«Lambertow», ritorno q casa di Vittorio Zucconi

«Lambertow», ritorno q casa «Lambertow», ritorno q casa In Usa gli studi, gli amici, il matrimonio INI, per' qualche ora, è tornato nella Washington dove si era sposato per la prima volta, dove era passato da piccolo funzionario di banca a direttore del Fondo Monetario Internazionale, e dove aveva saputo costruirsi quella «network», quella rete di amici e conoscenze che ieri l'hanno riaccolto. E che gli ha regalato il successo personale di una colazione con Clinton, pur essendo a capo di un governo che ha, come lui stesso ha detto al Presidente, «una vita dai tempi prestabiliti». A Washington, Dini aveva vissuto 20 anni, la metà della sua vita di adulto. Dopo aver studiato nel Minnesota, con Walter Heller, l'economista delle riforme kennedyane, Dini era entrato al Fondo Monetario Internazionale nel 1959. «E' vero - mi diceva ieri sera chiacchierando informalmente dopo la solita conferenza stampa ufficiale -, mi sembra di essere tornato a casa». Da veterano della città, non ha neppure dormito nella residenza ufficiale dell'ambasciatore, ma nell'albergo Watergate, nel palazzo del più grande scandalo politico della storia americana, quello che travolse Nixon. Non deve essere superstizioso. Alla mattina, prima di essere portato alla Casa Bianca con l'ambasciatore Biancheri e i suoi consiglieri per la colazione con Clinton e il vicepresidente Gore, è uscito a «fare shopping», come un washingtoniano qualsiasi. E' andato a comprare libri, mi aveva informato un portavoce ministeriale, preoccupato forse di nobilitare il gesto con accenti culturali. «Macché libri, sono andato al drugstore, in farmacia per comprare qualche provvista che mia moglie mi aveva chiesto», ha confessato lui con lodevole candore. Che cosa? «Beh, questo non glielo dico». Mi pare giusto. Ma è proprio in questo suo essere «americano», anzi, «washingtoniano», perfettamente a suo agio in un piccolo universo di immenso potere concentrato in tre o quattro isolati, capace di intimidire capi di Stato e politicanti in visita, che sta il segreto del piccolo colpo messo a segno da questo presidente del Consiglio, tecnico, transitorio, a tempi prestabiliti che corrono come il tassametro di un taxi verso la fine corsa. Ma che ha potuto coronare il sogno di una vita partita dal nulla e arrivata fin dentro la Casa Bianca. Clinton e Gore sapevano benissimo, e se non lo sapevano glielo ha detto esplicitamente Dini con una discussione forse senza precedenti del quadro politico interno italiano, che il governo che lui rap- presenta è un governo nato con i giorni contati. Ma non era un'incoronazione politica, quella che cercava, era la soddisfazione personale. E per lui deve essere stata immensa. «Quando entrai per la prima volta nei miei uffici al Fondo Monetario, nel 1959, passai davanti alla Casa Bianca, con la bocca aperta come un turista», mi dice. «Il mio ufficio era a tre isolati da quella Casa, che vedevo ogni giorno. Oggi ci sono entrato come rappresentante del mio Paese e come ospite ufficiale del Presidente». Ha fatto in tempo a telefonare a qualche vecchio amico? «No, ho parlato con qualche collega del Fondo Monetario, sulla questione messicana e ora rivedo qualche amico qui, alla conferenza stampa in ambasciata, ciao caro, ah come stai, ti trovo bene, guarda chi c'è, il vecchio Marino», sorride indicando il veterano dei corrispondenti italiani a Washington, De Medici. «Vorrei poter restare con voi qualche ora», mormora. «Washington è ancora tanto bella». Non ha avuto neppure il tempo di tornare in pellegrinaggio di memorie alla sua magnifica casa di Foxhall Road, la via delle élites diplomatiche e politiche di Washington dove lui era finalmente approdato, dopo avere scalato i gradini della scala immobiliare di questa capitale dove l'indirizzo è tutto. Al potere americano, cui delle nostre contorsioni politiche oggi, nel dopo Guerra Fredda senza più «pericoli rossi», poco importa e meno interessa, Dini piace perché è in fondo «one of our own», uno dei nostri, un italiano formatosi a Washington e nelle università americane, un primo ministro che - finalmente - non parla soltanto il ciociaro ma un inglese impeccabile, un uomo di finanza, un banchiere, uno che sa di «business», oggi ritornato la preoccupazione centrale dell'America. Soltanto così si capisce l'inaudita dichiarazione dell'ex generale e capo di stato maggiore, Colin Powell, il personaggio più corteggiato dai partiti in vista delle elezioni '96 che ha indicato proprio Lamberto Dini, durante una sua conferenza stampa nel Texas, come «modello politico»: «Un finanziere, un tecnico - ha detto Powell agli stupefatti reporter texani che si chiedevano l'un con l'altro chi mai fosse quel Mister Dee-nee - apolitico e indipendente». Anche la velocità con la quale la Casa Bianca ha accettato di ricevere Dini in visita, solo poche ore dopo il voto di fiducia al Senato italiano, e sulla via della riunione del G7, il vertice delle nazioni ricche, in Canada, è frutto del lavoro di amicizie, della rete di relazioni che Dini, uomo di grande ambizione, si è saputo creare a Washington. Si dice che il suo «sponsor», e il promotore segreto di questa colazione da Clinton, sia stato Robert Rubin, un ricchissimo finanziere di Wall Street, ex presidente della casa di Borsa Goldman Sachs, chiamato lo scorso anno dal Presidente al Tesoro. «Sì, Rubin è mio amico da anni», ammette soltanto Dini. Non è stata dunque questione di pro-Berlusconi o anti-Berlusconi, di segnali a Buttiglione o Maroni, questa visita di Dini a Washington, come il nostro disperato provincialismo politico italiano vorrebbe suggerirci. Washington sa benissimo che, come accade fedelmente da 50 anni, fra pochi mesi, e poi fra pochi mesi ancora, altri volti appariranno nei corridoi della Casa Bianca per rappresentare il governo italiano, nell'infinito gioco delle poltrone girevoli italiane. E' stata una vittoria personale deH'«Americano Dini». Un'occasione per tornare a casa. In America. Vittorio Zucconi «Quando entrai nel 1959 al Fmi passai davanti alla Casa Bianca come un turista Oggi sono entrato da rappresentante del mio Paese Una grande gioia» Lamberto Dini. Qui accanto: il presidente del Consiglio a Washington con il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton