BARILLI accontentiamoci di Eco figlio degenere di Calvino di Silvia BallestraMirella Serri

BARILLI BARILLI «Accontentiamoci di Eco figlio degenere di Calvino » DROMA A Gadda, Aldo Busi; da Arbasino, Pier Vittorio Tondelli e la giovane Silvia Ballestra. Andrea De Carlo e Daniele Del Giudice, invece, sarebbero nati dalla costola letteraria di Oreste del Buono, Emilio Tadini e Raffaele La Capria (ala destra, in anni lontani, del Gruppo 63). Moravia, Morante e Pasolini, ferrei oppositori dell'avanguardia, si sono rivelati sterili (poverini!). Dopo di loro, il deserto. Calvino, simpatizzante con riserva del Gruppo 63, ha generato, ma per il rotto della cuffia: padre di un figlio unico e degenere, Umberto Eco, che avrebbe appreso dal maestro la tecnica narrativa e l'arte di farla fruttare con buon fiuto commerciale. Da Sanguineti (e dal gruppo dei «Novissimi», Giuliani, Balestrini, Porta, Pagliarani e lo stesso Sanguineti) una ricca messe di eredi poetici... Gli antenati: anche così si sarebbe potuto chiamare il saggio di Renato Barilli La neoavanguardia italiana. Dalla nascita del Verri alla fine di Quindici (Il Mulino, in libreria dal 10 febbraio), e che appare destinato ad accendere gli animi di scrittori e critici. Adesso che gli ex avanguardisti hanno i capelli canuti, pensano alla nidiata. Barilli, studioso di estetica, uno dei maggiori protagonisti sul versante non creativo dell'avventura avanguardistica, ha deciso di ripercorrere nel dibattito teorico ^^^-s^^gs-^^^ e nella vita delle riviste, nelle opere poetiche e romanzesche, la nascita e lo sviluppo del Gruppo 63. Ma la sua ferma convinzione è che la crema letteraria del nostro presente affondi lj sue radici nella culla avanguardistica. Altro che, com'è stato detto da narratori e critici letterari, avanguardisti-terroristi che, predicando la letteratura informale e la poesia nonsense, avevano decretato la morte della poesia e del romanzo e tarpato le ali a tanti giovani talenti. Assumendosi il ruolo di «avvocato della difesa», Barilli s'incarica della revisione storica del Gruppo di cui è rimasto molto nostalgico. Quei giovani scrittori che, nello splendente ottobre del '63 si riunirono a Palermo per dar vita al famoso «gruppo» pronto a conquistare la cittadella delle lettere italiane, cominciarono così, come ogni antenato che si rispetti, a lastricare le strade del futuro. Ma, guarda caso, Barilli esclude che scrittori non legati al Gruppo abbiano lasciato alcuna eredità. Nessun poeta, per esempio, secondo il critico, è stato concepito dagli ormoni e dal sangue letterario di Pier Paolo Pasolini. Ouei poeti che si potrebbero considerare beneficati dai geni dell'autore de «Le ceneri di Gramsci», come Maurizio Cucchi e Giuseppe Conte, verrebbero disconosciuti dallo stesso Pasolini: sono infatti poeti che perseguono una difesa reazionaria ed estetizzante della parola poetica. La poesia di Pasolini è vittima (come la narrativa) di un eccesso di «chiarezza e precisione», troppo sperimentale e troppo classica, retorica e «letteraria» in senso crociano. Nella nostra letteratura non sopravvivono come presenze capaci di condizionare i più giovani nemmeno la Morante o Moravia. Anche quest'ultimo, come a Pasolini, Barilli imputa il difetto della «chiarezza», di prendere le scorciatoie e di evitare qualsiasi complessità narrativa. Non si allunga sulla nostra epoca e sui suoi talenti letterari né l'ombra di Giovanni Testori né quella dell'isolato Calvino, i cui romanzi degli Anni 50 erano troppo realistici, troppo scorrevoli e lineari e non furono sempre apprezzati dagli avanguardisti: «Quali