«Noi ostaggi del terrore»la notte d'incubo di mille rossoneri di Zeni

«Noi, ostaggi del terrore» L'odissea dei fans: prima il lungo assedio allo stadio Marassi, poi la fuga su pullman «mascherati» «Noi, ostaggi del terrore» La notte d'incubo di mille rossoneri MILANO. «E domani?». Si guardano con gli occhi stanchi Maurizio, 19 anni, uno dei ragazzi della «Fossa dei leoni», e Andrea, 21 anni da un mese, delle «Brigate rossonere». Si conoscono da una vita, Maurizio e Andrea. Una domenica sì e una no si incontrano lassù, tra i gradoni della curva sud di Sansiro, cuore del tifo milanista. E una domenica sì e una no si ritrovano a Torino, a Napoli, a Brescia, là dove il calendario del calcio vuole che giochi il Milan, il loro Milan: sempre pronti alla chiamata, pronti a qualsiasi sacrificio. Vita da tifosi veri, «duri e puri». Mica mammolette. Chiaro che c'erano, domenica a Marassi, Andrea e Maurizio. Vestiti da trasferta, bomber verde, jeans, anfibi neri, sciarpa e cappellino rossoneri. L'odissea, dicono, «l'abbiamo vissuta tutta». Quasi dodici ore assediati tra i vetri corazzati della curva di Marassi, in quei 50 metri riservati agli ospiti. E poi quattro ore di viaggio nei pullman arancioni prestati dall'azienda di trasporto genovese, al freddo, in piedi: «Trasportati - protestano - come bestie». Otto ore di sonno e sembra un brutto ricordo, la domenica maledetta di Genova, al bar Gambara, il solito bar delle riunioni del lunedì e della lettura insieme della «Gazzetta». E poi, questa volta, c'è da organizzare la trasferta di supercoppa europea a Londra contro quelli dell'Arsonal, domani si parte... Già, domani? «No, non me la sento, forse un'altra volta ma domani no». Parla piano Andrea, gli occhi bassi, la «Gazzetta» spiegazzata tra le mani con quel titolone grosso che urla «Fermiamoci». Lui a Londra con gli altri delle Brigate ci voleva andare, eccome. Si era messo in lista, aveva persino fatto cambiare 50mila lire in sterline dalla sorella che lavora in banca. Ma come si fa, adesso, a far finta di niente? Lui non è un cagasotto: qualcuno glielo ha detto quando l'hanno visto accucciarsi, distrutto, nelle quattro ore di pulmann lungo l'autostrada del ritorno. «Era freddo, molto freddo, ho cercato di ripararmi», spiega alzando le spalle. «Ma se ti sei messo a piangere», ridacchia pungente Carlo, 23 anni, orecchino e capelli biondi corti corti. Lui, Carlo, dicono sia dei «Brasati», il grappo più cattivo, più incavolato. «Non è vero», smentisce: «Conosco qualcuno dei Brasati ma io sono fedele alla Fossa». Ha pianto, Andrea. Fuori dal bar, lontano dagli amici, camminando verso casa lo ammette: «Ho avuto paura». Carlo, il duro, ha fatto di tutto por tirar su il morale: «Qualche giorno di polemiche, un po' di casino sui giornali, qualche stronzata in tv e tutto passa, ci rivediamo in curva ragazzi e vedrete che bello». Qualcuno si è fatto convincere. Marcello, studente del Feltrinelli, bomber con la faccia del Che cucita sul braccio, non approva («Quel Simone Barbaglia è un cretino, uno che ha voluto dimostrare chissà cosa e che adesso ci ha messo tutti in mozzo, noi milanisti») ma non è neanche disposto all'autocritica: «Si sa - spiega con un discorso lungo e pieno di cioè - chi va in trasferta non è una mammoletta e cioè, noi del Milan dobbiamo dismostrare di essere i più forti, se poi succede...». «Basta, io ho chiuso, a vedere i rossoneri fuori casa non ci vado neanche se mi pagano», ha promesso Franco, simpatizzante della Fossa, a papà e mamma che sono andati a recuperarlo alle cinque di mattina, appena arrivato alla stazione Centrale con i pulmann genovesi. Chiuso, quando è troppo è troppo: tre ammazzati in dicci anni da tifosi rossoneri, più gli sprangati, i pestati, i picchiati..., «eh no, io credevo che certe cose non dovessero mai accadere e invece mi è toccato star lì, a Marassi, a sentirmi dare dell'assassino da quelli del Genoa ed era vero, capisci?, veroooo». No, non sono ragazzi con il barbour, questi della Fossa e delle Brigate. «Il barbour, quello vero con l'etichetta dentro e la spilletta sul bavero, noi non ce lo possiamo pennettere, quello è roba dei Commandos o dei fighetta», spiega Antonio, operaio a Carnaredo. «Mio padre mi spezza la schiena se gli chiedo trecentomila per un barbour e poi a me piace di più il giubbotto di pelle», taglia corto Alessandro schiacciando l'occhio a Marina, 16 anni, tutta nera, neri i capelli, neri i jeans stretti, nera la maglietta, nero il giubbotto. Anche lei, Marina, della Fossa? «No, io vado a San Siro solo qualche volta, prima ero la ragazza di Giorgio, adesso mi piace l'Alessandro, se mi chiede di andarci ci vado di corsa...». E quel Simone Barbaglia, il ragazzo con il barbour? «Mai visto, giuro», è la risposta di tutti: un fantasma, un ectoplasma, anche se lui, Simone, ha viaggiato quattro ore in pulmann insieme agli altri. Anche se c'era anche lui tra i vetri blindati di Marassi nelle sette ore della lunga attesa. Annullato, azzerato, cancellato. Un bratto ricordo da dimenticare alla svelta. Da dimenticare come le fotografie della po¬ lizia scientifica alle quattro di mattina, appena arrivati al casello di Milano: fuori, nella nebbiolina, cinque alla volte, spalle al guard rail e zac lo scatto. Da dimenticare come le urla delle sirene a Genova, i caroselli contro i genoani che li volevano morti per vendicare Vincenzo. Da dimenticare come quel lungo grido dei quarantamila: «Assassini, assassini». Domani si riparte da Londra, dall'Arsenal: «Sentirete che grido, il nostro, quando il Milan farà goal». Armando Zeni «Trasportati al freddo, trattati come bestie» «Chi va in trasferta non è una mammoletta: dobbiamo dimostrare che noi del Milan siamo i più forti ma quel Barbaglia è un cretino»

Persone citate: Barbaglia, Gambara, Simone Barbaglia

Luoghi citati: Brescia, Genova, Londra, Milano, Napoli, Torino