosta d'Algeri e descrisse da allora l'incontro dei tre grandi come una sorta di complotto internazionale fra le maggiori potenze vincitrici a danno della Francia e dei piccoli Stati europei. La tesi piacque agli antiamericani, agli antisovietici e più generalmente a tutti coloro che vanno continuamente alla ricerca di registi occulti con cui spiegare i grandi avvenimenti della storia. Quello che sto per scrivere non riuscirà mai a convincerli che la realtà è alquanto diversa. La leggenda di Jalta è molto più forte della sua storia. Occorre dire brevemente, anzitutto, perché i grandi decisero d'incontrarsi in territorio sovietico anziché a mezza strada, in una qualsiasi città neutrale lungo le coste del Mediterraneo. Fu il dittatore georgiano che impose la sua scelta. Sostenne che non poteva allontanarsi dal suo Paese perché doveva dirigere le operazioni militari, ma in realtà volle soprattutto «giocare in casa», con tutti i vantaggi materiali e logistici che i sovietici (e i loro servizi segreti) avrebbero tratto dalle circostanze. Ottenne un risultato, forse involontario: quello di costringere il suo maggiore interlocutore, Roosevelt, a una faticosa «trasferta» che ebbe probabilmente qualche incidenza sulla sua prontezza intel- lettuale al tavolo della conferenza e peggiorò bruscamente le sue condizioni di salute. Allorché fu deciso che l'incontro avrebbe avuto luogo in «casa di Stalin» la scelta cadde, anche per ragioni logistiche, sulla piccola città meridionale dove Cechov passava gli inverni per arrestare il progresso della tubercolosi e in cui ambientò la tenera storia di una giovane donna che passeggiava con un piccolo cane fra i caffè e i gazebo del lungomare. Nei giorni in cui Churchill, Roosevelt e Stalin sbarcarono a Jalta e presero posto al tavolo rotondo della villa di Livadja, le due maggiori potenze nemiche - Germania e Giappone - stavano battendosi disperatamente. I sovietici erano a settanta chilometri da Berlino, gli angloamericani si avvicinavano al Reno, gli inglesi combattevano in Birmania, il generale MacArthur stava offensiva. Oggi, col senno di poi, sappiamo che la guerra era praticamente finita. Ma nessuno, in quel particolare momento, poteva dire con certezza quando sarebbe terminata e quale sarebbe stato il costo umano delle ultime battaglie. Sapevano che la vittoria era a portata di mano, ma i due leader occidentali sapevano altresì che di lì a qualche mese avrebbero dovuto render conto al loro Paese del prezzo di sangue che le truppe inglesi e americane stavano pagando per sconfiggere l'avversario. Fu questa, ancor più della costruzione di un nuovo ordine mondiale, l'ossessiva preoc¬ cupazione con cui Churchill e Stalin cominciarono a negoziare. I tre leader parlarono di molte cose: della continuazione della guerra contro la Germania e il Giappone, della conferenza dell'Onu che si sarebbe tenuta a San Francisco nell'aprile di quell'anno, del destino della Polonia. Quando discussero delle Nazioni Unite la trattativa si bloccò sul numero dei voti delle maggiori potenze. Non è giusto, sostenne Stalin, che la Gran Bretagna possa disporre a suo piacimento di tutti i voti dei Paesi del Commonwealth. Cercarono di spiegargli che i «dominions» erano Stati indipendenti e che ciascuno di essi avrebbe votato liberamente. Ma alla fine dovettero garantirgli tre voti e permettere che alle Nazioni Unite partecipassero, insieme all'Urss, l'Ucraina e la Bielorussia. Fu la Polonia, tuttavia, il nodo più intricato. Stalin era deciso a inserirla nell'impero sovietico e sostenne il «comitato di Lublino», composto da comunisti e compagni di viaggio, contro il governo polacco in esilio che si era costituito a Londra dopo la vittoria tedesca nell'autunno del 1939. Churchill e Roosevelt si resero perfettamente conto delle conseguenze che la politica polacca dell'Urss avrebbe avuto sui Paesi dell'Europa centrale. Ma non poterono opporsi alle ambizioni di Stalin. Avevano bisogno dell'Armata Rossa per debellare la Germania e speravano che l'Unione Sovietica avrebbe dichiarato guerra al Giappone. Neppure Roosevelt sapeva che di lì a qualche mese una nuova arma - la bomba atomica avrebbe permesso all'America di sconfiggere con due bombardamenti il nemico asiatico. Al di là dei propri obiettivi contingenti, ciascuno dei tre partecipanti aveva una particolare visione del mondo e sperava d'imporla ai propri interlocutori. Stalin voleva estendere la potenza sovietica al di là dei confini dell'Urss ed era deciso a piantare la bandiera del comunismo in tutti i Paesi conquistati dall'Armata Rossa. Churchill era realisticamente pronto ad ammettere che l'Unione Sovietica sarebbe stata da quel momento la potenza egemone dell'Europa