limiti a l inibirlo Ero I l inibirlo Ero tanta felicità, a tanta fluenza spontanea? - s'interroga Barilli -, che lo scorrimento lineare rimanesse un po' troppo affidato a un carattere naturale... a un descrittivismo un po' troppo semplice e disarmato». Meglio il Calvino degli anni più tardi, il narratore dell'arte combinatoria del Castello dei destini incrociati, di Se una notte d'inverno un viaggiatore, di Palomar, a cui sarà tanto debitore proprio Eco. Il romanziere de II nome della rosa, osserva ancora Barilli che non risparmia frecciatine all'ex commilitone nella truppa avanguardistica, troppo spesso si mostrò conciliante sul piano del dibattito teorico pur di non offendere i permalosi colleghi accademici e andare presto in cattedra ma seppe invece essere molto radicale nei suoi romanzi e applicare la tecnica letteraria, l'arte combinatoria di Calvino sfruttata per opere volutamente commerciali. Orrore e disgusto nel critico letterario, suscitano, poi, oggi come allora, le «Liale» del romanzo, gli scrittori che negli Anni 60 veleggiavano sull'onda del successo, come Bassani, Cassola e Pratolini, rei di essere sdolcinati e melensi. Padre dei migliori romanzieri contemporanei è l'ingegnere del Pasticciaccio. Il difensore Barilli con piglio revisionista va a scoprire quella che lui definisce «la destra» del Gruppo 63 (opposta alla sinistra, la cosiddetta Scuola di Palermo): del Buono, La Capria, Tadini, scrittori che non abbandonarono mai il versante narrativo e formale per gettarsi nell'informale. I Oggi poi i classici sempre originati dal repertorio avanguardistico ma fuori delle controversie si chiamano Manganelli, Malerba e Celati. Mentre tra i compagni di strada che hanno perso la bussola e non sono più rientrati nei ranghi c'è Pontiggia. E un ampio gruppo, tra cui Furio Colombo, Franco Lucentini, Enrico Filippini, Carla Vasio, Paolo Volponi, Giuliano Gramigna, gettò le basi per il «Nuovo Romanzo». Angelo Guglielmi rappresentava, insieme a Barilli, l'interprete sul piano della critica. Insomma, in una continuità senza interruzioni, sembra proprio che la nostra letteratura migliore sia ancora quella dei gloriosi Anni 60. «Mi sembra assurda - osserva lo storico della letteratura Mario Petrucciani - questa volontà di monopolizzare il presente. La linea Gadda è piuttosto remota, si tratta di ascendenze molto generiche, o poco più. E poi proprio in questi giorni si è a lungo dibattuto sui nipotini di Calvino. E per Pasolini e Moravia da anni si è sostenuta l'esistenza di una scuola romana. Certo è ben più facile essere discepoli di Sanguineti che di Pasolini». La tesi di Barilli solleva anche le perplessità di Grazia Cherchi: «Morante e Pasolini sono dei grandi, i grandi sono senza passato e senza futuro, non esistono quelli che vengono prima di loro e quelli che vengono dopo». Il romanziere Franco Cordelli confessa di trovare interessante la genealogia «del Buono, La Capria, Tadini. Di quest'ultimo apprezzo Le armi dell'amore. Quanto a Gadda non ha nulla a che spartire con l'avanguardia. Se Barilli vuole fare un'operazione storiografica è padronissimo. Ma se vuole trasformare la storia in poetica attiva, in letteratura oggi operante, io lo considero un reazionario e un nostalgico Del resto fa il paio con la posizione attuale dell'altro ex leader critico del Gruppo 63, Angelo Guglielmi, che ormai si è ridotto al punto di fare critica con delle invettive. E mentre liquida Del Giudice dicendo che è un pensionato, fa dell'autobiografia. Se c'è un vero pensionato è proprio lui». Mirella Serri

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