« Clinton salvi il Messico »

« « Clinton salvi il Messico » In gioco il destino dell'America Latina LA CRISI DEL «PESO» ■ L dibattito sul prestito da I concedere al Messico die■ tro garanzia degli Stati Uniti viene condotto essenzialmente in termini economici. Tuttavia gli argomenti finanziari impallidiscono di fronte all'importanza che ha per l'America l'esistenza di un Messico amico, democratico e orientato al mercato. Gli Stati Uniti, che non hanno mai avuto un vicino potente, avranno presto a che fare con un Messico di 100 milioni di abitanti e la cui economia, a dispetto dei suoi alti e bassi temporanei, raggiungerà il massimo sviluppo all'inizio del prossimo secolo. I venti milioni di americani di origine messicana esercitano inoltre una forte presa sulla politica Usa e in tutto l'emisfero occidentale i destini del libero mercato e della democrazia saranno notevolmente influenzati dall'evoluzione del Messico, che negli ultimi dieci anni è stato all'avanguardia dell'economia e della rivoluzione politica latino-americana. Non ha senso lanciare accuse all'ex presidente Carlos Salinas de Gortari. La crisi finanziaria messicana è il risultato di errori politici a breve termine, non di un fallimento a lungo termine. La sua vittima principale sarà il popolo messicano, non gli investitori Usa. Il programma di stabilizzazione che è stato proposto attenuerà lo choc, ma non eviterà la necessità di drastici rimedi e di un'accelerazione delle riforme. Un disastro a lungo termine si verificherà soltanto se un ritorno all'isolazionismo in America e al nazionalismo in Messico provocheranno una rottura delle strette relazioni fra i due Paesi. Né la crisi finanziaria messicana dovrebbe far dimenticare gli storici cambiamenti prodotti dalle successive ammministrazioni de la Madrid e Salinas. Prima di questi due presidenti, l'economia messicana era basata sul protezionismo, e l'agenda politica internazionale messicana rifletteva un costante atteggiamento di sospetto sulle mire di Washington e una frequente opposizione ai disegni statunitensi. I presidenti de la Madrid e Salinas hanno capovolto queste tendenze. Il sistema economico è stato aperto; si è dato il benvenuto agli investimenti stranieri; con gli Usa si sono stabilite relazioni politiche di cooperazione; il trattato Nafta (sul mercato comune Usa-Canada-Messico, ndr) ha innescato un processo che potrebbe fare del Messico il Paese chiave di una futura struttura panamericana fondata sul libero mercato e sulla democrazia. E' fondamentale analizzare in profondità le cause della crisi finanziaria messicana, in modo da impedire che si ripeta. Anche prima del Nafta, la liberalizzazione economica aveva incoraggiato un flusso senza precedenti di capitali, soprattutto americani, verso il Messico. La facilità con cui venivano ottenuti i prestiti ha indotto il governo messicano a facilitarsi la vita, nell'anno delle elezioni presidenziali, usando il capitale straniero per finanziare consumi anziché investimenti. Questo ha fatto esplodere il deficit nella bilancia dei pagamenti e messo in crisi il tasso di cambio peso/dollaro. Così da entrambi i lati della frontiera ci si è accorti di quanto questo flusso di capitali (specialmente quelli orientati alla speculazione) sia sensibile alle turbolenze politiche e suscettibile di essere diretto verso altri mercati. Peraltro la crisi finanziaria avrebbe potuto essere evitata se non si fossero verificati altri eventi imprevedibili. All'inizio del 1994 (l'anno elettorale) la rivolta degli indios nello stato meridionale del Chiapas non ha potuto essere soffocata, e a malapena si è riusciti a contenerla. Le preoccupazioni per la stabilità politica sono aumentate quando, poco dopo, il candidato governativo alla presidenza, Donaldo Coloso, è stato assassinato - una cosa senza precedenti nei sessant'anni di potere del Partito Rivoluzionario Istituzionale (Pri). Ne è seguito un deflusso di investimenti stranieri che ha drenato le riserve valutarie messicane. Il fatto che questi problemi finanziari siano insorti durante l'anno di elezioni che sono state le più libere nella storia del Messico e perciò le più combattute, ha indotto il presidente Salinas, uomo di solito assai deciso, a rinviare le misure di rigore fino a dopo l'insediamento del suo successore Ernesto Zedillo Ponce de Leon, il 1° dicembre. Anche il fatto che Salinas fosse candidato alla presidenza della nuova Organizzazione del commercio mondiale (Wto) ha contribuito a indurlo a procrastinare. La brusca svalutazione del peso da parte del nuovo governo messicano ha poi scatenato la fuga dei capitali esteri, innescando il rischio di una crisi globale dei mercati dei Paesi emergenti analoga alla crisi del debito degli Anni Ottanta. Le istituzioni finanziarie statunitensi non possono negare di avere avuto una parte di responsabilità nella crisi. Hanno prestato e investito miliardi di dollari sulla base di previsioni arbitrarie, proiettando