«Era sepolto dalla neve l'ho salvato scavando» di Claudio Laugeri

«Era sepolto dalla neve l'ho salvato scavando» «Era sepolto dalla neve l'ho salvato scavando» IL RACCONTO DEI SUPERSTITI E m CHAMPOLUC stata colpa nostra, non avremmo dovuto tagliare in gruppo quel canalone». La disperazione non impedisce a Marco Bonotto di essere lucido nel ricostruire la disgrazia. Tuta da sci, fascia di lana intorno alla fronte, esce dalla camera mortuaria di Aosta assieme a Silvio Dovetta. E' stato proprio Bonotto a strappare l'amico alla morte sotto la valanga. «Era il minimo che potessi fare. Avrei dovuto fare di più», dice scuotendo la testa. Centinaia di chili di neve hanno soffocato i suoi compagni di gita, Giorgio Franco e Umberto Bernardi. Persino per i medici e le guide della protezione civile è stato impossibile fare qualcosa per loro. Ma Bonotto non allude alle cure, alla rapidità dei soccorsi. «Le avevamo viste quelle "gonfie" di neve, sapevamo che erano pericolose. Sarebbe bastato passare di là uno alla volta e non sarebbe successo niente. E' stato il peso di tre persone insieme a far "staccare" la valanga». Riflessioni già fatte davanti ai carabinieri della stazione di Brusson, intervenuti sul posto con la protezione civile. Bonotto e Dovetta sono stati sentiti assieme nella caserma dei militari della Val d'Ayas. Un paio d'ore di racconto, dopo aver seguito il corpo dell'amico Umberto Bernardi fino all'obitorio di Champoluc. All'uscita dalla caserma, i due amici respingono con cortesia le domande del cronista. «Vogliamo soltanto andare a vedere il nostro amico Giorgio, la prego» dice Bonotto mettendosi al volante della sua «Elba» bianca. I due sono rimasti qualche minuto nella camera mortuaria di Aosta. Dovetta non è riuscito a trattenere le lacrime: l'amico Giorgio era rimasto sotto la neve proprio come lui, i soccorritori erano anche riusciti a localizzarlo e a tirarlo fuori dalla valanga quando ancora respirava. Un flebile alito di vita, svanito prima di raggiungere l'ospedale. «Siamo amici di gita, è questo che ci unisce. Conosciamo bene queste zone, siamo appassionati di montagna» ripete Bonotto. I due hanno ancora indosso le tute usate nella discesa lungo il canalone che sovrasta Champoluc. Si stringono le braccia al corpo, riallacciano le cerniere come per ripararsi dai brividi di freddo. Un'ora prima, Dovetta sembrava il meno scosso uscendo dal portone di legno della caserma dei carabinieri di Brusson. Aveva anche abbozzato una risposta: «No, non salivamo. Stavamo scondendo...» aveva detto per spiegare la disgrazia. «Non chiedete a noi, parlate con i carabinieri. Sono cortesi, vi spiegheranno tutto» aveva detto il compagno di escursione Bonotto. Ad Aosta è tutto diverso. I due incominciano a essere preoccupati anche per i propri familiari: «Hai qualche moneta? Chiamiamo a casa prima che pensino al peggio. Dovremmo già essere a Torino a quest'ora». Le linee sono sempre occupate, nulla da faro. «Andiamo a Champoluc, stasera dovrebbero arrivare i parenti di Umberto» aggiungono. Dovetta ha gli occhi rossi, non riesce quasi a parlare, l'amico capisce e ripete: «E' stato il peso di tre persone assieme a causare la valanga». Claudio Laugeri «E' stata colpa nostra abbiamo snobbato il pericolo» A sinistra i due sciatori che si sono salvati. Sopra Giorgio Franco

Luoghi citati: Aosta, Ayas, Brusson, Torino