Genova fantasmi di vendetta

I tifosi hanno assediato Marassi, volevano colpire i «nemici» rossoneri: «Sono venuti per uccidere» I tifosi hanno assediato Marassi, volevano colpire i «nemici» rossoneri: «Sono venuti per uccidere» Genova, fantasmi di vendetta «Ma il dolore è più forte della violenza» GENOVA DAL NOSTRO INVIATO Una dozzina di anni fa un tifoso genoano ci fece vedere la pistola che teneva nella tasca dei pantaloni. «Con questa - disse - ammazzo Fossati, appena lo incontro. Mi ha fatto andare a Olbia sui camion, gli sparo». Renzo Fossati era allora il presidente del Genoa e l'uomo con la pistola era un apprezzato commerciante, già un pezzo oltre la cinquantina: uno che la vita aveva dispensato di buona fortuna se non per l'unico rodimento che gli dava la fede nel Genoa. Tifoso della più antica squadra d'Italia, aveva dovuto seguirla addirittura in serie C, a Olbia, dove non avendo abbastanza tribune avevano costretto i genoani a seguire la partita dai cassoni dei camion piazzati vicino al campo. Il ricordo di quell'incontro assurdo ci accompagna mentre la città consegna il suo ultimo atto d'ira: l'assedio al «Ferraris», migliaia di persone, ragazzini sotto i vent'anni accorsi attorno allo stadio per vendicare un altro ragazzo morto, anzi accoltellato a tradimento, come ripete ogni tifoso in cui ci imbattiamo nel giorno che Genova vorrebbe non aver vissuto. Otto ore di guerriglia della quale si vedono ancora le tracce nel budello di strade che è Marassi, un grumo di palazzi grigi che incombono sullo scatolone rossastro dello stadio. Davanti, il Bisagno, che era un rivolo putrido e continua a esserlo, però con i soldi dei Mondiali l'hanno ricoperto e la folla ha strappato il porfido e il selciato per scagliarlo addosso alla polizia. Una Genova esplosiva, livida. Una città che ha perso duecentomila abitanti in un quarto di secolo e ci ha guadagnato 80 mila disoccupati, molti i giovani, molti quelli che domenica notte potevi trovare vicino allo stadio. Racconta Ivan, 17 anni, la kefiah che portava domenica ancora annodata al collo: «Gli amici di Vincenzo sono tornati allo stadio di corsa dall'ospedale, abbiamo saputo che l'avevano ammazzato: quando siamo usciti, quasi tutti siamo rimasti vicini allo stadio, e altra gente arrivava, forse l'avevano saputo alla radio. Poi sono venuti i tifosi della Samp, con i treni da Padova, e quelli della Carrarese. Anche loro dicevano che non dovevamo fargliela passare liscia. Un morto, capisci, un morto». Cosi questa città paziente si è riversata in piazza con la rabbia dei giorni duri. «Guai all'ira del saggio», cita Alfredo Biondi, l'ex ministro della giustizia. Era allo stadio. «Vedevo la partita vicino al questore - racconta sono stato tra i primi a sapere e a pormi il dubbio se non fosse meglio tenere tutti nell'incoscienza della tragedia. Ma se la notizia fosse trapelala prima che le forze dell'ordine avessero preparato lo sgombero ci sarebbe stata una carneficina: pensi che fuori dallo stadio, mi si è avvicinata una persona per chiedermi quanti anni di galera gli avrebbero dato se avesse ammazzato un milanista». Genova l'iraconda. «Direi addolorata - replica Biondi -, ferita da quella che ha avvertito come un'ingiustizia. C'era sete di vendetta». «Genova - spiega Ugo Marchese, docente di Economia e tifoso rossoblu - è persin troppo compassata di fronte a decisioni che l'hanno penalizzata nell'industria, nel lavoro. Ha retto freddamente agli scippi nell'economia cittadina, come si è visto nei casi dell'Elsag e dell'Ari- saldo. Sopporta, sopporta. Ma quando reagisce lo fa in modo deciso». Vengono alla mente tumulti lontani. Del luglio '60, quando attorno a piazza De Ferrari rombavano le camionette della polizia per disperdere i cortei che contestavano il congresso dell'Msi e sui marciapiedi i feriti si contavano a decine. E la rivolta dei camalli, tre anni fa, un'ora e mezzo di guerriglia sulla banchina Garibaldi. E gli scontri nel centro storico, luglio '93, per cacciare gli immigrati africani che hanno trasformato quella parte di città in una casbah. Nel calcio finora non c'era mai stato nulla di simile. Zuffe, pestaggi anche gravi come in SampdoriaRoma nel dicembre '85. Ma una co¬ sa così... «Avrei voluto essere allo stadio, credo che ci avrei trovato qualche mio studente - dice Marchese con ironia -; lei