La donna politica? Ha 50 anni di Liliana Madeo

La donna politica? Ha 50 anni Ma tra i ministri di Dini c'è solo una rappresentante femminile La donna politica? Ha 50 anni La Pivetti: colleghi, basta col paternalismo MEZZO SECOLO DI DIRITTO AL VOTO AROMA LLA donna, questa sconosciuta, cinquant'anni fa veniva riconosciuto anche da noi il diritto al voto e alla vita politica attiva. In Danimarca il suffragio universale esisteva dal 1906. Per «commemorare questa ricorrenza importante» la presidente della Camera è uscita ieri dal linguaggio «neutro» che ha sbandierato fin dal suo insediamento sullo scranno di Montecitorio e di cui ha fatto un punto d'onore e un vessillo. E ha parlato come una donna. Con puntiglio, persino con una qualche ironia. Ha ricordato Gronchi che nel '55 tracciò un primo bilancio di quella grande svolta storica che era stato l'arrivo delle donne nel Palazzo. Disse: «Il consuntivo è senza dubbio assai lusinghiero, anche per quella caratteristica sensibilità femminile che reca nella vita politica una nota di bontà e di gentilezza». Argomenti che non possono sedurre una donna degli Anni Novanta catapultata a trent'anni a ricoprire una delle cariche più alte dello Stato. La Pivetti ha riferito le parole di Gronchi osservando: «Dopo di lui molti uomini si sono affannati a complimentarsi con le donne che fanno politica». Poi, alzato il mento e il tono: «Le donne ringraziano, perché capiscono che in genere l'intenzione non è cattiva, è solo un tentativo maldestro di essere cortesi. Ma respingono un fastidioso paternalismo che tende a fare delle donne in politica un garbato ornamento istituzionale». Quindi, di nuovo ecumenica: «Riconoscere alle donne l'elettorato attivo e passivo non fu altro che un atto dovuto verso la democrazia». Era veramente un'altra Italia, quella in cui Ivanoe Bonomi - capo di un governo di cui come vicepresidenti facevano parte Togliatti e Rodino - firmò il decreto che riconosceva alle donne il diritto di voto. Il Paese era diviso. Quindici giorni prima al Lirico di Milano Mussolini aveva tenuto un discorso acclamatissimo. Dare il voto alle donne era un'affermazione di principio avanzata e - insieme - il timore di un grosso rischio, l'inizio di un'avventura che spaventava e divideva la stessa sinistra. Fino alla primavera del '46 fu solo una prospettiva. Le donne votarono per la prima volta per le amministrative (allora Nilde Jotti entrò nel consiglio comunale di Reggio Emilia). Il vero grande test ci fu il 2 giugno. La posta in gioco era la repubblica o la monarchia, e la creazione dell'assemblea costituente che avrebbe creato le premesse dell'Italia democratica. La soggezione delle donne alla chiesa, la solitudine delle campagne, il silenzio della cabina elettorale, la sopravvivenza di antichi miti nell'immaginario femminile agitarono fantasmi e progetti, furono le premesse del rischio che la repubblica non nascesse neppure e l'alveo in cui il partito dei cattolici si inserì prepotentemente. Le prime donne che arrivarono in Parlamento divennero personaggi. Erano in tutto 43. C'erano - ad esempio nel pei - le donne che avevano fatto la Resistenza e vissuto l'esilio come Rita Montagnana, la moglie di Togliatti, e Teresa Noce, la moglie di Longo. E le giovani, che avrebbero scalzato le prime nel cuore dei leaders. La Jotti aveva 26 anni. La più bella era Teresa Mattei, fiorentina, laureata in filosofia, di una famiglia eroicamente antifascista: aveva 25 anni. Furono le prime a scontrarsi con le chiusure degli uomini al desiderio di esistere e di contare del mondo femminile. Furono le prime a sperimentare le mediazioni necessarie per non entrare in rotta di collisione con le regole della politi¬ ca, dettate dal sapere maschile. Vissero le storie, le lacerazioni e i conflitti che le generazioni successive hanno portato alla luce. Ed erano appena una rappresentanza marginale di quel vasto elettorato femminile - più della metà della popolazione sempre temuto e coccolato dai partiti, poco capito, guardato con circospezione alla vigilia degli appuntamenti più delicati. Come fu con il referendum sul divorzio, quando in molti temettero che le donne avrebbero votato in massa contro. Molte, di legislatura in legislatura, le novità e le ripetizioni. Le elezioni di marzo hanno portato 92 donne alla Camera, 29 al Senato. Il governo Dini ne ha scelta una sola. Studiamo almeno le potenzialità della partecipazione femminile alla politica, propone un gruppo di deputati che ha chiesto alla Pivetti una convocazione apposita della Camera. Liliana Madeo «Riconoscerci il diritto di accedere alle urne non fu altro che un atto dovuto alla democrazia» Nilde lotti, eletta a Reggio Emilia con il primo voto delle donne

Luoghi citati: Danimarca, Italia, Reggio Emilia