indefinitamente nel futuro una precaria congiuntura favorevole. Questo ha inevita¬ bilmente spinto il Messico (come e successo ad altri Paesi) a cercare di approfittarne nel breve termine. Ma bisogna adottare la giusta prospettiva: le riforme economiche messicane sono state nel complesso positive, e gli investimenti americani hanno indotto nel Paese uno sviluppo economico senza precedenti, un progresso reale. Perciò l'assistenza statunitense andrebbe condizionata a un effettivo programma di stabilizzazione e alla prosecuzione delle riforme strutturali, ma non è il momento di approfittarne per estorcere al Messico quelle richieste americane che aveva già respinto in sede di negoziato sul Nafta: ciò potrebbe in- j fatti scatenare in Messico una I reazione nazionalista dalla : quale sarebbe poi difficile fare retromarcia. La diffusione della democra! zia e del libero mercato, quan! to meno nell'emisfero occiden| tale, sono obiettivi sono più facili da perseguire tramite una i politica di pace e di progresso ! anziché di confronto. E qui ci si offre una straordinaria opportunità: per la prima volta, i i governi di tutto l'emisfero, con j la sola eccezione di Cuba, sono democratici e impegnati ai I princìpi del libero mercato. Fra i Paesi più grandi, è il 1 Messico che mostra la via. Se j abbandonasse il tentativo, o se I gli sforzi in vista delle riforme sfociassero nel caos finanziario ed economico, le ripercussioni si sentirebbero in tutto l'emisfero, mettendo in discussione la prospettiva di una comunità panamericana. Il pericolo è particolarmente grave perché siamo stati testimoni in Messico dell'inizio di una rivoluzione politica. Per sessant'anni il Paese ò stato retto da un sistema, di fatto, a partito unico in cui il candidato governativo veniva automaticamente eletto e poi governava da monarca. Ma tutti gli osservatori stranieri hanno testimoniato che lo spoglio dei voti alle ultime elezioni è stato sostanzialmente corretto; e ben i tre quarti dei voti sono andati liberamente al candidato del Pri o al suo sfidante conservatore anziché a colui che impersonava l'alternativa di sinistra. Ma la parte più difficile del processo potrebbe ancora dover arrivare. Se l'evoluzione politica avesse seguito i piani teorici, la liberalizzazione eco- nomica di de la Madrid e di Salinas avrebbe dovuto essere seguita da una graduale apertura politica cosicché alla fine del mandato di Zedillo le istituzioni pluralistiche avrebbero dovuto essere pienamente sviluppate. Può darsi che questo accada ancora, ma l'attuale crisi finanziaria ha così accelerato il processo che le cuciture del sistema potrebbero strapparsi. Nel suo discorso inaugurale, Zedillo si è dichiarato fuori dal Pri, riducendo così quest'ultimo, almeno sulla carta, a un partito politico come gli altri. Ha anche annunciato che non designerà il proprio successore. Inoltre, per ottenere il sostegno politico della sinistra al programma di austerità, Zedillo ha accettato di rinunciare all'accesso privilegiato del governo ai mass-media e di creare un sistema politico pienamente pluralista. Questi cambiamenti politici sono molto promettenti. Tuttavia è probabile che si rivelino solo il primo atto di un lungo dramma. Poiché molti di queste novità si sono prodotte in coindidenza di dimostrazioni pubbliche, crisi economiche ed esplosioni di guerriglia, alcuni gruppi potrebbero arrivare a considerare le pressioni, e forse perfino la violenza, come il modo migliore per ottenere progressi politici. Inoltre, il primo risultato pratico della generosa rinuncia di Zedillo alle tradizionali prerogative del partito al potere è stato quello di aprire, fin da questo suo primo anno di mandato, una contesa per il potere alla quale le istituzioni messicane non sono ancora preparate. Nessuno può predire come i vari gruppi, inesperti di pratiche pluraliste, interagiranno quando l'impatto mediatico del presidente e del partito al potere verrà meno, e quando il Pri si dividerà magari in un'ala reazionaria, una conservatrice e una radicale di sinistra. Storicamente, le forze democratiche messicane sono state assai più stataliste e più ostili al mercato delle loro corrispondenti americane; e gli intellettuali messicani sono stati istintivamente ostili agli Stati Uniti. Perciò, nel momento in cui il Messico intraprende il processo della liberalizzazione politica secondo schemi americani, è possibile che questi incontrino qualche ostilità. Ma in questo momento critico, è cruciale che l'America si mostri amica del popolo messicano. Henry Kissinger Copyright «Los Angeles Times Syndicate» e per l'Italia «La Stampa» «Muoviamoci o avremo un immenso Chiapas» «Non si può permettere che un Paese così importante sia travolto dai problemi finanziari» «E' l'avanguardia delle riforme e del libero mercato nel continente Tiriamo fuori i dollari» _ Qui sopra un'immagine tradizionale del Messico: il Paese vive una grave crisi finanziaria. A destra Henry Kissinger