parla di assedio, di violenza ingiustificata: neppure io me l'aspettavo, ma la capisco. C'era la provocazione di un omicidio deliberato in anticipo, perché se uno non pensa di uccidere o almeno di aggredire non viene da Milano con un coltello e non inquadrato tra gli altri tifosi per sfuggire i controlli. Ma nella gente si è innescato anche il meccanismo della rivolta a un mondo che non può più ol'frire esempi né giustizia: pensi a ciò che ha detto Matarrese in tv, proprio lui che gestisce il calcio secondo una logica in cui sono sempre i più potenti a essere premiati. E poi c'è stata nei tifosi la ribellione a un andazzo per cui di tanti teppisti coinvolti in ferimenti e in tentati omicidi pochi sono in carcere: c'è sempre indulgenza verso di loro». Ora che il dolore ha superato la rabbia e ci si prepara ai funerali di Vincenzo come a un alto purificatore delle follie del pallone, la città continua a chiedersi che fare. Non ha illusioni.«Questa è una citta frustrata, sempre meno vivibile, ina non è violenta - dice il cantautore Baino Lauzi -. La violenza è nel calcio e forse si riuscirà a superarla quando chi è vicino ai delinquenti, ai teppisti, troverà il coraggio di vergognarsi a non averli emarginali». Anche il sindaco, l'ex magistrato Adriano Sansa, ha toni duri: «Quello che si è sviluppato attorno al calcio non è più calcio, non è pili il gioco della nostra gioventù - dice il sindaco, die ha firmato un documento congiunto col collega milanese Fòrmeritini -; quando sono accaduti gli incidenti sono accorso per capire che cosa succedeva. Ho mandato subito un emissario verso i manifestanti per invitarli a desistere, ma mi hanno mandalo a dire che senza il morto non avrebbero smesso la guerriglia. Poi ho tentato di parlare con loro, ma la risposta è stata un razzo sparato ad altezza d'uomo, pieire, botliglie. Ebbene questa non è la risposta che ci si aspetta dopo la morte di un ragazzo. Ho visto tifosi arrabbiati, sì, ma anche molti teppisti. Per questo sto valutando la possibilità di non concedere l'agibilità dello stadio per una o più settimane». Il Ferraris dai tempi dei Mondiali manca dell'agibilità, il sindaco deve concederla di volta in volta: quello stadio all'inglese, dove si vede il calcio come in nessun altro posto d'Italia, è calato infatti in mezzo al quartiere, senza spazi iniorno, senza vie di fuga. Lo s'è visto domenica. «Ma non scarichiamo sulla gente le colpe di un assassinio - dice Fabrizio detto Tombolone, uno dei capi ullras -. Questi sono venuti da Milano per uccidere, noi abbiamo visto morire un nostro amico: capisco che non si giustifichi quando è successo dopo, ma che lo si criminalizzi è troppo. Il sindaco ha torlo: non c'erano teppisti tra noi, ma gente esasperata dal dolori!, vorrei vedere se gli ammazzassero un amico a due passi di distanza e con premeditazione. Il problema è che tutti dovrebbero darsi una regolata a cominciare da Matarrese e da quelli che in tv e sui giornali rinfocolano la violenza». «Ora tutti parlano, soltanto noi siamo rimasti senza parole» aggiunge René Moroni, uno dei leader del Coordinamento rossoblu, che ieri ha annunciato il rinvio a tempo indeterminato di tulle le iniziative dei club genoani. Lui ha un passalo turbolento, che il soprannome Katanga basta a delineare, ma era ira quelli che l'altra notte cercavano di rispedire a casa ragazzini mascherati che potevano quasi essere suoi figli. «Faccine da bambini - racconta con la voce ancora tesa -, non li si riusciva a mandare via. No, non mi sono rivisto in loro, questi sono diversi da noi, sono cresciuti in un altro modo. Non se ne può più di questa violenza e lo dico io, che ne ho combinate ma con gli anni e una famiglia sulle spalle si cambia, si capisce. Un morto è inammissibile. Proveremo a parlarne dopo i funerali di Vincenzo: la catena dell'odio si deve spezzare». Marco Ansaldo «Questa città è saggia, ma guai quando si scatena la sua ira» Il sindaco Sansa «Ho provato a fermare gli ultra ma era impossibile» I capi della Fossa: «Siamo esasperati non assassini» Un vecchio leader dei rossoblu «Va spezzata la catena dell'odio» Accanto il sindaco di Genova, Adriano Sansa. Al centro una scena degli scontri di domenica allo stadio Marassi tra i tifosi delle due squadre Sotto il cantautore Bruno Lauzi: questa è una città frustrata, sempre meno vivibile