« E Umberto il vero fascista »«Rocchetta senza di lui siamo più furbi» di Cesare Martinetti

« « E' Umberto il vero fascista » Rocchetta: senza di lui siamo più furbi VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Franco Rocchetta, adesso, la racconta come se fosse una poesia: «Era una sera fredda di novembre, c'era la luna, mi sono trovato solo, la nebbia saliva su dai canali...». Ma invece c'era poco da poetare: «Mi hanno circondato, una ventina di ragazzi, le guardie rosse di Umberto. Via telefonino erano collegati con l'on. Battaggia. Minacciavano... Adesso ne parlo con pena, ma la verità è che se in Italia c'è un pericolo fascista, questo non viene da Fini, ma da Bossi». Ironie di destini leghisti. Ieri pomeriggio, ci racconta Diana Battaggia, la stessa cosa è capitata a lei: «Ero insieme al senatore Ellero, ci avevano invitato a casa del segretario della sezione di Mestre, Fabrizio Taranto, a spiegare perché eravamo usciti dalla Lega. Non c'era molta gente, ma non importa. Quelli che c'erano, sono venuti per capire. Mentre parlavamo, dei ragazzi hanno fotografato le targhe di tutti i presenti. Incredibile, cose da Kgb...» Ancora le «guardie rosse». Tira un'ariaccia in Laguna. Insulti, minacce, spiate. Leghisti contro ex leghisti; bossisti contro rocchettiani, nel senso di seguaci del Rocchetta, doge storico della Liga Veneta, intuita e partorita nel profondo degli Anni 70, ben prima di quella lombarda. Il fatto è che Rocchetta ha mollato Bossi a settembre, anticipo della frana del fronte parlamentare «federalista», fondando la Nathion Veneta. Lui, la sua ex moglie Marilena Marin e Massimo Aliprandi, nipote del presidente del tribunale di Padova, colpevole di aver domandato che fine facevano i 7 milioni al mese che come parlamentare era obbligato a versare alla Lega. Boh? Risposta di Bossi: espulso. Adesso che è uscita anche lei dalla Lega, dopo aver tergiversato per giorni e notti nel gruppetto dei «maroniani», l'onorevole Diana Battaggia (anni 29) ammette di sentirsi più libera: «Abbiamo ricominciato ad usare la testa». E chissà dove la porterà questa novità, dopo mesi di obnubilamento nel chiuso del gruppo parlamentare leghista che i fuoriusciti raccontano con accenti da gulag: «Si viaggiava come in un vagone blindato, senza finestre per gì - rdare fuori e senza informazioni sa dove si andava, attaccati ad una locomotiva guidata da un macchinista lunatico». Ci ha detto la Battaggia: «Eravamo ciechi, ma i metodi sono sempre stati quelli: c'è chi è stato espulso soltanto per aver alzato il braccio sbagliato in un voto». Per ora il totale è fermo a dieci: tanti se ne sono andati dalla Lega su 31 eletti nel Veneto. Ma, avverte Rocchetta, il conto può ingannare perché da queste parti c'è una religione della lealtà che rende più lenti gli spostamenti: «Ad agosto due senatori mi hanno trascinato in un sottoscala del Senato per non essere visti dalle spie di Umberto e mi hanno confidato: "Caro Franco, stiamo con te, ma tu devi capire che Bossi è un grande vento che ci porta nel federalismo. Quando saremo arrivati là, allora noi ci schiereremo dalla tua parte". Che inganno: Umberto usa con i parlamentari leghisti il mito del federalismo come un elisir e un veleno». E intanto, nel cuore ex bianco del Veneto, soffia un vento che assomiglia ad una bufera. Ma non è più quella «federalista» di Bossi, bensì quella corrosiva della chiac- chiera. Un tam-tam divorante di voci (e di calunnie?) viaggia da una provincia all'altra: bossisti contro i parlamentari traditori, rocchettiani contro i sindaci lealisti rl duro Comencini (ex msi, c rrenie Rauti) segretario veneto fedelissimo a Bossi - per esempio - ha surgelato la sezione di Mestre, dopo la riunione informale con i dissidenti Ellero e Battaggia. Nel mirino dei rocchettiani ci sono le giovani sindachesse leghiste di Legnago e Soave, Roberta Visentin e Barbara Marchetti. La Roberta (in lista perché era l'unica laureata) si dice sia incapace di tener testa al vicesindaco Falamischia (un nome, un programma), ex maresciallo dell'aeronautica, fedelissimo di Comenicini ed anche lui ex rautiano. La Barbara, invece, ha dovuto districarsi dalla fastidiosa accusa di aver usato il telefono del municipio per lunghe e ingiustificabili