Dal mitico Angelini ajovanotti: le musiche dei nostri miracoli e delle nostre depressioni

Dal mitico Angelini ajovanotti: le musiche dei nostri miracoli e delle nostre depressioni Dal mitico Angelini ajovanotti: le musiche dei nostri miracoli e delle nostre depressioni ROMA DAL NOSTRO INVIATO Cinquant'anni coloratissimi e amatissimi di canzoni, un juke-box sempre acceso: «A me è piaciuto tutto, io sono varie generazioni in una», dice un ecumenico Renzo Arbore nella sua casa-spettacolo con preziose collezioni di oggetti in plastica antica, caschi di banane illuminate in resina, un golfo di Napoli incastonato in una finestrella della cucina, in bagno una foto del Nume, Totò. «Non ho mai avuto snobismi»: canzoni popolari e raffinate, malinconiche e allegre, jazz e beat, rock e yè-yè, ogni nota e ogni parola gli suscitano simpatia. Le canzoni sono «arte portatile». La stecca è solo negli Anni 70, quando un bel po' d'impegno suonava falso. «Ero avvilito. Tante canzoni perdevano il carattere della popolarità. Pezzi scritti a tavolino, pensati in sala di registrazione». Un banco di nebbia che passa subito. Arbore comincia il suo viaggio nella nostalgia. Nel '45 a Foggia ha otto anni. La mattina si siede sul balcone, mette le gambe fuori a penzoloni e ascolta la fisarmonica, la tromba e la batteria scassata dei saltimbanchi giù nel vicolo: suonano Rosamunda, Zazà, Munasterio 'e Santa Chiara e Tammuniata nera («E' bastata 'na guardata e 'a femmena è rimasta sotto 'a botta impressionata», dicevano le parole: «Nascevano i primi bambini fra signorinelle e soldati alleati di colore», spiega Arbore). Le canzoni venivano soprattutto da Napoli e giravano per il Paese. C'era Simmo 'e Napule, paisà: «Invitava allo "scurdammoce 'o passato", al perdono degli speculatori». Il balcone era un'isola felice. Giungevano suoni da ogni parte. Alle spalle c'erano case rovinate dai bombardamenti, e i muratori, una bustina di carta di giornale in testa, le ritiravano su cantando Catena e Calamita d'oro in un raschiare di cazzuole. «Avevano voci arabe. Mi sembrava di stare su un minareto». Gli aedi gorgheggianti della ricostruzione, la Trimurti Tajoli-Villa-Consolini, si udivano a Radio Bari. Nilla Pizzi «era lì lì». Perduto amore era l'inno dello sbandamento e della solitudine («Solo me ne vo per la città...»). Il volume della radio riempiva l'aria quando davano Lo stornello del marinaio («All'alba se ne parte il marinaio...»), Terra straniera, canto d'emigrante, e Scrivimi («Non lasciarmi più in pena, una frase un rigo appena...»). Il buonumore ir- rompeva con Arrivano i nostri, omaggio ai vincitori d'Oltreoceano, e con I cadetti di Guascogna, testo pacifista («La pace che tutto il mondo sogna ognuno l'avrà, se questa canzon con noi canterà»). Di fronte a casa, su un altro vicolo, c'è il Circolo militare alleato. Danno feste. La sera Arbore si addormenta con i tromboni di Glenn Miller. Ascolta Harlem notturno, battesimo di blues e di tanto jazz: «Io sono americano - riconosce Renzo -. A distanza di anni si può dire». I soldati gli regalano «cingomme», cioccolata e latte condensato: li incontra andando a scuola dalle monache dell'Opera Pia Scillitani. Alla sera si avventura senza un soldo al luna park, dove i soldati salgono da soli sulle autoscontro: è travolto da «0 mamma mamma mamma, sai cosa voglio? Io voglio la chopeta», e da «A 15 anni dissi bah, a 16 anni dissi beh, a 18 anni con l'aiuto della zia dopo lunga