GUGLIELMI per chi non ha letto Galda soltanto noia e sciatteria

GUGLIELMI GUGLIELMI «Per chi non ha letto Gadda soltanto noia e sciatteria» Sta per uscire da /{izza/i « '/'reni anni di intolleranza (mia)» di Angelo Guglie/mi (pp. 24(1 L 2S.000). mosaico critico di aiilari e ajiere della nasini lelleixitum. Ne anticipiamo un brano. spettosa. La stessa che dai primi Anni Trenta la cultura ufficiale dell'epoca riservava a ogni apparizione del Nostro. Si trattava di una cultura dominata dall'esperienza ermetica e poi rondista, nelle quali pretendeva di risolvere, con operazioni più o meno convincenti di acquisizione o di rifiuto, il tutto della letteratura (tutto ciò che la letteratura in lingua italiana andava proponendo). Anche Gadda (e come non poteva!) quella cultura invitava al tavolo degli eletti seppure con qualche degnazione e assegnandogli il posto d'angolo più scomodo. Era considerato un outsider, un «eccentrico... arrivato tardi alla letteratura», un «umorista» molto «faticoso» e «cincischiato». Alberto Arbasino, con il suo solito sferzante humour, ripercorrendo l'iter della considerazione di cui Gadda aveva goduto per tutti gli Anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, scrive: «per decenni il grande Ingegnere apparve costantemente confuso, alla pari, fra decine di nomi irrilevanti o lamentevoli, nei tristi famosi repertori d'articoli critici della generazione anziana che ravvisava i più vari e raccomandati sviluppi della patria letteraria non già negli scarti geniali rispetto a una Arcadia, comune, bensì nella graduale continuità della minestrina collettiva. Ironia oziosa; Scherzo a vuoto; Aggrovigliata tessitura; prose ricche, troppo ricche: sentenziavano pigolando e calcolando i più celebri Arcadi; e poi: Non ha leggerezza di movimenti; Non sa fondere bene le parti; Non vede le varie arti fondersi in una, le vede disgregarsi; E' un Barilli a cui manca tutto quello che è di Barilli. Il Tesoretto, Almanacco dello Specchio 1942 II, non lo rammenta neanche... In compenso, Gargiulo Alfredo, recensendolo nella sua Letteratura Italiana del Novecento, riconosce: ?Ion sempre egli scherza. Ma la trovata mirabolante sembra appartenere a De Robertis, negli Scrittori del Novecento: Libri avventurosi, diari nudi e distaccati, paragrafi di saporitissima scrittura, rappresentazioni frescamente epiche, confessioni coraggiose e crudeli non c'erano mancati che sopravanzassero il livello mediocre della falsa cronaca... bei nomi tutti, Mussolini, Soffici, Baldini, Comisso, Stuparich, Stanghellini... ma questi cinque capitoli di Gadda? Hic Rhodus! Su! Allez hop! E invece la morale del mirabolante brano è questa: Solo la guerra, e la mortale fatica, sanno sprigionarlo da sé, altrimenti egli non sa guardarsi dall'indulgere ai mille richiami e, così indulgendo, un poco perdersi. Ma ecco era proprio quel poco perdersi che vent'anni dopo apparve come il segno della sua grandezza; era in quel poco perdersi che noi riconoscevamo la chiave della modernità di Carlo Emilio Gadda. E non è che noi fossimo dei giovani maledetti, alla ricerca di sensazioni pericolose e di pratiche di vita dissolute e autodistruttive. Anzi eravamo rimproverati proprio del contrario, di tradire il clichet bohémien proprio dell'intellettuale di avanguardia con comportamenti e scelte di vita che rifiutavano di entrare in dissidio ideologico con il benessere e la comodità. Che cosa era quel poco perdersi? Rispetto a cosa Gadda si perdeva? Si perdeva rispetto a una concezione della realtà meschina e piccolo borghese (quale è quella che dominava nella letteratura dell'epoca); si perdeva rispetto ai sentimenti facili; si perdeva rispetto alle finte lacrime; si perdeva rispetto alla pretesa di condurre il mondo per mano; si perdeva rispetto all'uso prescrittivo delle ideologie; si perdeva rispetto alla pratica della tolleranza generalizzata; si perdeva rispetto all'uso convenzionale della lingua; si perdeva rispetto alla tendenza di circoscrivere le «cose» nei loro significati apparenti; si perdeva rispetto alle false ribellioni (che ne assicurano i vantaggi e ne escludono i rischi); si perdeva rispetto a una concezione troppo lineare (dunque semplicistica) della vita e delle sue pratiche; si perdeva rispetto alle false richieste di misura e di umiltà; si perdeva rispetto alla retorica dell'utile; si perdeva rispetto all'obbligo della salute; si perdeva rispetto al divieto della malattia; si perdeva rispetto alle richieste di normalità; si perdeva rispetto alla pretesa di troppe nette distinzioni; si perdeva rispetto alla specializzazione dei saperi (che al contrario tendeva a mischiare in una totalità di cui tuttavia non conosceva l'immagine finale); si perdeva rispetto all'obbligo di esibire troppo nobili pensieri (cui la letteratura si era ridotta); si perdeva rispetto alla pretesa di possedere certezze definitive (pretesa cui si ribellava non per insufficienza di giudizio ma per insofferenza verso ogni limite - per non esserne limitato nella sua ingordigia di sognatore e nella sua fame intellettuale); si perdeva rispetto a comportamenti troppo manichei (sapendo che si può trovare ciò di cui si ha bisogno proprio lì dove non dovrebbe esserci); si perdeva rispetto alla pretesa di giudicare (riservandosi solo quella di insultare); si perdeva rispetto alla pretesa di riconoscere altro fine alla vita che non sia (naturalisticamente) la morte.