Sì al taglio delle radici Antifascismo non è più una bestemmia di Pierluigi Battista
Sì al taglio delle radici Sì al taglio delle radici «Antifascismo» non è più bestemmia LA SVOLTA PIÙ' SOFFERTA PRIMA di «affidare alla storia» il giudizio definitivo sul fascismo, i missini che abbandonano la casa paterna seppellita sotto le macerie del Novecento consumano in una drammatica seduta di autocoscienza il rito sacrificale necessario a celebrare il loro nuovo inizio. Un avvio deciso alla «storicizzazione» del passato, lo definisce Fini. Ma prima ancora che nei libri di storia, prima ancora che nell'enunciazione gelidamente teorica delle parole che scolpiscono in modo irreversibile il senso di un'identità totalmente altra rispetto alla precedente, «l'antifascismo fu il momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato», la «storicizzazione» voluta da Fini scatena nei missini che s'apprestano a dire addio al loro partito l'erompere di sentimenti viscerali, toccando corde profonde, una dimensione che attiene ai dati primari che hanno sin qui tenuto assieme la storia della Fiamma. «Antifascismo». Qualche anno fa sarebbe stato semplicemente impensabile che un congresso missino disputasse di «antifascismo» attraverso mozioni, ordini del giorno, emendamenti, articoli dello statuto. Più ancora del «fascismo», matrice prima e risorsa simbolica fondativa dell'identità missina nonché riferimento biografico imprescindibile per i suoi protagonisti, era proprio ^«antifascismo» la parola chiave che nell'immaginario missino assolveva al compito di cementare per antitesi le diverse anime del msi, la parola simbolo che stava a rappresentare l'inesorabilità di una sconfitta storica, il principio ideale di quegli ordinamenti dell'Italia repubblicana e democratica che sancivano l'esclusione dei «vinti» che nel msi avevano trovato rifugio e identità. E faceva quasi impressione, nello scenario che ha solennizzato lo scioglimento del partito di Michclini e di Almirante, assistere allo spettacolo di delegati missini che avevano l'aria di discettare di «antifascismo democratico» e «antifascismo totalitario» come se commentassero una lezione di Renzo De Felice o compulsassero un volume di Hannah Arendt mentre la raltà era che Fini, con freddezza davvero stupefacente, li chiamava uno ad uno ad un esercizio di autoscorticamento esistenziale che alla fine ha percosso i nervi scoperti di una comunità disposta ad accettare la «storicizzazione» di temi sino a ieri vissuti con fideistica certezza. Altro che strappo. Nella dimensione profonda della psiche missina quel riconoscimento del ruolo positivo assolto dall'«antifascismo» assomiglia piuttosto all'amputazione di una parte importante di sé: sino a ieri così importante da risultare addirittura decisiva. Resta, a parziale addolcimento di questo che Rauti ha definito «taglio delle radici», l'affermazione secondo cui l'antifascismo non sarebbe un «valore a sé stante». Resta anche la distinzione nel giudizio sull'«antifascismo» dei «non comunisti» rispetto a quello dei «comunisti», materia che divide storici e studiosi e che non cesserà di suscitare polemiche, riserve, valutazioni contrastanti sull'insufficienza o meno della svolta di Fini. Resta anche, però, l'immagine dei missini che tra lacrime e disperazione alzano disciplinatamente il cartellino della delega congressuale per far proprie e addirittura incorporarle nel loro nuovo codice genetico tesi che fino a una manciata di anni fa sarebbero suonate alle loro orecchie come una bestemmia, o più laicamente come una capitolazione di fronte al nemico (che allora non era ancora, finianamente, un «avversario»). Come se l'accesso alla «storicizzazione» invocata da Fini esigesse il prezzo di un drammatico ribaltamento della propria, di storia. E una radicale purificazione dai veleni della «guerra civile» che pure hanno rappresentato il liquido amniotico da cui hanno tratto nutrimento 49 anni di storia missina. Si chiude il Novecento, dicono a Fiuggi. Per ora, nel msi, sentono soltanto il dolore dello strappo. Pierluigi Battista Un giovane Giorgio Almirante
Persone citate: Almirante, Fini, Giorgio Almirante, Hannah Arendt, Rauti, Renzo De Felice
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