«Vorrei scrivere una lettera ai genitori del ragazzo che ho ucciso e che ora piangono come me» «Ho distrutto due famiglie perdonatemi»

«Vorrei scrivere una lettera ai genitori del ragazzo che ho ucciso e che ora piangono come me» «Vorrei scrivere una lettera ai genitori del ragazzo che ho ucciso e che ora piangono come me» «Ho distrutto due famiglie, perdonatemi» Genova, Simone ricostruisce il pomeriggio da assassino le confessioni del killer di marassi GENOVA DAL NOSTRO INVIATO «Chiedo perdono», dice. A papà e mamma, «ai genitori di quel ragazzo, anche. Ho rovinato la vita di due famiglie». Adesso che è fuori dal branco, Simone Barbaglia è come se fosse un altro ragazzo, uno che riconosce la vita e la morte. Non è l'arresto che lo cambia, ma il vuoto che ne deriva. Non c'è più la piazza, non c'è più la curva. E' nuovo, il mondo. Dice: «Vorrei scrivere una lettera ai genitori di quel ragazzo che piangono come me». Domenica pomeriggio, quando aveva colpito con il coltello Vincenzo Spagnolo, era ancora uno di loro, uno del branco: «Non so spiegare bene cos'è successo, io ho pensato solo a scappare, dove c'erano i miei amici, dove c'erano gli altri come me. Non è vero che volevo vedere la partita, ormai non me ne fregava più molto. Ma io avevo di fronte una città che non conoscevo e uno stadio che mi aspettava. Ho scelto quello, senza neanche rendermene conto, questa è la verità. Non avrei saputo dove andare, che cosa fare. Ho visto il sangue e sono scappato. L'unica sicurezza me la dava il gruppo. Mi sono infilato il coltello nelle mutande per nasconderlo, e poi ho passato i controlli. Dentro ho ritrovato gli amici. Qualcuno mi ha chiesto cos'era successo, gli ho detto: ne ho ferito uno». IL TIFO ORGANIZZATO. Lo stadio è il grande ventre, una mamma che protegge. I cori, le grida, la gioia e la rabbia, il mondo della domenica. Simone Barbaglia ha 19 anni fatti di niente, amici che parlano di calcio, anche a cena, alla Pizzeria Sorriso, in via Maratta, dove ci si dava appuntamento, alla Bovisa, la Milano operaia per eccellenza. La Bovisa di Osvaldo Bagnoli, ex del Genoa e dell'Inter, uno che parla di pallone sorridendo, ma si può mai? Gli scherzi del destino. «Io quando ho visto i carabinieri che mi aspettavano mi sono quasi sentito meglio», confessa a tutti, all'avvocato, al giudice. Gli stavano dietro da dieci ore, i carabinieri. E poi il magistrato è un tifoso milanista, domenica era pure lui allo stadio. Durante una pausa dell'interrogatorio, gli ha chiesto la formazione del Milan e l'ha rimproverato per un errore. Aveva detto che Savicevic era infortunato. Un giudice milanista, un coltello che lo perseguila: perché quando si disfa del suo, se ne trova un altro sotto i piedi. «M'è venuto un colpo, l'ho gettato via con un calcio». Gli hanno chiesto se faceva parte del tifo organizzato. E lui: «Sì, sono slato iscritto alle brigate rossonere. E' un'organizzazione che ha una funzione di coordinamento, agevola l'acquisto del biglietto. Insomma, come dire che grazie a loro hai la precedenza. Siccome quest'anno mi conoscevano già, non ho rinnovato la tessera perché non ne avevo più bisogno. Ci sono tre gruppi delle brigate, quello che frequentavo io si radunava alla pizzeria Sorriso». Riceveva biglietti omaggio? «Io no, però so che c'era chi li aveva. In genere quelli che si danno più da fare per l'organizzazione». Gli hanno chiesto se aveva idea politiche. «No». Se in passato era stato iscritto in qualche movimento: «No, assolutamente. Anzi, non sono nemmeno andato mai a votare». Se aveva partecipato ad altre risse fra tifosi: «Sì, a Pont.ecurone ero sul treno dei tifosi milanisti che si era scontrato con i sampdoriani. Ma lì fu una zuffa generale, ci trovammo tutti coinvolti». AMICIZIA. E le amicizie? «Gli unici amici che ho li ho conosciuti allo stadio». E quelli del barbour? «Anche loro, li ho conosciuti a San Siro. Indossavamo tutti lo stesso giub¬ botto, ed è diventato una specie di distintivo. Niente di organizzato». In fondo, quello che racconta Simone è lo specchio di un mondo persino irreale, ragazzi dello zoo, anche questi, disperati, emarginati. Fra di loro c'è una solidarietà sotterranea. Così, si accolla tutte le colpe, Simone: «Ero l'unico arma to, non è