centroorientale, ma sperò che Mosca avrebbe lasciato ai Paesi occupati un più largo margine di libertà e badò soprattutto a difendere gli interessi dell'impero britannico. Un anno prima, a Mosca, aveva proposto a Stalin la creazione di una serie di «joint ventures» in cui la Gran Bretagna e l'Unione Sovietica avrebbero detenuto, a seconda dei casi, quote diverse, e per farsi meglio capire buttò giù a mano su un pezzo di carta alcune percentuali: in Romania il 90% ai sovietici e il 10 agli occidentali, in Grecia il 10 ai sovietici e il 90 agli occidentali, in Bulgaria il 75 e il 25, in Jugoslavia il 50 e il 50. Spiegò poi che con quella proposta non intendeva dividere il territorio degli Stati conquistati o confiscare la loro sovranità. Voleva semplicemente indicare i limiti entro i quali ogni grande potenza avrebbe dovuto tener conto degli interessi dei suoi Alleati. Sornione e bonario, Stalin aveva guardato il pezzo di carta attraverso il fumo della sua sigaretta, l'aveva siglato per approvazione e l'aveva restituito a Churchill. A Jalta il leader inglese dovette rendersi conto che quella firma non significava più nulla. Tra i «grandi» di Jalta, Roosevelt fu quello che aveva maggiori ambizioni. Voleva ricostruire su nuove basi la Società delle Nazioni, associare l'Urss a un direttorio mondiale di cui avrebbero fatto parte, con la Cina, le maggiori potenze vincitrici, instaurare una sorta di polizia del mondo. Ma era debole e malato. Sul suo volto, nelle fotografie scattate a Jalta, si legge 11 presagio della fine. Morirà il 12 aprile all'età di 63 anni. Nessuna delle decisioni prese sul Mar Nero nel febbraio del 1945 sanzionò la divisione dell'Europa in due grandi sfere d'influenza. Fu la guerra, nei mesi seguenti, che fissò le frontiere e determinò la quota di potenza a cui ciascuno dei vincitori avrebbe avuto diritto. Jalta fu importante, ma i veri protagonisti della primavera del 1945 furono le due grandi macchine belliche che di lì a qualche mese si sarebbero incontrate sull'Elba. Se Stalin apparve ai posteri come il trionfatore della conferenza il merito non fu suo, ma dei grandi generali sovietici che occuparono Varsavia il 27 gennaio, conquistarono Budapest il 13 febbraio, attraversarono la frontiera austriaca il 29 marzo, presero Danzica il 30 dello stesso mese, raggiunsero Berlino il 20 aprile e s'impadronirono di Praga il 9 maggio. Mentre i leader parlavano al tavolo rotondo di Livadja gli eserciti stavano cambiando la faccia d'Europa. Quando Churchill, Stalin e Truman s'incontrarono a Potsdam in luglio, la carta geografica sul tavolo della conferenza era un'altra, e molte delle cose dette a Jalta non avevano più nessuna importanza. I confini militari divennero rapidamente confini politici e tali rimasero finché un'altra guerra quella dell'Unione Sovietica contro se stessa cambiò nuovamente la carta d'Europa. Non fu allora che le potenze si spartirono l'Europa Una tesi diffusa da de Gaulle che piacque agli antisovietici Fu Stalin a imporre l'incontro «in casa» a Churchill e Roosevelt , , ge, chiotta, arredata con il gusto borghese della famiglia imperia le. Era questo, dunque, il punto da cui era cominciata la lunga storia del secondo dopoguerra? Jalta non è soltanto l'ultima grande conferenza internazionale prima della fine della seconda guerra mondiale. E' anche uno dei maggiori equivoci storiografici del Ventesimo secolo. Tutti gli studiosi sanno da molto tempo che a Jalta non fu deciso quasi nulla e che è impossibile attribuire alla confe b pbbt qdenza sulla sua prontezza intel- ge aArthur stava pgando per sconfiggere l'avversario. Fu questa, ancor più della costruzione di un nuovo ordine mondiale, l'ossessiva preoc¬ , ,più intricato. Stalin era deciso a inserirla nell'impero sovietico e sostenne il «comitato di Lublino», composto da comunisti e compagni di viaggio, contro il governo polacco in esilio che si era costituito a Londra dopo la vittoria tedesca nell'autunno del 1939. Churchill e Roosevelt si resero perfettamente conto delle conseguenze che la politica polacca dell'Urss avrebbe avuto sui Paesi dell'Europa centrale. Ma non poterono opporsi alle ambizioni di Stalin. Avevano bisogno dell'Armata Rossa per debellare la Germania e speravano che l'Unione Sovietica avrebbe dichiarato guerra al Giappone. Neppure Roosevelt sapeva che g pTra i «grandi» di Jalta, Roosevelt fu quello che aveva maggiori ambizioni. Voleva ricostruire su nuove basi la Società delle Nazioni, associare ,a Jalta non avevano più nessuna importanza. I confini militari divennero rapidamente confini politici e tali rimasero finché un'altra guerra quella dell'Unione Sovietica contro se stessa cambiò nuovamente la carta d'Europa.