Aiutò il figlio a morire: assolto

Aiutò il figlio a morire: assolto Aiutò il figlio a morire: assolto Aveva staccato la spina dell'incubatrice EUTANASIA PERDONATA NEGLI USA WASHINGTON ON è stato un omicidio, ma un atto d'amore», aveva detto in tribunale tra le lacrime. Il suo bambino, nato dopo cinque mesi di gravidanza, attaccato a una macchina che lo teneva artificialmente in vita, era destinato alla morte o a gravi sofferenze. Lui, il papà, ha staccato la spina. E i giurati lo hanno assolto dopo un processo in cui tutti piangevano, a Lansing, nel Michigan. Gregory Messenger, quarant'anni, dermatologo, ha sostenuto di aver abbreviato la vita del figlio nato da qualche ora appena. Una giuria popolare nel tribunale di Lansing lo ha dichiarato «non colpevole». Il bambino pesava meno di un chilo. «Era praticamente morto al momento della nascita - ha testimoniato Sabhash Gupta, l'anestesista che ha assistito al parto - e avrebbe dovuto essere dichiarato morto». Gli altri medici dell'ospedale hanno però deciso di tentare una terapia di rianimazione. Le speranze di mantenere in vita il piccolo, secondo i sani- tari, erano del cinquanta per cento. Ma era molto probabile che sarebbe cresciuto con gravi menomazioni. Una vita di sofferenza (o forse una morte dopo lenta agonia) che il genitore ha ritenuto inaccettabile, a costo di subire una condanna che avrebbe potuto essere molto pesante. Messenger e la moglie, Tracy, sapevano che la gravidanza era a rischio e avevano chiesto al ginecologo di fami¬ glia di fare in modo che la vita del neonato non fosse prolungata artificialmente se il parto fosse avvenuto dopo meno di venticinque settimane. Ma i medici dell'ospedale, constatato che c'erano probabilità di sopravvivenza, hanno ritenuto che fosse il loro dovere tentare, anche se difficilmente il bambino avrebbe potuto svilupparsi in modo normale. A questo punto Gregory Messenger ha approfittato di un momento in cui l'incubatrice era incustodita e ha staccato personalmente la spina. «Non potevo permettere che mio figlio soffrisse», ha esclamato quando è stato arrestato. Il suo gesto, quello di un medico che sapeva bene il destino della sua creatura, ha commosso i giurati americani. A sorpresa, forse, le ragioni del «diritto alla morte» quando le condizioni di un paziente sono irrimediabilmente compromesse hanno prevalso su quelle dell'«accanimento terapeutico». Fra gli esperti ascoltati dalla giuria c'è stato un gesuita, padre John Paris, citato dalla difesa, secondo il quale il gesto di Gregory Messenger è «accettabile dal punto di vista medico come da quello etico». Ma non tutti sono di questo parere. Ellen Moskiwitz, docente di Etica della medicina allo Hasting Center di New York, chiamata come consulente dall'accusa, ha spiegato che in caso di parto prematuro il medico deve dire subito ai genitori la sua opinione sulle probabilità di sopravvivenza, ma può staccare la spina dell'incubatrice soltanto dopo una serie di esami clinici, quando sia assolutamente certo che non vi è speranza. Gregory Messenger, invece, non ha aspettato il risultato degli esami. Prima ancora della nascita aveva deciso di non tenere il bambino. Dopo l'assoluzione Messenger e la moglie si sono abbracciati singhiozzando, [r. cri.] Il piccolo era nato prematuro e pesava meno di un chilo «Non potevo lasciarlo soffrire» Messenger è stato assolto: aveva aiutato a morire il figlio prematuro

Luoghi citati: Michigan, New York