vero che gli altri avevano coltelli e catene. Solo io ce l'avevo». E quando vede i carabinieri che fermano Cristian, all'uscita dello stadio, gli viene il cuore in gola e dice di star male pure per lui: «Ci eravamo scambiati il giubbotto e lui mi aveva dato il suo, che è questo verde. Eravamo insieme, uno accanto all'altro quando siamo usciti, e ho visto ì carabinieri che l'hanno chiamalo. M'è venuto male, e ho avuto paura non solo per me. Temevo che potesse aver delle grane per colpa mia e mi dispiaceva. Cristian e io siamo amici veri, abbiamo insieme questa passione per il calcio». E Matteo? Quello che gli aveva dato il coltello? «Non era uno dei miei amici più assidui. Era un mio ex compagno di scuola. Tutti nel giro sapevano che lui era un appas- sionato di armi e che faceva collezioni di coltello». GENOVA, CITTA' A RISCHIO. Perché aveva deciso di andare armato a Genova? «Perché è una città a rischio per noi del Milan», dice. Lui era diventato un tifoso rossonero da due anni: «Prima giocavo a pallone e la domenica ero impegnato e non riuscivo ad avere questa frequenza». E adesso? «Non so». LA CONFESSIONE. Confessa e parla per ore, prima con i carabinieri e poi davanti al magistrato. L'omicidio? «Siamo arrivati a Genova, poco dopo l'una. Eravamo in una cinquantina, noi del barbour assieme ad altri tifosi. Siamo andati tutti a piedi verso lo stadio. Non è vero che ci sono stati altri scontri, solo nei dintorni di Marassi siamo stati aggrediti da un gruppo di genoani. Sono scappati tutti. Io sono rimasto solo. Loro avanzavano ed io indietreggiavo. A un certo punto mi sono fermato e ho estratto il coltello sperando di metterli in fuga. Invece lui mi è venuto incontro con il pugno alzato come per colpirmi. Io ho teso il braccio per proteggermi e la lama si è infilata nel ventre». E dopo? «Ero completamente fuori di testa. Ero nel panico. Sconvolto. Sono fuggito, sono entrato allo stadio. Ho passato il mio coltello a uno che non è del mio gruppo chiedendogli di nasconderlo. Lui lo ha fatto. Lo ha messo in un cartone per il vino. Ho proso posto e ai miei piedi ho visto un altro coltello. Istintivamente gli ho dato un calcio, era come una persecuzione quell'immagine». L'ARRESTO. Hai seguito la partita?, gli hanno chiesto. «E come potevo? Del primo tempo non mi ricordo niente. Non saprei dire nemmeno se il giubbotto l'ho scambiato mentre ancora giocavano o dopo durante le lunghe ore di attesa. A un certo punto mi ricordo solo che ho visto i genoani che ritiravano gli striscioni e gridavano assassini assassini. La radio stava dando la notizia che c'era un morto, e io mi sono sentito subito in colpa. Ho vissuto questa situazione d'incubo fino sotto casa. Ho fatto il viaggio fino a Milano, nel pullman. Ci hanno scaricato alla Centrale e ho ritrovato gli amici. Ero senza soldi. Mi hanno dato un passaggio con un taxi e poi ho l'atto un pezzo in motorino con un compagno. Sono sceso a qualche metro da casa. Mi sono incamminato e sotto casa mi hanno bloccato i carabinieri». All'avvocato Stefano Savi lascia l'ultima frase, quella che più di tutte raffigura questa storia incredibile. Dice: «Mi sono svegliato nella realtà, improvvisamente». Gcnoa-Milan non c'era più Pierangelo Sapegno «Alla vista del sangue sono scappato l'unica sicurezza me la dava il gruppo» a Quando mi sono reso conto che i carabinieri aspettavano me mi sono sentito meglio y i| fifi Gli unici amici li ho conosciuti alle partite di calcio: il giubbotto era il nostro distintivo Sono arrivato a Genova armato perché è una città a rischio per noi seguaci del Milan y ip a Un gruppo di genoani ci ha aggredito: c'è stata la fuga e io sono rimasto solo j j Lui mi è venuto incontro, aveva il pugno alzato: volevo difendermi e la lama si è infilata nel ventre j j fi fi La partita? Del primo tempo non ricordo nulla, solo i rossoblu che gridavano «Assassini» i|i§ Nella foto grande Simone Barbaglia A destra Vincenzo Spagnolo A sinistra i genitori della vittima In alto: due immagini di scontri allo stadio «Però fra 15 giorni tutto allo stadio sarà come prima»

Persone citate: Osvaldo Bagnoli, Pierangelo Sapegno, Pont, Savicevic, Simone Barbaglia, Stefano Savi, Vincenzo Spagnolo

Luoghi citati: Citta', Genova, Milano, Rischio