Rauti scoppia in lacrime «Ma io non mi arrendo»
Rauti scoppia in lacrime «Ma io non mi arrendo» Rauti scoppia in lacrime «Ma io non mi arrendo» IL GRAMSCI NERO SCONFITTO FIUGGI DAL NOSTRO INVIATO Nella foto della Fiamma che muore Pino Rauti è quell'omino sotto il podio, la sciarpa al collo come uno che va via e il braccio destro in alto, a sventolare il cartellino dell'ultimo «no». Si vota il suo emendamento contro l'antifascismo, il cuore della svolta. Rauti guarda la platea allaricércà di altre mani ribelli ma sono poche, goccioline. Fini si passa una mano sulla fronte per il pericolo scampato. L'ultimo dei mohicani e dei missini ha perso ancora, e stavolta per sempre. Può piangere, adesso, ma solo per un attimo. Qualcuno sul palco sta dicendo «Camerati» e Rauti, livido, grida: «Non osate più pronunciare quel nome, buffoni!». La rabbia gli asciuga gli occhi, mentre borbotta: «(Anche Tremaglia mi ha tradito, non me l'aspettavo. Por quanto. Tutta una vita ho combattuto. E per avere un pomeriggio come questo!» E piange di nuovo. La moglie Brunella ha guance rosse: «Se questi sono i postfascisti, io voto progressista». La figlia Isabella aspetta un figlio da Gianni Alemanno, ma non guarda il sorriso che dal palco dei vincitori le sta facendo il marito: rimane accanto al padre, a rosicchiarsi l'anima e le unghie. Un ragazzo biondo abbraccia Rauti e urla con occhi dilatati, da lungometraggio sovietico: «Ci avete tradito, maledetti!». Intorno e rissa tifosa. Fra rautiani e finiani la svolta brucia un paio di ceffoni e l'operatore del Tg3 che li ripren- de riceve un trattamento da partigiano cattivo: gli fanno cadere la telecamera e lui, un muscolare da niente, ruggisce in romanesco: «Venite fuori che ve spacco cr culo». La pacificazione nazionale riprenderà non appena possibile. Rauti adesso è in fondo alla sala, un puntino lontano più curvo del solito, quasi portasse il peso del secolo che non vuole rinnegare. «Io gobbo, eh? Certo, sono andato dieci volte in galera e ho beccato l'artrosi. Per questa gente l'ho beccata, puah». Per quel Fini che dalla tribuna lo ha appena spemacchiato: «Quacchero!» Sì, nel dileggio finiano Rauti ò un «amish» che per rimanere fedele alla tradizione si rifiuta di usare l'acqua calda e la luce. L'amish sorride: «Sono solo uno sconfitto. Non si può fermare il treno della storia. Io ci ho provato». Un delegato, Giuseppe Fassardi, gli grida: «Noi giovani siamo con lei. Non ci lasci soli». Ma il vecchio intellettuale oscilla di fronte all'azione. Rauti 1, la resa. «Alla mia età non è facile ricominciare da capo. Lo ha fatto Montanelli, ma il direttore di un giornale può stare dietro la scrivania, il leader di un nuovo partito deve girare l'Italia». Rauti 2, il dubbio: «Mi paragonate sempre ad Ingrao, ma io vorrei parlare con Bertinotti, chiedergli che senso hanno, oggi, le rifondazioni...». Rauti 3, la voglia: «Il signor Fini non si illuda che tenermi fuori tla An sia un affare. Io non starò con le mani in mano». E ha già inviato trenta fedelissimi al meeting neo-missino che Giorgio Pisano radunerà a Roma domattina. Perché restare a Fiuggi non si può. «Mi hanno chiesto un'abiura inaccettabile». La condanna della dittatura fascista, passi. «Per quanto, sempre meglio di quella rossa». E passi anche l'abbraccio agli avversari della Repubblica Sociale, purché liberali alla Sogno. «Ma non possono chiedermi di esaltare il nemico di una vita, il partigianesimo comunista, quell'assassino di Moranino, quelli che ci colpivano alle spalle e ci rapavano le donne a zero. Fini ha una visione antifascista del fascismo che neanche De Felice approverebbe». Ma le dispute ideologiche cedono al dramma umano. E sulla bocca di Rauti arriva la parola più attesa e inevitabile: tradimento. «Guardate il palco: con tutti gli ex rautiani che ci stanno, da Maceratini in su, potrei dire che ho la maggioranza... Mi amareggia vedere questi ragazzi, che ho cresciuto con certe idee, svenderle per un collegio elettorale». Tradimento. E dietrologia: «Ci cacciano perché abbiamo vinto. Come sempre. Fini è solo un esecutore di voleri più forti». Dietrologia e disperazione: «Ma un mondo dove fra Tatarella e Veltroni non c'è quasi differenza, ma che mondo è? Non più il mio, di certo». Già, che mondo gli resta? Quello dei vecchi, del camerata Cesco Baghino che sale sul podio a irrigidirsi fra le lacrime nell'ultimo saluto romano. Quello dei duri, di Buontempo forse, l'antico nemico che adesso dice: «Rauti? Alla sua età è un eroe». O quello dei giovani, che leggono un po' di Evola e ascoltano le canzoni di gruppi die si chiamano «Intolleranza», «Zona Abrasiva» e «270 bis», dall'articolo del codice sull'associazione sovversiva. Canzoni come «Garetta e Ben», dove «Ben» non va in soffitta, ma vola in cielo «aquila fra le nuvole». A proposito di canzoni. Ce n'è una dello chansonnier di destra Leo Valeriane) che sta particolarmente nel cuore di Rauti. Racconta la storia di un giovani,' della Repubblica Sociale: «Hanno detto a un ragazzo che era tutto sbagliato, il nemico era un altro, non ti abbiamo av| visato: una morte più giusta ti avremmo trovato. Ma è tardi, adesso. E il passato è passato». Massimo Gramellini «Perfino gli amici hanno tradito E' per questa gente che sono andato in galera?» Vola qualche ceffone Aggredito cameraman del Tg3 A sinistra: Pino Rauti Qui sotto: Cesco Baghino e Teodoro Buontempo A destra: tre momenti della commozione di Gianfranco Fini per la fine del movimento sociale
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