malattia dissi bah beh bili». «Mi piacevano molto le canzoni sciocchine», ricorda Arbore. Con i primi Anni 50 esplodono i Radio Days. Nella cuffia («un residuato bellico») della radio a galena che s'è costruito, giungono i maestri incantatori: Fraglia e Angelini, Ferrari e Barzizza. Gli piacciono Muralo e Modugno, il Quartetto Cetra, Teddy Reno e Jula de Palma. Carosone lancia Tu vuo'fa' l'americano: «Fu il segnale che l'America ormai ci aveva preso». Nel '53 sbarcano i blue-jeans, che diventano la divisa degli americaneggianti, la bandiera dell'avanguardia. «I ragazzi si divisero: da una parte chi amava la musica americana, dall'altra chi accarezzava Corde della mia chitarra, Vecchio scarpone e E la barca tornò sola)). Claudio Villa è sul trono. Le sue Buongiorno Giuliana e Serenata celeste spopolano in dancing che spesso si chiamano Settimo Cielo. «Con Claudio ho bisticciato infinite volte, eravamo di diverse pattuglie canzonettare. Una volta fece pace e mi abbracciò perché gli ricordai una sfilza di canzoni che lui slesso aveva dimenticato, come Zoccoletti zoccoletth. Nelle feste private ci si dedica a estenuanti guancia a guancia alle voci dei Mills Brothers (Gloria), di Nat King Cole (Too young), di Sinatra e di Armstrong. Due erano le canzoni del cuore di Arbore: Dream e Polvere di stelle, «la più bella di tutti i tempi, quella del mio primo amore a 15 anni». Il guaio di ogni guancia a guancia era che durava solo tre minuti, il tempo di una canzone: «Quando tu proprio stavi arrivando e facevi delle manovre terribili per cercare un approccio con queste fidanzate che te le dovevi sposare per avere qual¬ che cosa di più, e stringevi e avevi i primi entusiasmi fisici, subito dovevi frenarti per cambiare il 78 giri. Ricominciavi daccapo: arrivavi piano piano alla bocca, allungavi le mani verso il Lasso... Il disco era da cambiare un'altra volta. La mia fortuna fu Lionel Hampton con una Polvere di stelle lunga quindici minuti, il tempo sufficiente per fare una cosa degna dell'età». Il rock coglie Arbore in piena bohème a Napoli, dove studia legge e suona il clarino in night dal fumo stantio: Vive nella pensione Dei Mille con un giradischi Lesaphon e una radio Sony che «costava cinquemila lire al contrabbando». Giunge notizia che nella natia Foggia scardinano le prime file del cinema-teatro Flagella per ballare Rock around the clock. Renzo lo canta nella versione italiana: «Tic e toc, tic e toc/l'orologio è proprio matto/batte il tempo a boogie woogie,/ segna l'ora assai distratto/tic e toc, è matto il vecchio clock». E' tempo di urlatori: sulla scia di Bill Haley ed Elvis Presley, ecco Celentano, Gaber, la prima Mina, che si fa chiamare Baby Gate. Nei primi Sessanta è subito yè-yè: «Nascono i giovani, che come categoria non c'erano. 11 testo sacro è Noi siamo i giovani, l'esercito del surf cantato da Catherine Spaak: è il nostro Blowing in the wind di Bob Dylan ante litteram. Ci sono la Pavone e Morandi, che canta Fatti mandare dalla mamma, altra canzone fondamentale: è un giovane che canta i primi turbamenti d'amore». Sono anni d'oro per Paoli, Endrigo, tanti altri cantautori. «Devo confessare che l'invenzione "musica beat" è del sottoscritto - ricorda Arbore -. Viene da Beat generation ed è una musica in bai- tere invece che in levare». E' lui che conduce il gioco, con Gianni Boncompagni: «Alla radio siamo stati i primi, e per un certo periodo i soli, a mandare in onda questa musica». Nelle