Il quinto pilastro dell'Islam di Igor Man

L Il quinto pilastro dell'Islam Da Maometto agli integralisti, storia di un divieto RELIGIONE E MODERNITÀ' L ISLAM, secondo Braudel, è una lunga strada che, dall'Atlantico al Pacifico, passa attraverso la rigida massa possente del Vecchio Mondo. L'Islam e una religione (anche) ascetica ma dura, per uomini abituati al sole. L'Islam b le mille conseguenze di questo immenso vuoto umano chiamato deserto che un uomo toccato dalla grazia colma col verbo. E tuttavia non sarebbe corretto dire, semplicemente, con Marx e con Renan, che l'Islam è «la religione del deserto». Maometto nasce alla Mecca, verso la fine del Sesto secolo dopo Cristo (nel 570?). Cresce in una società, quella preislamica, agnatica, fondata sui legami maschili del sangue che praticava l'endogamia così com'era praticata in tutta l'area mediterranea e nel Vicino Oriente. La società dove Maometto impara a fare il cammelliere, e via via il capo carovana, il mercante, è una mistura di fierezza, di culto dell'onore - individuale e della famiglia -, di rispetto della parola data ma al tempo stesso 6 una società permeata di violenza, posseduta da una sensualità sovente brutale. Era, quello, il «tempo dell'ignoranza», e in quel tempo l'arabo credeva in un dio supremo, al-Ilàh, e adorava una teoria di divinità assortite, numi titolari delle varie tribù o dei clan famigliari. A dispetto di cotesto culto disordinato e anche delle ricorrenti pratiche magiche, l'arabo doveva quotidianamente fare i conti con una natura senza misericordia che rispetta solo i forti: i «padroni del deserto», gli «uomini di spada». Il giovine Maometto, «padrone del deserto» e «uomo di spada», si vide un giorno affidare dalla ricca vedova Khadìgia la gestione delle sue carovane, dei suoi commerci. Al ritorno da ogni viaggio, Maometto che ha intanto sposato Khadìgia, si ritirava a meditare e a digiunare durante tre giorni («per disintossicare la mente e il corpo travagliati dalla lunga fatica») in una grotta del monte Hira. E allo scoccar del tramonto, vale a dire allorché il colore neutro delle dune diventa color del rame fuso, in quel momento soave che spacca il cuore dantescamente struggente com'è, il quarantenne Maometto vide l'Arcangelo Gabriele. E questi gli rivelò il suo destino profetico. Terribilmente turbato, in preda a una vera febbre, Maometto corse dalla cara sposa (alla quale rimase sempre fedele) ed ella lo consolò. Col capo poggiato sul suo grembo, mentre Khadìgia gli carezzava la fronte sudata, egli le parlò della Rivelazione e chiese consiglio alla sua compagna. E il consiglio fu questo: «Parlane agli altri (della tribù) solo quando ti sentirai in pace col tuo cuore, con la mente pulita». Maometto sapeva che sarebbe stato difficile credergli e infatti la sua predicazione trovò pochi (e perplessi) seguaci. E così la piccola comunità che s'era formata intorno a lui, emigrò dalla Mecca a Yathrib (Medina) compiendo l'Egira [higra). Qui Maometto, poggiato al tronco di una palma trasmetteva ai suoi seguaci la parola di Dio dettatagli da Gabriele. La parola, ovvero il Corano. Il digiuno (saùm ovvero siyam) del mese di Ramadan (il nono mese del calendario lunare) venne stabilito nel 624, l'anno secondo dell'Egira. «0 voi che credete, il digiuno vi è prescritto affinché possiate manifestare la vostra pietà. Digiunerete un numero preciso di giorni. (...). Il mese di Ramadan è quello in cui il Corano venne rivelato per indicare la via diritta agli uomini, per dar chiara spiegazione dei precetti divini, dei criteri che consentono di scernere la verità dall'errore. Digiunate tutto il tempo stabilito e magnificate Dio per avervi messo sulla buona strada sì da provargli la vostra riconoscenza». Così è scritto nella Suro, seconda del Corano, in tre soli versetti (dal 183 al 185). Tre versetti che fanno del digiuno durante il Ramadan il quinto Pilastro dell'Islam. Gli altri quattro sono: la professione di fede ishahada), la preghiera (salai), l'elemosina [Zakat), il pellegrinaggio alla Mecca [hàgi). Quest'anno il Ramadan cade in un momento invero drammatico per tutto il mondo musulmano: in Palestina la pace (meglio: le prove tecniche d'una pace) è in pericolo; in Al¬ geria la guerra civile sconvolge quel Paese laico epperò rispettoso del verbo del profeta; la stessa follia religiosa che altro non è se non una torva imitazione dell'Islam scuote il pacifico Egitto; si combatte in Bosnia dove quei musulmani vengono umiliati dalla prepotenza poslmarxista, e ammazzati, in nome del «progresso e della libertà» come accade nella Cecenia. Sicché l'interrogativo che si pone Jeune Afrique («Il Ramadan va riformato?) pur essendo chiaramente una provocazione giornalistica (riuscita) rischia di assumere macabra valenza. L'Islam oggi «è» 900 milioni di musulmani. Esso, per citare ancora Gardet, forma, sul globo, un grande semicerchio: da Dakar all'Insulindia. ricordando ì'hilàl, la falce della luna nel suo primo quarto, divenuta nel corso del tempo il simbolo dell'Islam. La sua diaspora si spinge sino alla Cina, al grande Sud dell'ex Urss, l'ino ai poveracci emigrati in Europa, i nostri vu cumprà che non sono macchiette ma uomini disperati. Così come disperati erano gli italianuzzi che nel dopoguerra ripresero il cammino dei loro padri (quelli del «passaporto rosso») emigrando per fare i lavori che ai tedeschi, ai belgi, agli americani eccetera facevano schifo. Molteplici sono, lungo il grande semicerchio lunare, le etnie, le lingue, i destini storici. In ogni caso l'uomo musulmano ha ricevuto da Dio, del quale è vicario, l'obbligo di ragionare. Egli sa, o dovrebbe sapere, che Dio non e un padrone lontano bensì un fratello vicino. In verità Dìo è nell'uomo: come sappiamo. Persino nel diverso. Che va comunque rispettato. Anche in questo il verbo di Maometto somiglia';! quello di Cristo del quale è riconosciuta l'o- rigine divina, così come (sempre nel Corano) viene affermata la verginità feconda di Maria. Più che riformare il Ramadan (ci provò Burghiba nel I960, ci provò nel 1965 Sukamo: si ruppero i denti entrambi), bisognerebbe riformare la società. Intendo la società islamica che cattivi leaders (musulmani e non) tengono prigioniera della violenza, della fame. Potrebbe non essere un'impresa disperata solo che venissero meno le complicità dell'Occidente con certi regimi, con alcuni leaders. Un bel digiuno farebbe bene anche agli occidentali presuntuosi, pericolosamente fieri della loro presunta superiorità tecnologica. Non dico durante un mese, ma solo una settimana smettere di masticare saccenza, razzismo, indifferenza, egoismo l'orse ci salverebbe dal disastro. Perché quando muore lo spirito muore anche la dignità dell'uomo. Igor Man t" "VEiK

Persone citate: Arcangelo Gabriele, Braudel, Burghiba, Marx