telefonate a Cuba (bollette per milioni) e c'è riuscita solo grazie al sacrificio di un impiegato. Ma il massimo dell'insinuazione è toccata ad un sindaco di un Comune del Garda che pochi mesi dopo la vittoria elettorale ha lasciato la moglie per una bella commerciante di biancheria intima femminile del mercato. Niente di male, se non fosse che da allora, all'ambulante, tocca il posto migliore della piazza. I bossisti, a loro volta, accusano i transfughi. Ellero, per esempio, se ne sarebbe andato perchè voleva fare il ministro della Giustizia e invece non l'hanno nominato nemmeno sottosegretario. Contro il senatore Andreoli (un altro dei fuoriusciti) è arrivata una lettera alla Lega dagli elettori di Valpolicella: «...è conosciuto solo da quelli che, per di¬ sgrazia, hanno avuto bisogno di un proctologo». Miserie. Che però dentro l'universo suscettibile e popolare della Lega pesano come macigni anche perché nemmeno sul fronte di un «nuovo modo di governare» quelli della Lega stanno scherzando. Mogli, figli, sorelle messe in campo per riempire il vuoto di materiale umano. Ma anche per occupare il potere, secondo un'attitudine dorotea che molti si portano nel sangue. Il capogruppo al Comune di Verona, Flavio Tosi, per esempio, è stato accusato di aver lottizzato con pds e ppi le presidenze delle circoscrizioni in modo da collocare la sorella Barbara a capo di Borgo Venezia. E il dottor Stefano Rodella (che con il cardiochirurgo Benassi aveva creduto nelle novità della Lega impegnandosi nella fondazione della consulta sanitaria) ha dato le dimissioni nei giorni scorsi con una lettera in cui si legge: «...la fedeltà al capocorrente è anteposta alle capacità degli individui e il mercato delle tessere è diventato la regola in un partito centralista come il pcus». Vicino al casello di Verona Sud c'è la sede delle Edizioni del Nord (unico libro pubblicato «I Veneti», di Rocchetta), strappate alla Lega da Mauro Bonato e Claudio Castagna quando si sono rifugiati nella «Nathion». E lì, insieme ad Enrico Ortombina (il cognome è «cimbro», dice con orgoglio) i tre dirigono la guerriglia anti-Bossi. Bonato, 35 anni, giornalista, parlamentare dal '92, barba lunga da combattente e frenetico smanettatore di telefonini, se n'è andato per primo dalla Lega, a luglio: «Sentivo odore di accordi con il ppi e non mi sono sbagliato». Castagna e Ortombina, testimoniano che il vulcano leghista non s'è certo spento: «La gente voleva la secessione da Roma e aspetta qualcosa di concreto». Bonato: «La verità è che Bossi non vuole il federalismo perché se davvero si facesse, il suo potere finirebbe in un secondo». «E' vero, sono tutte chiacchiere conviene Romano Filippi, che incontriamo assiso nella sua singolare cattedra di parlamentare a Thiene, nello show room della boutique Russinova, luci soffuse e profumo di donna -: che cosa sia davvero il federalismo nessuno l'ha mai spiegato». Filippi, 37 anni, commercialista, un master a Chicago, è un altro dei fuoriusciti. Dice che nella Lega ci sono due anime, quella rivoluzionaria (Bossi) e quella riformatrice (lui e il ceto neoparlamentare di professionisti, imprenditori e commercianti): «Per ora l'ala riformatrice non ha preso il sopravvento». Nel futuro si vedrà. Intanto si consente un'ironia sull'ex duce: «Bossi è come uno che prende la rincorsa per abbattere una porta a spallate, ma quando ci arriva la trova aperta e continua a correre, correre. Chissà dove». Rocchetta è molto più velenoso: «E' un fannullone, ha sete di potere, non ha principi né regole, un campione della trasgressione, affascina perché sa camminare sulle acque e passare con il rosso». Ma il fatto è che la sua truppa sta fallendo la scommessa storica di essere nuova classe dirigente. Lo dice, con insospettabile autocritica, lo stesso Rocchetta: «E' un materiale umano che avrebbe fatto emergere la fragilità della Lega anche senza le stranezze di Bossi. E di questo siamo responsabili tutti. Anch'io». Amen. Cesare Martinetti Guerra in Laguna i bossisti all'attacco dei fedeli della Liga ora «Nathion Veneta» «Utilizza metodi da dittatore c'è chi è stato espulso per aver votato con la mano sbagliata» A sinistra manifesti della Liga Veneta A destra il loro capo storico Franco Rocchetta