Baresi rabbia e tristezza «E il momento di smettere» di Roberto Beccantini

Genova, fantasmi di vendetta Baresi, rabbia e tristezza «E' il momento di smettere» IL CAPITANO DEL MI LAN E, MILANO adesso, capitanò? Franco Baresi non è uno che grida. Sapere di un morto, un morto «di» calcio, e non giocare per questo. C'è sempre una prima volta. Il giorno dopo, non è un giorno qualsiasi. E il calcio, probabilmente, non sarà più quello di prima. Si dice sempre così. Lacrime: ma troppo spesso, di coccodrillo. Baresi gironzola. Scuro, tirato. Hanno beccato l'assassino. E' un tifoso del Milan, non ha neppure 19 anni. Milanello brulica di cronisti. Capello scivola via: al lunedì non parla mai. Boban no. Boban parla. Asciutto, duro: «Di questi tifosi non so che farmene. Meglio che se ne stiano a casa. Sulle gradinate vogliamo gente che canti, che ci inciti, e non falangi armate». Baresi si ferma. Non può non fermarsi. E' il simbolo, lui. La bandiera. Ha sentito? Un milanese, un milanista. «Come si fa a giudicare... Io penso a Vincenzo, alla sua famiglia, a una fine assurda, alla violenza che ormai straripa, la caccia agli extracomunitari, i bambini picchiati e se non picchiati, abbandonati nei cessi. Mamma mia». Quando avete saputo di Vincenzo? «Negli spogliatoi, all'inizio del secondo tempo. Prima una semplice voce, hanno accoltellato uno, poi un tam tam sempre più martellante, è gravissimo, quindi l'agghiacciante conferma, è morto». I tifosi vi hanno accolto al grido di assassini, assassini. «Li avevano informati. Si sfogavano. Era un avviso di vendetta, terribile, inaudito. Non li giustifico, ma li capisco: in Italia, oggi, si sente e si scrive di peggio». Capello voleva continuare. «Capello era contrario a divulgare la notizia. Anch'io, se devo essere sincero, l'avrei tenuta nascosta. Almeno sino a fine partita. In quel caso, avremmo potuto anche giocare: per finta, se non altro. Ma la radio l'aveva già data». II comunicato l'ha letto «solo» Torrente, il capitano del Genoa. «Lo avevamo buttato giù insieme. Sì, avremmo potuto pure continuare, ma con che stato d'animo? E soprattutto: che partita sarebbe stata? Non siamo mica dei robot». All'Heysel, se è per questo, non si fermarono di fronte a 39 salme. «Io parlo per me, per noi: eravamo sotto choc. Lo stadio sapeva. Su Rossi pioveva di tutto. E poi a Bruxelles, quella tragica sera, le autorità belghe dovettero far fronte a ingenti problemi di ordine pubblico: i tifosi del Liverpool, quelli della Juve, migliaia e mi- gliaia. La strage era avvenuta "dentro", sotto gli occhi di tutti, non fuori». Fonghessi nel 1984, De Falchi nel 1989, e ieri Spagnolo. Non è la prima volta che un tifoso del Milan... «La prego. Il problema è generale e ci tocca tutti, indistintamente. Già al sabato, ci sono bande che pensano solo a come pestare le tribù rivali. A Milano, a Roma, a Napoli: ovunque». Rimedi? Terapie? «Tanti anni fa, Berlusconi aveva progettato di chiudere San Siro ai fans delle squadre avversarie. Gli risero in faccia. Oggi, sento e leggo che si sta pensando di proibire le trasferte alle tifoserie ufficiali, organizzate. Sì, potrebbe essere una soluzione. Avvilente e pericolosa: ma l'unica praticabile. Negli Stati Uniti è in vigore da tempo. Proviamoci. Fossi in voi, a ogni modo, non sottovaluterei i cani sciolti, gli infiltrati. Bloccati gli ingressi, e presidiati i dintorni, si scannerebbero a quattro, cinque chilometri dallo stadio. Può bastare un chilometro in più o in meno a lavare la coscienza? Io dico di no». Come capitano del Milan, si ritiene in qualche modo responsabile? «Guardi, noi in campo facciamo di tutto per non surriscaldare gli animi. Il Milan le sembra una squadra di provocatori? Suvvia...». E la società? «Non mi risulta che si sia macchiata di sgradevoli connivenze». Matarrese era per giocare a tutti i costi. «E' un politico, e come tale si regola. A Marassi non c'era Matarrese. C'era il Genoa, c'era il Milan. E, soprattutto, un ragazzo fulminato al cuore. Mi pare, inoltre, che il presidente si sia corretto». Quali sono le colpe del calcio? «Il calcio non è una scatola sigillata. Il calcio ò uno specchio. Riflette le grandezze e le miserie del nostro sistema. Certo, ci vorrebbe più cultura sportiva. Del resto, noi italiani siamo fatti così: se c'è il morto, ci fermiamo e discutiamo; ma se c'è solo un moribondo, tiriamo avanti, come se niente fosse». Gli stadi saranno sempre più vuoti. «Non lo escludo. Anzi, è probabile. Mi inetto nei panni dei genitori. Ormai, avere un figlio p un marito in trasferta è come averlo in guerra. Ascolti la radio, accendi la tv, e ti vengono le palpitazioni». Lei, Baresi, suo figlio lo lascerebbe andare? «Per fortuna, Edoardo è ancora piccolo. Un giorno avrà l'età di Vincenzo. Sono sincero: oggi come oggi ci penserei su non dieci, ma cento volte». Domani il Milan gioca a Londra per la Supercoppa. Simone voleva portare il padre, ma dopo i fatti di Marassi ci ha rinunciato. «E' un segnale. Ne seguiranno altri: e sempre, temo, nella stessa direzione». Domenica tutto lo sport si ferma: è d'accordo? «Fermiamoci pure. Per una, due, tre giornate. E riflettiamo. Ma poi?». Già, ma poi? «Se è un punto di partenza, una tappa, ci sto. Ma se avremo la presunzione di considerarlo un traguardo, poveri noi. I delinquenti ci sono sempre stati, e sempre ci saranno. E' sui giovani che dobbiamo lavorare. Educando noi stessi educheremo anche loro». Come si sente? «Molto triste. Molto vuoto». L'assassinio di Genova potrà condizionare la sua carriera? «L'8 maggio compio 35 anni. A dicembre dissi: forse a fine stagione mi ritiro. Oggi dico: probabilmente». Roberto Beccantini Franco Baresi con la moglie Laura e il piccolo Edoardo. «Oggi - dice il capitano del Milan - non porterei mio figlio allo stadio»

Luoghi citati: Bruxelles, Genova, Italia, Liverpool, Londra, Milano, Napoli, Roma, Stati Uniti