sue trasmissioniculto Bandiera gialla e Per voi giovani, dal '64 al '70, lancia i Beatles e i Rolling Stones, il soni di Aretha Franklin e James Brown. Scopre Fausto Leali [A chi) e Lucio Battisti: «Venne a casa mia con il paroliere Mogol per propormi Dieci ragazze. Io m'impuntai per lanciare invece Acqua azzurra acqua chiara. Ho avuto ragione». Nel '67 l'addio a Luigi Tenco in gara a Sanremo: «Considerava la sua Ciao amore come la prima canzone di protesta italiana. Le nostre canzoni contro la guerra imitavano il modello americano, erano di seconda battuta: a noi ragazzi il Vietnam non ci toccava. Ciao amore era invece la storia di chi era costretto a emigrare dai suoi campi, dai suoi umori e amori, per andare a guadagnarsi il pane in Germania. Vidi Luigi in camerino: era allegro, scherzava. Non meditava certo il colpo di pistola. Vedersi battuto da Io, tu e le rose fu uno choc, un motivo di sdegno. E con l'aiuto di un po' d'alcol e di qualche pasticca... Quando uscì era terreo. L'ultima immagine che mi rimane di lui è questa faccia bianca, di pietra». «Degli Anni 70 è sopravvissuto poco - constata Arbore -. Anni di plastica, di piombo anche in musica. Si scopre il filone dance? Tutti a fare dance... C'erano grandi autentici cantautori come De Gregori e Guccini, che io amo moltissimo e loro non lo sanno. Ma quanto falso impegno! Certi complessi facevano sinfonie e rapsodie per épater la jeunesse, sbalordire i ragazzi. E i ragazzi ci cascavano. Se un cantante arrivava alla bit parade veniva criminalizzato come un venduto al successo commerciale. Euge¬ nio Finardi fu abbandonato e guardato con diffidenza. De Gregori venne contestato e invitato a fare harakiri sul palco. Una canzone non doveva più essere una canzone. Finché al Blues Festival di Pistoia nell'80 vidi che i ragazzi che riempivano la piazza, pur avendo ancora capelli lunghi e fumando qualche tabacco esotico, ballavano una specie di blues ritrovato che era il rock and ioli, perfino con idoli del mio passato come Fats Domino. Capii che erano entrati gli anni nuovi, che tornavano le musiche divertenti. Le canzonette hanno sempre rispecchiato gli anni, perché nascono dagli umori, dai vezzi, dai consumi della società». E oggi? «Non c'è più una musica di moda. I ragazzi ascoltano Paoli, Jovanotti e Vasco Rossi. Ci sono gli intransigenti, ciucili che se non è rap non lo vogliamo. Ci sono i metallari... Una grande varietà». E' vero che le canzoni sono diventati; meno orecchiabili e troppo intellettuali? «Timori da passatista, lo lodo lo ieri e l'oggi. Oggi c'è Paolo Conte, cosi fertile. E Irene Grandi, questa ragazzotta dell'ultimo Sanremo, fa una musica così fresca che le sue sembrano canzoncine di una Pavone d'oggi». «Io rovescio le parole di uno Jannacci, "trattasi di canzonette", e di un Bennato, "sono solo canzonette" - conclude Arbore -. Due anni fa ho avuto una bella malinconia, quando è sembrato che il nostro Paese dovesse dividersi fra nordisti e sudisti. Mio padre si commuoveva quando arrivava al verso «non v'ò una notte che non sogni Napoli» di Signorinella. Sul pianoforte Anelli in casa a Foggia ho aperto gli spartiti delle più belle canzoni italiane nelle edizioni Curri... Io dico che non sono solo canzonette». Claudio Altarocca «Le canzonette rispecchiano sempre gli umori, i vezzi e i consumi di una società». ALBUM DI CINQUANTANNI A lato, Domenico Modugno. Sotto, Jovanotti e Nilla Pizzi: le prime canzoni a «Radio Bari»